- La scelta di Luigi Di Maio di dare una sterzata alla linea giustizialista del Movimento 5 stelle è soltanto l’ultima delle sue mosse per sfilare a poco a poco dalle mani di Giuseppe Conte la guida del Movimento 5 stelle.
- L’uscita di Di Maio, però, non preoccupa, anzi: «Chi poteva essere in disaccordo se n’è andato, e questa è solo una presa d’atto di quel che la grande maggioranza del gruppo già dava per scontato», dice un deputato.
- Quella di Di Maio ora sarà anche la linea dell’avvocato del popolo, che a inizio 2020 ancora si dichiarava «per principio né per il giustizialismo né per il garantismo».
La scelta di Luigi Di Maio di incrinare la linea giustizialista del Movimento 5 stelle è soltanto l’ultima delle sue mosse per sfilare a poco a poco dalle mani di Giuseppe Conte la guida del Movimento 5 stelle. Ma segna anche un cambio di paradigma per un partito che per anni ha avuto la sua ragion d’essere nel giustizialismo.
La lettera affidata al Foglio per chiedere scusa all’ex sindaco di Lodi del Pd Simone Uggetti, condannato in primo grado e poi assolto in appello dall’accusa di turbativa d’asta perché il fatto non sussiste, è stata al centro delle discussioni interne del Movimento di ieri e ha segnato un chiaro cambio di passo nella definizione del Movimento del futuro, che pare assomigliare sempre più a quello che prospetta Di Maio rispetto ai fumosi piani presentati da Conte.
L’uscita di Di Maio, però, non preoccupa, anzi: «Chi poteva essere in disaccordo se n’è andato, e questa è solo una presa d’atto di quel che la grande maggioranza del gruppo già dava per scontato», dice un deputato. Lo confermano le uscite sulle agenzie a pioggia di quasi tutti gli eletti Cinque stelle, con l’ex viceministro Stefano Buffagni che si spinge addirittura a proporre una candidatura congiunta M5s-Pd di Uggetti alle elezioni suppletive di Siena. Insomma, addio giustizialismo, benvenuto garantismo.
Per avere certezza del fatto che il giustizialismo sia ormai maggioritario soltanto tra i fuoriusciti basta guardare alle dichiarazioni di giornata di Alessandro Di Battista («Giorni fa non è stato arrestato anche il sindaco di Foggia in quota Lega? E che alcuni esponenti dei Cinque stelle lo hanno attaccato? Allora non dovevano attaccare il sindaco della Lega arrestato perché ovviamente è innocente fino a sentenza passata in giudicato?») e del senatore Nicola Morra («Di Maio ha fatto diversi errori, tra cui questo»), espulso dopo aver negato la fiducia al governo Draghi e proiettato verso un nuovo soggetto politico insieme alla collega Barbara Lezzi.
Certo, è solo adesso che i tempi iniziano a diventare maturi per un cambio di rotta così netto: «Se Di Maio l’avesse detto nel 2017 sarebbe stata tutta un’altra storia, ma da allora abbiamo smesso di guardare la partita da bordo campo e ci siamo resi conto che erano le regole a essere sbagliate», spiega ancora il deputato.
Quella di Di Maio ora sarà anche la linea dell’avvocato del popolo, che a inizio 2020 ancora si dichiarava «per principio né per il giustizialismo né per il garantismo». Per il momento, almeno nei gruppi, il piglio deciso con cui si sta prendendo la scena Di Maio piace, e più di qualcuno guarda già a lui come nuova guida, perché «Conte non convince fino in fondo». Anche perché del leader in pectore continua a vedersi ben poco: finita pure la lunga successione di assemblee congiunte, incontri con i vertici dei gruppi parlamentari e coi ministri Conte appare silente. «Prendi il blocco dei licenziamenti: per gli altri partiti intervengono Letta, Salvini, da noi nessuno si prende questa responsabilità», dice un parlamentare. Intanto, il nuovo appuntamento fissato dai maggiorenti per la convalida del ruolo di Conte è la prima settimana di giugno. Improbabile che il Movimento riesca a rispettarla.
Guerra di posizione
Quella dell’ex capo politico non è una strategia che punta allo scontro diretto, ma alla certezza che la sua immagine, dentro e fuori al Movimento, sia quella di chi ha in mano le redini. Sicuramente questo fatto è chiaro al presidente del Consiglio, Mario Draghi, che per avvisare il M5s delle decisioni prese sulle nomine nei giorni scorsi si è rivolto a Di Maio, non al suo predecessore.
Conte può soltanto rincorrere: la nota in cui si accoda alla lettera firmata dal ministro degli Esteri è arrivata solo in tarda mattinata e anche la rivendicazione di aver «inserito il primato della persona e della sua dignità nella Carta dei principi e dei valori del neoMovimento» è andata persa nel clamore che ha suscitato Di Maio. Il tre volte ministro è ben cosciente che attualmente il Movimento ha fortissimo bisogno di una figura come Conte per pescare elettori anche fuori dal gruppo, sempre meno numeroso, degli attivisti Cinque stelle.
Ed è questo il motivo per cui continua a restare in piedi il lunghissimo percorso che alla fine dovrebbe portare Conte alla leadership, ma i termini si allungano sempre di più e l’operato dell’avvocato di Vulturara Appula suscita poco entusiasmo nei parlamentari del Movimento.
«Conte trova sempre spazio in agenda per incontrare gli esponenti della società civile, mentre gli appuntamenti con i rappresentanti del M5s sono pochissimi: pare che debba accreditarsi prima di tutto lui. Per noi però vuol dire che quando saranno stese le nuove liste elettorali, nel 2023, magari all’ultimo saremo sostituiti come se nulla fosse», dice un deputato al primo mandato.
Un clima d’incertezza in cui gli eletti restano in attesa a guardare cosa si muove sopra le loro teste con rassegnazione.
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