Tra gli atti dell’indagine su Visibilia ci sono le registrazioni fatte dai dipendenti. Le riflessioni della ministra sono degne di un copione da cinepanettone
Se fosse un film questa storia di affari, truffe e trucchetti, sarebbe una pellicola dei fratelli Vanzina. La location è Milano, “capitale morale del paese”. La protagonista è Daniela Garnero Santanchè, manager, politica, un tempo berlusconiana, poi meloniana. Oggi ministra del Turismo, amica del presidente del Senato, Ignazio La Russa.
Il Santanchè pensiero, i reati di truffa e falso li valuteranno i giudici, emerge dalle sette conversazioni intrattenute con i suoi dipendenti tra il 2019 e il 2022 e registrate dai lavoratori. I colloqui, che Domani ha letto, sono agli atti del fascicolo che vede la ministra sotto indagine per falso in bilancio di Visibilia, ma riguardano l’uso irregolare dei fondi della cassa integrazione Covid visto che i dipendenti continuavano a lavorare. Vicenda, quest’ultima, per la quale la procura di Milano ha già chiesto il rinvio a giudizio della ministra con l’accusa di truffa ai danni dell’Inps.
Come Aranzulla
Nelle registrazioni Santanchè discettava del crollo dell’editoria, della necessità degli aiuti di stato, in fondo lei è «una venditrice...i giornali non li so fare». Per arginare la crisi propone ai giornalisti di organizzare convegni sul 5g. Il che aveva suscitato l’ilarità generale: «Siamo quattro gatti...non se lo fila nessuno il convegno sul 5g», commentavano.
Ma l’attuale ministra non si perdeva d’animo. E dopo una critica alla vecchia proprietà, Mondadori, tirava fuori dal cilindro la soluzione vincente, ormai però impraticabile: «Cavolo, allora c’è Aruba, io non lo so come cavolo... Aruba...come si chiama quel sito che fan tutti i video, tutte le cose che ti spiegano?», si interrogava la manager. In soccorso arrivava un dipendente: «Aranzulla?». E Santanchè conferma: «Mizzica...quelli sono dei fenomeni...dovevamo essere noi Aranzulla». Santanchè avrebbe voluto fare a meno degli aiuti di stato, ma le idee buone erano già venute ad altri e così si soffermava sul giornalismo moderno e la lunghezza degli articoli della rivista, Pc professionale, edita dal suo gruppo Visibilia: «Quindi io parlo da una che non capisce, denuncio la mia ignoranza in questa cosa. Però io guardando il giornale, vedo paginate di articoli...Dico: “Mizzica, che rottura di coglioni per chi le legge”».
Santanchè, finiti gli aiuti di stato, non aveva più denari da investire: «Signori, il 100 per cento dello stipendio dimentichiamocelo, perché io piuttosto chiudo il giornale».
Ma è in conclusione della prima riunione con i dipendenti, quella svoltasi nel novembre 2019, che Santanchè mostrava la poca dimestichezza con la deontologia professionale: «Comunque devo dire che sulla pubblicità abbiamo fatto un lavoro pazzesco, questo anche grazie a voi, eh. Perché se riusciamo noi a fare le cose vendendo...In questo siete bravissimi», diceva. La risposta di un giornalista-dipendente era leggermente preoccupata: «Rischio di essere radiato dall’albo», ma la manager rassicurava da par suo: «Macché radiato dall’albo». Una rassicurazione non sufficiente. «È pubblicità occulta», insisteva il giornalista. «Radiano gli altri, noi saremo gli ultimi», lo tranquillizzava l’amica della presidente del Consiglio.
Tutto Covid
Nelle riunioni Santanchè rifletteva anche sul Covid, l’importanza del vaccino, ma non solo: «Avete visto quelli che hanno denunciato l’ospedale, la mamma è morta in un incidente e gli hanno scritto “Morta di Covid”, l’ospedale prende 2mila euro. Adesso sono morti tutti di Covid, eh», denunciava Santanché.
Ma torniamo agli affari. Dimitri Kunz, compagno di Santanchè, perdeva le staffe con un collaboratore al telefono e lo sistemava a modo suo: «Sei un cretino, te lo dico ufficialmente, ora ti mando anche il diploma, di coglione». Sembra un cinepattone, ma non lo è, erano riunioni per rilanciare le riviste del gruppo. Proprio durante una conversazione Santanchè, all’epoca deputata di opposizione, aveva scoperto come bloccare la solidarietà e attivare la cassa integrazione Covid. «E perché non ce l’avete detto?», diceva al collaboratore. Avevano scoperto che è in deroga e pagata dall’Inps. «Comunque noi il nostro mantra che non ci rimettiamo più una lira (allude all’ultimo aumento di capitale, ndr). Piuttosto i giornali li chiudiamo... questi anni ho sofferto», ammetteva Santanchè. Il giornale resterà aperto con i lavoratori in cassa integrazione, ma che continuavano a lavorare.
Domani aveva rivelato il contenuto delle dichiarazioni di due lavoratrici, ma altre sostanziano quanto emerso aggiungendo altri particolari. «Ho continuato a lavorare...con gli stessi ritmi, il giornale è continuato a uscire regolarmente», ha raccontato un altro dipendente. Sono gli ispettori dell’Inps, nella loro relazione, a inguaiare Santanchè e i referenti della società: «Hanno indotto i dipendenti a lavorare nonostante si fosse attivata la procedura di Cassa Integrazione in deroga...per remunerare le prestazioni di lavoro rese durante il periodo di cassa integrazione, le società hanno effettuato dei pagamenti in denaro al personale registrandoli come rimborsi spese, mascherando la vera natura delle erogazioni».
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