- Dopo il siluramento di Domenico Arcuri, Draghi (d’intesa con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Franco Gabrielli, ha deciso di rimpiazzare Gennaro Vecchione, il capo del Dis.
- Al suo posto è stata nominata Elisabetta Belloni, finora segretaria generale della Farnesina. Prima donna ai vertici della nostra intelligence, è stimata trasversalmente dai partiti della maggioranza e dal Quirinale.
- Vecchione ha pagato la sua vicinanza a Conte. Ma anche gli strascichi del caso Russiagate: nel 2019 aveva organizzato alcuni incontri tra l’ex ministro della Giustizia Barr e i vertici di Aisi e Aise.
Tutto si può dire di Mario Draghi, tranne che non stia usando lo spoil system con tutto il vigore concesso dalle sue prerogative. Dopo il siluramento di Domenico Arcuri, l’ex commissario straordinario all’emergenza Covid sostituito in un amen dal generale Francesco Paolo Figliuolo, stavolta il premier (d’intesa con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Franco Gabrielli, che ha la delega sulla sicurezza) ha deciso di rimpiazzare Gennaro Vecchione, il capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis). Al suo posto è stata nominata l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, fino a poche ore prima segretaria generale della Farnesina, civil servant stimata trasversalmente dai partiti della maggioranza e dagli uomini più vicini al presidente della repubblica Sergio Mattarella.
Domani aveva anticipato a fine marzo la decisione del governo di sostituire in tempi il generale della Finanza tanto caro a Giuseppe Conte, ma l’avvicendamento ha avuto un’accelerazione che ha sorpreso anche gli addetti ai lavori: qualcuno sospetta che sulla scelta possa aver influito anche l’affaire dell’incontro riservato in autogrill tra Matteo Renzi e Marco Mancini, importante dirigente del Dis considerato vicinissimo all’ex numero uno del Dis.
In realtà, la sorte di Vecchione era segnata da tempo. Nonostante fosse stato confermato sulla poltrona apena lo scorso novembre per volontà del suo dante causa Conte, erano in molti a scommettere che – senza più protezioni altolocate a Palazzo Chigi – non sarebbe riuscito a terminare il suo secondo mandato.
Non solo per i suoi rapporti privilegiati con l’ex premier, che non è riuscito (nonostante sia il leader in pectore del Movimento Cinque Stelle) a difendere il suo pupillo. Ma anche per una serie di errori e polemiche che avevano minato la sua permanenza negli uffici romani di Piazza Dante.
Più di ogni altra cosa ha pesato sulla sua posizione il pasticciaccio del Russiagate, e la visita segreta a Roma – nell’estate del 2019 – dell’ex ministro della Giustizia americano William Barr. Che, grazie al via libera di Conte, riuscì ad ottenere due incontri riservati con i vertici della nostra intelligence. La missione del trumpiano era solo una: ottenere dai nostri servizi informazioni utili a portare avanti un’investigazione che avrebbe dovuto, nelle intenzioni della Casa Bianca, rovesciare la narrazione del Russiagate: non era il magnate repubblicano ad aver avuto rapporti con i russi durante la campagna presidenziale del 2016, ma al contrario era lui la vittima di una fantomatica cospirazione. Organizzata nientemeno che da fazioni della Cia, dall’Fbi e da fedelissimi dell’amministrazione Obama. Un complotto (mai provato) a cui avrebbero al tempo partecipato anche pezzi dei nostri servizi segreti e del nostro governo, allora guidato da Matteo Renzi.
Anche se Conte e Vecchione hanno sempre negato di aver consegnato informazioni rilevanti all’ex procuratore generale, è un fatto che furono loro i due registi di incontri certamente anomali. Ed è un fatto che i servizi segreti americani non abbiano mai dimenticato quello che considerarono uno sgarbo inaccettabile da parte di colleghi di un paese alleato. La vittoria di Joe Biden e il nuovo corso alla segreteria di Stato (oggi guidata dall’obamiano Anthony Blinken) sono stati dunque esiziali per Vecchione: per gli Usa l’evidenza di essersi dimostrato quantomeno disponibile a un’interlocuzione con chi lavorava per infangare i democratici e la Cia è errore gravissimo. Non era un mistero che la nuova amministrazione stratunitense si aspettasse da Draghi, atlantista convinto, un forte segnale di discontinuità.
Il segnale è arrivato a tutti, forte e chiaro. Agli alleati, in primis. In secondo luogo ai partiti di maggioranza, che hanno saputo della decisione di Draghi e Gabrielli a cose praticamente fatte. Allo stesso Conte, che esce dalla vicenda politicamente assai indebolito.
Se Mario Parente resterà a capo dell’Aisi (la nostra agenzia per la sicurezza interna) e Giovanni Caravelli rimane saldo a capo dell’Aise, la Belloni è nome che rassicura tutti. La prima donna ad arrivare al vertice di un’agenzia di sicurezza vanta una lunga esperienza accumulata nei lustri (è stata per anni il numero uno dell’unità di crisi della Farnesina), e una capacità operativa dimostrata sia nella gestione della complessa macchina della Farnesina sia di casi diplomatici delicati, compresi quelli dei sequestri di cittadini italiani nelle zone calde del pianeta.
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