Qualcosa è accaduto nelle ex-regioni rosse dell’Italia di mezzo. Non una vera remuntada ma sicuramente una ripresa del Pd. Nelle elezioni europee che si sono appena concluse, quest’ultimo ha messo a segno un buon risultato in quelle che un tempo erano considerate delle roccaforti della sinistra: soprattutto l’Emilia-Romagna e la Toscana, ma anche l’Umbria e la parte settentrionale delle Marche.

Queste regioni, nel secondo Dopoguerra, avevano assicurato al Partito comunista un consistente serbatoio di voti e un formidabile insediamento politico-amministrativo. Anche dopo il crollo della Prima repubblica avevano confermato, elezione dopo elezione, la maggioranza ai partiti eredi del Pci e alle coalizioni da essi guidate.

Dopo la grande recessione del 2008-2013, però, le cose sono iniziate a cambiare, con i primi forti arretramenti elettorali. Nelle politiche del 2018 c’è stato addirittura il sorpasso. In Emilia, in Umbria e nelle Marche, la coalizione di centrodestra, allora a trazione leghista, ha superato quella di centrosinistra.

Il risultato è stato poi confermato nelle europee del 2019 e poi di nuovo nelle politiche del 2022, seppure con la sostituzione di Fratelli d’Italia come principale “partito sfidante”. A differenza di quanto avveniva in passato, il centro-destra è anche riuscito a penetrare al centro del modello di sviluppo di queste regioni: nei distretti industriali. Nel 2008, otteneva la maggioranza in appena 10 dei 50 comuni capofila dei distretti. Dieci anni dopo in ben 34. Insomma, è finita un’epoca.

Segnali di ripresa

Le elezioni che si sono appena concluse, tuttavia, lasciano intravedere una forte inversione di rotta. In Emilia-Romagna il Pd è ritornato a essere il primo partito con il 36,1 per cento dei consensi, recuperando ben 8 punti sulle politiche del 2022.

A Bologna ha raggiunto il 40,3 per cento. Nelle altre tre regioni gli incrementi elettorali sono più che apprezzabili: oltrepassano il 5 per cento. Anche le amministrative confermano il trend positivo. Seppure a Firenze viene costretto al ballottaggio, il Pd con le sue coalizioni prevale al primo turno in ben 6 municipalità (Prato, Livorno, Pesaro, Reggio-Emilia, Modena, Cesena), contro le tre del centro-destra (Ascoli Piceno, Forlì, Ferrara).

E pure nei distretti industriali si scorgono segnali di ripresa, con la riconquista della leadership del Pd in diversi di essi. Certo non è tutt’oro quel che luccica, ma si tratta sicuramente di passi avanti che vanno saputi cogliere.

Soprattutto quelli dell’Emilia-Romagna, da cui provengono sia il presidente sia la segretaria del Pd. Perché il cosiddetto “laboratorio emiliano” ha rappresentato per molto tempo una possibile “via alta allo sviluppo”, capace di tenere insieme crescita economica e politiche sociali avanzate; dinamismo di mercato e regolazione pubblica; benessere privato e democratizzazione politica.

Il “laboratorio emiliano”

Seppure affaticato e bisognoso di un ripensamento, quel laboratorio è tutt’altro che scomparso (Anna Bosco, Francesco Ramella, Cosa resta del modello emiliano?) e può aiutare a riflettere sulle sfide che la sinistra si trova davanti. Non solo sul fronte dell’organizzazione e dell’identità politico-culturale, ma anche del progetto-paese da proporre agli elettori.

Perché proprio quella regione insegna che la sinistra ha dato il meglio di sé laddove è stata capace di orientare pragmaticamente le proprie bussole identitarie verso le sfide dell’avvenire (come si diceva una volta).

Un orizzonte di speranza

La destra oggi ammicca a una società invecchiata e sfiduciata, puntando sul piccolo cabotaggio dell’evasione, sulle paure, sulla chiusura e il prepensionamento del paese. Insomma, su una “via bassa allo sviluppo” che, in realtà, favorisce il declino economico e sociale.

La sinistra, al contrario, dovrebbe promuovere, oltre alle tutele sociali, anche un orizzonte aperto di speranza, pensando soprattutto ai giovani. Mostrando che la crescita economica, la coesione sociale e la sostenibilità ambientale possono andare di pari passo; che uno sviluppo equo si basa non solo sulla competitività delle imprese, ma anche sull’efficienza della pubblica amministrazione e sulla dotazione di beni collettivi.

Ma le regioni non possono farcela da sole. È bene ricordarlo a chi punta sull’autonomia differenziata. Poiché, diversamente dal passato, le sfide attuali sono di scala superiore alle loro forze e richiedono un progetto di governo nazionale ed europeo, orientato allo sviluppo a medio e lungo termine dell’Italia e dell’Europa.

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