- Le comunali di Roma del 1993 hanno segnato lo sdoganamento della destra missina e l’avvio del bipolarismo, ma anche l’inizio di una lunga fase di predominio del centrosinistra nell’amministrazione della capitale.
- Dalle comunali del 2016 il centrosinistra ha perso la periferia est. Il fenomeno si è poi acuito e alle elezioni del 2019 si è registrata quasi una perfetta cesura tra le zone centrali a maggioranza di sinistra e tutte le periferie a maggioranza di destra.
- Le amministrative di ottobre risponderanno quindi a tre quesiti: in che misura Meloni ripristinerà il primato dei post missini nel centrodestra; in che misura l’elettorato fluttuante demo-grillino convergerà nel ballottaggio sull’antagonista del candidato di centrodestra; in che misura la frattura politica tra i quartieri di classe media del centro e le periferie si attenuerà o risulterà ulteriormente accentuata.
Le comunali di Roma del 1993, con l’endorsement di Silvio Berlusconi a Gianfranco Fini, hanno segnato lo sdoganamento della destra missina e l’avvio del bipolarismo, ma anche l’inizio di una lunga fase di predominio del centrosinistra nell’amministrazione della capitale.
Da Rutelli a Raggi
Grazie a strategie di sviluppo concepite nel rapporto con una molteplicità di interlocutori del mondo economico e sociale, e alla loro buona immagine, sia Francesco Rutelli sia Walter Veltroni sono riusciti non solo a essere eletti due volte, ma anche ad allargare il consenso.
Nel 2006 Veltroni ha vinto al primo turno con oltre il 61 per cento dei voti. Forse da qui l’ipotesi che quella stagione potesse continuare con gli stessi protagonisti. Rutelli nuovamente candidato nel 2008 è stato battuto però al ballottaggio da Gianni Alemanno, al termine di una campagna dalla destra sulla sicurezza e il degrado delle periferie (mentre, va detto, lo stesso giorno, seppure di poco, Nicola Zingaretti prendeva a Roma qualche voto in più del suo avversario nella competizione per la presidenza della provincia).
Nel 2013 è stato Ignazio Marino, candidato Pd, l’interprete più efficace delle attese di cambiamento e del disagio. I Cinque stelle, che avevano già ottenuto un notevole successo alle politiche di febbraio, alle amministrative di maggio hanno visto i loro consensi dimezzati e Marino ha travolto Alemanno al secondo turno con il 64 per cento. Si sa poi come è andata, con i conflitti tra lui e la dirigenza nazionale del Pd (Matteo Orfini, Matteo Renzi) finiti con le dimissioni davanti al notaio dei consiglieri di maggioranza che hanno portato al commissariamento del comune ed elezioni anticipate, nel mezzo dalla tempesta giudiziaria di Mafia capitale. Si è creato così il più favorevole dei contesti per l’ascesa al Campidoglio della cittadina portavoce (come allora i grillini dicevano dei loro eletti, neofiti della politica per statuto) Virginia Raggi.
Il radicamento della destra
La storia elettorale romana post 1993 si contraddistingue dunque, da un lato, per il notevole radicamento della destra post missina, che prima di confluire nel Popolo delle libertà (2009) ha viaggiato, a Roma, tra il 20 e il 30 per cento dei consensi, rimanendo stabilmente la prima forza politica del centrodestra. Dall’altro, per una tendenziale prevalenza del centrosinistra, fino a ora interrotta solo in due elezioni su sette. Inoltre, per una notevole volatilità, con passaggi consistenti di elettori tra voto e astensione, oltre che tra candidati di aree politiche diverse. In tre casi (1997, 2006, 2013) a vantaggio del centrosinistra, in due (2008, 2016) a vantaggio dei suoi avversari. È importante notare che sia nelle elezioni del 2013 che in quelle del 2016 lo spostamento ha riguardato elettori fluttuanti tra la sinistra e il M5s, che nel 2013 sono confluiti in blocco su Ignazio Marino, nel 2016 su Virginia Raggi.
Come per le altre grandi città, all’Istituto Cattaneo abbiamo studiato la geografia del voto chiedendoci cosa potremo capire, attraverso questa lente, dai risultati di ottobre riguardo alla base elettorale delle principali forze e aree politiche. L’analisi, a cui hanno collaborato in questo caso anche Lavinia De Santis e Federico Tomassi, si è avvalsa del prezioso contributo per la geolocalizzazione dei dati offerto dal progetto Mappa Roma. Sui dettagli metodologici e la serie completa delle cartografie elettorali rinvio a www.cattaneo.org.
