- Una delibera firmata dal presidente Fontana introduce la possibilità di pagare meno i collaboratori: la soglia più bassa scende da 1.800 a 1.100 euro. Ora i deputati possono tenersi in tasca qualche centinaio di euro in più.
- Molti hanno preferito non assumere, quasi come una forma di protesta verso la delibera, colpevole di garantire un minimo salariale ai collaboratori. I lavoratori hanno così dovuto accettare una contrazione dei diritti.
- Al Senato il quadro è peggiore. Nella scorsa legislatura non c’è stata alcuna riforma e il tema non è in cima alle priorità di Ignazio La Russa.
I collaboratori precari e con uno stipendio al limite della soglia di povertà, mentre i deputati possono tenersi soldi aggiuntivi grazie all'arrotondamento arrivato proprio sulla pelle di chi lavora a loro stretto contatto. Il tutto con la benedizione del presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che ha assecondato le richieste, in realtà trasversali, dei colleghi.
Così i portaborse – secondo la vecchia etichetta – di Montecitorio tornano al passato, perdendo la garanzia di un minimo salariale dignitoso, introdotto dalla delibera dello scorso ottobre dall'allora presidente Roberto Fico. Quel testo aveva rappresentato una svolta, in particolare per i paletti retributivi previsti. Gli effetti sono stati però limitati: un’altra delibera, approvata dal nuovo ufficio di presidenza di Montecitorio, ha ritoccato al ribasso la remunerazione dei portaborse. Il testo ha infatti inserito nuove fasce di stipendio.
Soldi in tasca ai deputati
Il tetto era fissato a poco meno di 1.800 euro, pensato per dare un esempio: i collaboratori di chi legifera dovrebbero ricevere un compenso dignitoso. Adesso, invece, ci sono tre ulteriori scaglioni, da 1.600 euro, 1.300 euro fino al minimo di 1.100 euro, travestiti da impieghi part time. Ma senza garanzia che sia effettivamente così. Ogni parlamentare può insomma decidere di muoversi a piacimento, avendo la possibilità di trattenere qualche altra centinaia di euro, che si aggiunge all’indennità e alla diaria già percepite.
La questione dei collaboratori riguarda gli interessi economici degli eletti: i contratti attingono dalla voce delle spese di esercizio per il mandato, pari a 3.690 euro, di cui la metà non ha obbligo di rendicontazione, impiegata su vari capitoli, dall’organizzazione di eventi all’affitto di sedi, fino ai soldi dati ai partiti di appartenenza. Insomma, non c’era l’intenzione di privarsi di quelle risorse.
Nei fatti, con il limite di 1.800 euro avrebbero dovuto destinare la metà di quella dotazione per i collaboratori e quindi i deputati hanno spinto per il cambiamento delle regole voluto da Fico. Una posizione che ha unito maggioranza e opposizione, sebbene il centrodestra sia sempre stato più agguerrito su questo punto.
Blocco delle assunzioni
«Lo scopo di questo cambiamento è di liberare risorse per i parlamentari, presentandola come la garanzia di una maggiore flessibilità», dice il presidente dell’Aicp, l’associazione della categoria, Josè De Falco. L’operazione non è stata una sorpresa. Era stata già anticipata da Domani, subito dopo i primi giorni di legislatura.
A Natale c’era stato un primo tentativo nell'ufficio di presidenza, ma non si era arrivati a un testo definitivo. Dopo un paio di mesi, però, la delibera è stata approvata. Anche perché in questi mesi è cresciuta la pressione: i deputati hanno preferito non avere collaboratori, quasi come una forma di protesta verso la delibera, colpevole di garantire un minimo salariale ai lavoratori del palazzo, mettendoli con le spalle al muro; dovevano accettare una contrazione dei diritti in cambio di un ipotetico contratto. È stato attuato uno strisciante blocco delle assunzioni.
Si è peraltro verificato un cortocircuito, che ha visto deputati senza un collaboratore, figura necessaria a svolgere la funzione per la scrittura di emendamenti, interrogazioni o anche proposte di legge. In tanti hanno sovraccaricato il personale dei gruppi parlamentari pur di respingere la soluzione offerta dalla delibera Fico, nell’attesa di un cambiamento.
Al Senato va peggio
Tra le poche voci dissonanti si è levata quella dell’Alleanza verdi-Sinistra. «L’introduzione di una soglia di reddito di 1.100 euro finisce per creare una fascia di collaboratori mal pagati che spesso finiscono per svolgere le stesse mansioni e gli stessi orari degli altri collaboratori a retribuzione ben più alta», dice il deputato di Avs, Filiberto Zaratti, che in ufficio di presidenza ha votato contro il testo.
«Dopo decenni di lotte», osserva De Falco, «il collaboratore-milleuro ritorna a Montecitorio, con una operazione ipocrita che non interviene sulla anomalia italiana in materia». L’unica consolazione è che la delibera ha conservato il principio secondo cui la Camera funge da sostituto d’imposta.
E intanto al Senato il quadro è peggiore: se a Montecitorio si assiste a una contrazione dei diritti, nell’altro ramo del parlamento al momento non c'è alcun diritto. Nella scorsa legislatura, l’allora presidente di Palazzo Madama, Elisabetta Casellati, non ha fatto varare la riforma. E il successore, Ignazio La Russa, non ha messo la vicenda in cima alle priorità del suo mandato.
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