I presidi chiedono l’autonomia e hanno paura delle riaperture, Conte non vuole mettere in discussione la ripresa in presenza al 50 per cento il 7 gennaio. L’ipotesi sarebbe istituire una zona arancione per i festivi e prefestivi, gialla 7-8 e tornare all’Rt negli altri. Nessuna decisione sugli spostamenti tra regioni, si aspetta il parere del comitato tecnico scientifico
Il governo sta studiando un provvedimento ponte per «coprire» il periodo tra la data in cui scade il decreto Natale e l'ultimo Dpcm, quindi tra il 7 e il 15 gennaio, arriverà perciò nelle prossime ore un’ordinanza del ministero della Salute, Roberto Speranza e non un nuovo Dpcm. Il confronto tra il premier Giuseppe Conte e i capi delegazione della maggioranza non ha portato decisioni definitive ma orientamenti che verranno discussi con il Comitato tecnico scientifico.
L'insieme delle misure potrebbe riguardare l'assetto delle restrizioni regionali e dunque gli spostamenti, ma su questo ci sarà anche un confronto con le Regioni. Per adesso l’ipotesi è stabilire una zona gialla su base nazionale per i giorni feriali, dunque il 7 e l’8, che potrebbe comunque avere restrizioni maggiori, e fissare ancora una volta una zona arancione per i festivi e prefestivi, dunque il 9 e il 10 gennaio. In ogni caso non è detto che ci sarà un via libera agli spostamenti tra regioni allo scadere del decreto legge il 6 gennaio. A quel punto l’idea è tornare alle fasce a seconda dell’Rt, dell’indice di contagio.
Le scuole
Resta incerta la situazione delle scuole. Il governo si dovrà confrontare con il Comitato tecnico scientifico. I presidi hanno chiesto una riconferma dell’autonomia scolastica, ovvero che siano direttamente i presidi a decidere il rientro. Il presidente dell’associazione nazionale dei presidi Antonello Giannelli ha chiesto di non avviare «scaglionamenti irragionevoli»: «Con l’avvicinarsi della data del 7 gennaio, e quindi del ritorno a scuola degli studenti delle superiori, assistiamo a numerose polemiche tra Regioni e Governo sulla opportunità o meno di tale ripresa. Ci si deve basare sulle evidenze scientifiche rappresentate dal Cts e quindi sì alla riapertura in presenza ma solo se non ci sono rischi per l’incolumità di studenti e personale». La frequenza «deve essere ripristinata ma senza turnazioni dannose per l’organizzazione di vita e di studio dei ragazzi, limitando al massimo l’ampiezza degli scaglionamenti. Fondamentale requisito è che sui mezzi di trasporto vengano rispettate adeguate misure di sicurezza. Dentro le scuole le regole vengono rispettate e il rischio di contagi è minimo, come attestato da studi internazionali».
Un’ulteriore richiesta «è che il passaggio delle presenze dal 50 per cento al 75 per cento sia graduale e demandato alle decisioni delle singole scuole. Costringerle a continue riorganizzazioni orarie è deleterio per la qualità della didattica». Per il presidente dell’associazione «va rispettato il ruolo di garanti della sicurezza dei dirigenti scolastici senza imporre loro soluzioni preconfezionate e maldestre».
Il presidente del consiglio Giuseppe Conte, a quanto riferiscono dopo il vertice, sarebbe dell’idea di restare comunque fermi sull’ipotesi del 50 per cento di didattica in presenza anche per le scuole superiori su base nazionale.
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