Nella scelta di Elly Schlein di precipitarsi da Bologna a Perugia nel pomeriggio, dopo aver festeggiato la vittoria di Michele de Pascale, c’è certo la soddisfazione per il risultato dell’Umbria, ma anche il sollievo per il pericolo scampato. Il centrosinistra, poderosamente guidato dal Pd che cresce ovunque nelle due regioni al voto, si riprende l’Umbria, una riconquista data per incerta fino agli exit poll. E così l’aria pesante del chiarimento interno nel Pd si dirada.

Finisce due a zero l’election day delle regionali, e due a uno la tornata iniziata (male) un mese fa con la sconfitta di Andrea Orlando in Liguria. La sindaca di Assisi Stefania Proietti ottiene oltre il 51 per cento e manda a casa la presidente leghista Donatella Tesei, che non va oltre il 45. E finalmente chi scommette nella coalizione progressista, cioè soprattutto la stessa Schlein, ha un risultato concreto da vantare: proprio nella regione in cui nel 2019 il «campo largo» era nato e subito sconfitto. All’epoca il Pd era guidato da Nicola Zingaretti e il M5s da Luigi Di Maio; stavolta ci sono Schlein e Giuseppe Conte. È andata molto bene anche in Emilia-Romagna, dove Michele de Pascale già dall’inizio dello scrutinio si piazzava sopra il 56 per cento e staccava l’avversaria Elena Ugolini, giù al 40.

Il Pd corre, M5s stenta

Ma è il risultato umbro a fare la differenza. E, a guardare i numeri, l’unico partito a poter cantare vittoria è il Pd. Che riconquista la guida della regione e balza dal 22 per cento del 2019 a oltre il 30. Gli altri alleati pagano un obolo alla coalizione. Soprattutto i Cinque stelle: al precedente turno erano al 7,5 per cento, stavolta non arrivano al 5. I numeri assoluti penalizzano tutti. Tutti perdono voti, in Umbria dal 64 per cento l’affluenza cala al 52. Non è un tonfo come in Emilia-Romagna, dove l’elettorato al voto non è neanche la metà degli aventi diritto (il 46,5 per cento), ma non è una buona notizia.

Invece la buona notizia, di certo per Schlein, è che l’unità paga. Stavolta. Fin qui alle regionali non era mai successo, a eccezione della Sardegna guidata dalla contiana Alessandra Todde.

Fiutato il risultato, Matteo Renzi ha convocato una conferenza stampa per stamattina. Ma Raffaella Paita, coordinatrice di Iv, ha già anticipato l’antifona: «Dove siamo uniti si vince. Dove siamo divisi si perde. Qualcuno capirà prima o poi?».

Ce l’ha con Conte: che in queste regionali non ha incassato un risultato decente da vantare alla vicinissima Costituente, l’assemblea nazionale, dal 21 novembre al 24 a Roma. L’alleanza è un tema al vaglio, uno di quelli che preoccupano il presidente, che farà la sua relazione il 23. Da Perugia, un dem esperto come Walter Verini sa che il punto è delicato: il Pd è andato forte, dice, «le altre forze hanno avuto risultati minori, ma al di là del fatto numerico dobbiamo costruire alleanze con tutti. Il Pd più è forte e più avrà la vocazione di parlare a tutti senza arroganza. C’è posto per tutti».

Una vittoria riformista

In Emilia-Romagna il risultato del sindaco di Ravenna era annunciato. Alle cinque del pomeriggio il distacco fra candidati era già un abisso, i giochi fatti. Quando la sconfitta ha chiamato il vincitore de Pascale era già salito sul palco del centro culturale di Bologna dove era stata allestita una scenografia rossa d’ordinanza, ed era già un presidente che si rivolgeva alla premier. Ha parlato dell’alluvione, «per un anno e mezzo abbiamo avuto solo polemiche e insulti: ora venga un grande “basta”, si inizi a lavorare con spirito istituzionale». Ha chiesto di incontrare Meloni, di stringere «un patto repubblicano», rivendicando per sé il ruolo di commissario straordinario.

Sotto il palco Elly Schlein e Stefano Bonaccini lo ascoltavano abbracciati. Poi sono saliti al suo fianco. C’era anche il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, e il responsabile organizzazione del partito, Igor Taruffi: è la foto del Pd tendenza Schlein e di quello riformista, di cui del resto de Pascale è una formidabile nuova leva. L’affluenza è crollata rispetto al 67,7 per cento del 2020. Le analisi dei flussi spiegheranno se è stata la destra a non portare i suoi alle urne, o se un risultato scontato ha mobilitato poco l’elettorato di centrosinistra.

Resta però il risultato straordinario per il Pd, almeno in percentuale; migliora il 36 per cento delle europee in questa regione: stavolta veleggia oltre il 41 per cento doppiando FdI. Ma anche qui l’algoritmo è quello pericoloso per gli alleati: i Cinque stelle, per la prima volta in coalizione con il centrosinistra, perdono per strada quasi tre punti percentuali dalle europee, ben sei dalle politiche e un punto abbondante dalle scorse regionali dove, correndo autonomamente, avevano portato a casa il 4,75 per cento; stavolta non arrivano al 4, un soffio sopra quella che i contiani considerano amaramente «la linea di galleggiamento» del 3 per cento del Movimento alle amministrative. Un risultato inferiore alla lista civica di de Pascale. Anche Avs non ha bissato il risultato europeo e si è fermata intorno al 5 per cento. Ma il risultato è buono lo stesso: la scorsa volta non era presente come lista rossoverde.

I «cespugli» hanno donato sangue alla coalizione: da oggi la segretaria Schlein dovrà convincere i compagni di strada che la via dell’unità conviene a tutti, anche a chi perde voti. Ragionamento difficile da far digerire a Conte.

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