Benessere e disagio
Come di consueto, dopo avere escluso quelle con bassissima densità abitativa, abbiamo classificato le zone urbanistiche in cui è articolato il territorio comunale in base al grado medio di benessere socioeconomico dei residenti, misurato attraverso indicatori relativi ai livelli di istruzione (percentuale di laureati, dispersione scolastica tra gli studenti delle scuole medie inferiori), al tasso di disoccupazione e al valore medio degli immobili per metro quadrato.
Il viola intenso della relativa mappa segnala le zone più benestanti, l’arancione intenso quelle in cui la condizione dei residenti è mediamente più disagiata, i colori più tenui livelli intermedi. I due colori servono per mettere meglio in evidenza i poli opposti (aree più benestanti e aree di maggiore disagio), ma questo non deve far pensare che il passaggio tra le zone colorate con il viola e con l’arancione più tenui corrisponda al confine tra benessere e disagio.
Come si può notare, le zone a maggior disagio sono tutte in aree periferiche, intorno e fuori dal Grande raccordo anulare (Gra), ma non tutte le periferie sono disagiate. L’area del disagio più ampia e più densamente popolata coincide con il quadrante est, lo spicchio di città compreso tra la via Tiburtina e la Tuscolana, che assume una colorazione via via più accesa di arancione quanto più ci si sposta dal centro e include, nella parte più prossima al centro, quartieri ex operai come Centocelle, in quella estrema, quartieri di case popolari come Tor Bella Monaca o San Basilio e borgate di origine abusiva (come a Torre Angela).
Le aree benestanti più ampie e riconoscibili sono collocate invece in tre punti diversi: nei quartieri del centro (in senso ampio) disposti a raggiera intorno al centro storico (ad esempio Prati, Parioli, Trieste, Nomentano, San Giovanni, Monteverde, Aurelio, Balduina); lungo la dorsale che si sviluppa a nord-ovest tra le vie Cassia e Flaminia, da Ponte Milvio fino all’Olgiata; nel quadrante sud, nello spicchio di città delimitato dalla via Appia (a sud-est) e dalla via del Mare, parallela alla via Ostiense (a sud-ovest), che porta dall’Eur fino a Casal Palocco e Ostia. Le altre aree fuori dal Gra, a ovest e nord, sono poco urbanizzate e presentano una limitata densità abitativa.
Il quadrante est
Nelle elezioni europee del 1999 e nelle politiche del 2001, le prime per le quali i dati sono disponibili in una forma che ci consenta di rappresentarli su mappa, è abbastanza evidente che il centrosinistra risultava più forte (o meno debole) soprattutto nel quadrante della periferia est, secondo le attese del voto di classe canonico del Novecento. Risultava inoltre in vantaggio sul centrodestra nelle periferie di classe media del quadrante sud. Il centrodestra era più forte nelle zone benestanti lungo la Cassia e in quelle a sud (all’Eur e tra le megaville per super ricchi dell’Appia Antica). Il centro cittadino risultava invece un’area contesa, con zone borghesi come i Parioli o Ponte Milvio nettamente spostate a destra.
Negli anni successivi il centrosinistra si è rafforzato progressivamente in tutte le zone di classe media con alti titoli di studio, soprattutto quelle in via di trasformazione come Montesacro o la Garbatella (resa nota dai giri in vespa di Nanni Moretti in Caro Diario, poi rilanciata dai Cesaroni), in centro e lungo la via del Mare.
Tuttavia, anche quando tutta la città si è tinta di rosso, come nelle comunali del 2006 con Veltroni o ancora nel 2013 con Marino, il successo del centrosinistra risulta assai più marcato nelle aree popolari del quadrante est.
Inversione di rotta
Anche a Roma, come a Milano e Torino, la netta inversione del voto di classe avviene dopo il successo del Pd a guida Renzi del 2014.
Dalle comunali del 2016 il centrosinistra ha perso la periferia est. Il fenomeno si è poi acuito, tanto che i risultati delle elezioni del 2019 proiettano una quasi perfetta cesura tra le zone centrali a maggioranza di sinistra e tutte le periferie, sia quelle ricche sia quelle disagiate, a maggioranza di destra. E anche sommando i voti andati ai partiti di centrosinistra con quelli del MoVimento (sempre più forte nelle periferie), la frattura si attenua ma non scompare.
Le amministrative di ottobre risponderanno quindi, a Roma, a tre quesiti, non relativi al “se” ma al “quanto”: in che misura il partito di Giorgia Meloni ripristinerà il primato dei post missini nel centrodestra; in che misura l’elettorato fluttuante demo-grillino convergerà nel ballottaggio sull’antagonista del candidato di centrodestra (tanto i sondaggi quanto la storia elettorale danno per favorito Roberto Gualtieri); in che misura la frattura politica tra i quartieri di classe media del centro e le periferie (sia ricche che disagiate) si attenuerà o risulterà ulteriormente accentuata.
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