- I movimenti ambientalisti italiani hanno presentato un’istanza contro Eni per il mancato rispetto delle linee guida Ocse per le imprese sull’ambiente e i diritti umani.
- Formalmente, l’obiettivo è aprire un tavolo di trattativa al ministero dello sviluppo economico. Difficilmente accadrà, ma l’orizzonte è quello di una guerra culturale e mediatica contro Eni sul greenwashing.
- In una configurazione simile, gli stessi movimenti avevano fatto causa allo stato italiano per inadempienza climatica. Contro Eni hanno preferito una mediazione, con lo scopo politico di stanare il governo sulle politiche energetiche.
Una rete di associazioni ambientaliste italiane ha presentato un’istanza contro Eni al Punto di contatto dell’Ocse, che si trova presso il ministero dello Sviluppo economico. Il tema è l’incompatibilità del piano industriale Eni con le linee guida Ocse, un codice di comportamento per imprese in materia di ambiente e diritti umani. È un altro capitolo della lunga guerra tattica tra i movimenti per il clima e la principale azienda energetica italiana. Da un punto di vista legale, questa istanza è il tentativo di aprire una mediazione, col ministero nel ruolo di soggetto chiamato ad aprire la trattativa.
Da un punto di vista politico, è un modo per chiedere allo stato italiano di decidere da quale parte stare, visto il doppio ruolo di paese che ha firmato l’accordo di Parigi e azionista di Eni. Da un punto di vista mediatico, è una dichiarazione di guerra, l’inizio di una campagna mediatica contro il greenwashing dell’azienda energetica.
Tra i soggetti che hanno presentato l’istanza ci sono la rete Legalità per il clima, che coordina gli aspetti legali e aveva già presentato a luglio una diffida contro Eni, A Sud, Fridays for Future, Extinction Rebellion, Europa Verde. In una configurazione non troppo diversa, sono gli stessi che la scorsa primavera avevano fatto partire giudizio universale, la causa allo stato per inadempienza climatica.
Colpisce la differenza di approccio: contro lo stato si va in tribunale, contro Eni si cerca una mediazione. Da tempo nell’ambientalismo italiano si parla di una vera causa civile contro la stessa Eni, sul modello di quella che in Olanda ha spinto un tribunale a ordinare a Shell di cambiare le sue previsioni industriali. Ma da noi la potenza economica e politica di Eni suggerisce un altro approccio, una forma legalmente più morbida. Di più, oggi, contro Eni non si può fare. Mancano le forze e gli strumenti.
I contenuti dell’istanza
Le contestazioni dell'istanza sono: il piano strategico di Eni non assicura un sufficiente taglio delle emissioni, anzi, prevede che continuino a crescere nei prossimi tre anni, inoltre manca una valutazione di impatto climatico delle attività d’impresa, le informazioni ai cittadini non sono trasparenti e non c'è un piano di prevenzione e mitigazione dei rischi.
Secondo l’istanza, Eni non rispetta le linee guida dell’Ocse per le multinazionali e nemmeno il suo stesso impegno post accordo di Parigi. A questo punto, il ministero dello Sviluppo economico, che gestisce il Punto di contatto, ha trenta giorni per accettare o respingere l’istanza, poi toccherebbe a Eni decidere se sedersi a parlare di transizione energetica con gli ambientalisti. Improbabile: alla diffida di luglio, avevano risposto agli attivisti di leggersi il loro sito, ribadendo di essere all'avanguardia nella lotta ai cambiamenti climatici.
L’obiettivo, però, è evidentemente un altro. Dice Marica Di Pierri, portavoce della ong A Sud: «Vogliamo aprire una breccia nel dibattito pubblico sulle responsabilità climatiche di Eni, primo inquinatore italiano e tra i primi al mondo, e vogliamo farlo proprio mentre loro stanno dedicando grandi risorse di marketing alle operazioni di reputazione, usando anche la scena pop di Sanremo».
Parlare di greenwashing
Il tema quindi non è tanto portare Eni a negoziare il piano industriale con l’ambientalismo italiano, ma spingere il paese a parlare di greenwashing. I promotori proveranno a coinvolgere anche personaggi dello spettacolo, perché serve sostegno pubblico. Si fanno i nomi di Cosmo, che aveva parlato di greenwashing a Sanremo, e Fedez, che sarebbe un bel colpo: ma avranno voglia di mettere le proprie piattaforme social a disposizione della causa?
Nell’inquadratura c’è anche uno degli effetti meno raccontati della crisi delle bollette: il clima è sparito dalla conversazione. Non si è mai parlato tanto di tematiche energetiche, ma le comprensibili ed enormi paure sociali per il costo del gas hanno spazzato via qualunque considerazione rispetto agli impegni sottoscritti a Parigi nel 2015 e rilanciati a Glasgow pochi mesi fa.
«Tirando in ballo il ministero dello Sviluppo economico, vogliamo spingere l’opinione pubblica a chiedersi: è Eni che fa la politica energetica dello stato o è lo stato a dover indirizzare la politica energetica?», conclude Di Pierri.
Tra le firme c’è anche quella di un partito, Europa Verde, che da poco è riuscito a ricreare una componente alla Camera. «Diamo tutto il sostegno possibile ai movimenti, vogliamo unire la nostra voce alla loro contro questo governo pieno di sfaccettature inquietanti», dice Eleonora Evi, europarlamentare e coportavoce.
La lista ecologista unica
Sullo sfondo c’è la corsa a rappresentare un pezzo di elettorato giovane e orfano, con Pd e M5s sempre più lontani. Tanti soggetti si stanno creando o rafforzando nel campo verde, da Alleanza per la transizione ecologica (voluta dall’ex ministro Andrea Ronchi e con Sala sullo sfondo) a Facciamo Eco, che ha organizzato un'assemblea ecologista a Firenze dieci giorni fa.
L’orizzonte finale sarebbe una lista ecologista unica alle prossime elezioni. Al momento è lecito essere pessimisti su questa prospettiva, perché le identità non sembrano pronte a fondersi e le collocazioni politiche divergono. Alleanza per la transizione ecologica non è in parlamento ma ha un'ispirazione moderata e pragmatica, Facciamo Eco è nella maggioranza mentre Europa Verde è anti Draghi e prova a intercettare l'anima più radicale: aver firmato l’istanza contro Eni risponde a questo obiettivo.
Anzi, tra tutte le realtà che hanno partecipato, Europa Verde, tramite Evi, è l’unica a parlare apertamente della possibilità di portare Eni in tribunale. «Se non vorranno aprire la trattativa, quello potrebbe essere il prossimo passo, la storia della Shell in Olanda insegna, perché non possiamo farlo anche noi?».
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