- Secondo la Guardia di finanza l’Alpi Aviation, azienda che realizza velivoli a pilotaggio remoto, è stata acquisita da una società controllata dallo Stato cinese
- L’operazione sarebbe avvenuta con modalità opache ed in violazione della legge 185/90 e del Golden power, normativa che tutela gli asset strategici italiani
- La Cina ha investito più volte in Italia ed Europa usando società private create ad hoc per celare la sua presenza e aggirare le norme nazionali e comunitarie
Si apre un nuovo capitolo nella vicenda Alpi Aviation, l’azienda con sede a Pordenone produttrice di droni per le Forze armate italiane e finita nel 2018 in mano cinese. Secondo quanto rivelato dalla Reuters, il governo italiano avrebbe intenzione di presentare una diffida per far fallire l’accordo di cessione del 75 percento del capitale dell’azienda agli investitori stranieri, sulla base di quanto previsto dal cosiddetto Golden power. Questa normativa attribuisce poteri speciali alle autorità nazionali, che possono così opporsi all’acquisizione di una società attiva in settori strategici quali difesa, sicurezza nazionale, trasporti, energia, comunicazioni, sanità e finanza.
Cosa è successo
Il caso dell’Alpi Aviation si è aperto a settembre, quando la Guardia di finanza ha contestato all’azienda la violazione della legge 185/90 che regola l’export di armamenti e della disciplina del Golden power. Al centro delle indagini vi era l’acquisizione del 75 percento delle quote dell’azienda italiana da parte della Mars information tecnology Co, società con sede a Hong Kong e che secondo gli investigatori farebbe capo allo Stato cinese. Per la Guardia di finanza, dietro alla Mars ci sarebbero due società controllate dalla Commissione per la supervisione e l’amministrazione dei beni di proprietà statali del Consiglio di Stato della Cina.
Riuscire a risalire al vero acquirente della Alpi Aviation non è stato semplice. L’operazione è stata condotta con modalità volutamente opache, con ritardi nelle comunicazioni al Consiglio dei ministri ed omissioni di informazioni rilevanti, per evitare che il socio straniero potesse essere riconosciuto. Questa almeno è la versione delle Fiamme gialle, contestata dall’azienda. Adesso sarà compito del Dipartimento per il coordinamento amministrativo valutare se l’Alpi Aviation abbia violato o meno l’obbligo di notifica dell’acquisizione da parte cinese, andando contro quanto previsto dal Golden power. In questo caso, il governo Draghi potrebbe annullare l’operazione, come già accaduto in passato con il blocco degli acquisti da parte cinese dell’azienda produttrice di sementi Verisem e della Lpe, attiva nel settore dei semiconduttori.
A preoccupare però è anche il trasferimento di conoscenze tecniche, intellettuali e produttive dell’azienda friulana avviato dalle società cinesi subito dopo l’acquisizione dell’Alpi Aviation. Pechino, secondo alcuni analisti citati dal Wall Street Journal, è solita utilizzare società private create in alcuni casi ad hoc per acquisire know-how strategico di paesi terzi senza palesare la propria presenza. Di certo l’acquisizione di droni e competenze tecniche italiane rappresenta un salto di qualità per la Cina, sempre più concentrata sulla produzione di velivoli a pilotaggio remoto e sul rafforzamento delle proprie capacità belliche.
Gli investimenti cinesi
Quello nella Alpi Aviation è solo uno dei tanti investimenti portati avanti più o meno apertamente dal governo cinese in Italia e in Europa. Secondo i dati del Rhodium group, gli investimenti diretti di Pechino nel mercato comunitario sono cresciuti di 50 volte negli ultimi otto anni e si sono diretti anche verso aziende attive in settori strategici come quello tecnologico, dell’high-tech e della difesa. Tra i paesi destinatari dei flussi monetari cinesi vi è anche in Italia: fino al 2020, Pechino ha investito nel nostro paese circa 31 miliardi di dollari.
Nell’arco degli ultimi dieci anni diversi gruppi cinesi hanno anche acquisito più di 300 aziende europee, ma secondo la società di consulenze olandese Datenna in centinaia di casi l’acquirente era una società partecipata dal governo cinese, la cui presenza era molto spesso tenuta nascosta grazie a strutture societarie complesse. Come nel caso dell’Alpi Aviation. Lo studio di Datenna ha preso in esame anche 56 acquisizioni avvenute in Italia dal 2010: nel 16 percento dei casi l’influenza del governo cinese è ritenuta “alta” in quanto lo Stato controllava l’acquirente, mentre nel 21 percento Pechino ne possedeva solo alcune quote, non necessariamente maggioritarie.
Il problema però non è solo italiano. Emblematici sono stati anche i casi della Anteryon optical solutions, società olandese di semiconduttori acquisita per il 73 percento dalla cinese Jingfang optoelectronics a sua volta controllata al 66 percento da un fondo del governo, o ancora quello della tedesca Fuba. L’azienda, specializzata nella radiotrasmissione tra veicoli, è stata acquistata nel 2015 dal Northeast industries group, controllata secondo Datenna da un organo del Consiglio di stato cinese.
La legislazione Ue
Come sottolineato da Reuters, il caso dell’Alpi Aviation dimostra quanto pervasiva sia la presenza di Pechino in Europa e quanti rischi corrano settori strategici come quello militare e tecnologico. Una situazione evidenziata un anno prima anche dal Wall Street Journal, che invitava l’Ue a dotarsi di un organo simile al Comitato sugli investimenti esteri negli Stati Uniti, che si occupa di analizzare le implicazioni per la sicurezza nazionale degli investimenti stranieri nel paese.
Per sopperire a questa mancanza, nel marzo del 2019 l’Ue ha adottato il primo regolamento sul controllo degli investimenti stranieri diretti (l’Eu fdi screening Regulation) con il duplice obiettivo di tutelare gli interessi strategici europei e salvaguardare l'apertura del mercato comunitario. Il Regolamento istituisce un quadro per il controllo degli investimenti stranieri, agevola lo scambio di informazioni tra Stati membri e Commissione e affida a quest’ultima il compito di esprimere pareri sulla minaccia che un determinato investimento potrebbe rappresentare per la sicurezza pubblica e gli interessi comunitari. L’ultima parola però spetta sempre al singolo Stato, come dimostra l’applicazione in Italia del Golden power.
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