Con 262 voti a favore il governo Draghi non è riuscito a superare il governo Monti a cui rimane il record dell’esecutivo più sostenuto nella storia repubblicana. A esprimersi favorevolmente nei confronti del governo guidato dall’ex presidente della Banca centrale europea sono stati i gruppi parlamentari del Partito democratico, Lega, Forza Italia e gran parte del Movimento cinque stelle e di Liberi e Uguali. L’unica forza politica che ha deciso in toto di non sostenere il nuovo presidente del Consiglio è stata Fratelli d’Italia. Quello di Draghi è quindi il terzo governo più votato nella storia al senato dopo l’esecutivo guidato da Monti e l’Andreotti IV che ottenne 267 voti.

Il paragone con Monti

Il record che il governo Draghi non è riuscito a sorpassare è quello del governo Monti. Il 17 novembre 2011 il nuovo esecutivo tecnico guidato dal professore della Bocconi si era presentato al senato ottenendo la fiducia con 281 voti favorevoli, 25 contrari e nessun astenuto. Il giorno dopo, il 18 novembre, aveva ottenuto un altro forte consenso anche alla Camera dei deputati con 556 voti favorevoli, 61 contrari e nessun astenuto.

Molti commentatori avevano notato alcune somiglianze tra i due governi. Seppure mista ovvero con la presenza nell’esecutivo sia di tecnici sia di politici e quindi diversa dalla composizione esclusivamente tecnica del governo Monti, la compagine governativa guidata da Mario Draghi sembrava avere diversi punti di contatto con quella dell’ex commissario europeo: entrambi i governi erano guidati da due economisti di fama internazionali e hanno preso il potere in due momenti difficili della recente storia nazionale: la crisi economica del 2011 e la pandemia causata dal Covid-19 iniziata nel 2020.

Inoltre, diversi analisti avevano detto di ritenere la formazione di entrambi gli esecutivi l’esempio plastico del fallimento della politica costretta a chiamare un “re straniero” per non concludere la legislatura. Nel suo discorso al senato, Draghi ha però voluto smentire questa ricostruzione dicendo: «Non condivido quest’analisi. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese».

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