- Negli ultimi giorni, il segretario del Pd Enrico Letta ha provato a spostare l’attenzione dei media su una proposta concreta del programma del Partito democratico, la cosiddetta “dote” di diecimila euro ai 18enni.
- In Francia i giovani e meno giovani hanno accesso a due misure di stimolo alla loro indipendenza: la Prime d’activité (che si potrebbe tradurre come premio al lavoro), e l’Allocation garantie jeunes (assegno di accompagnamento per i giovani).
- La proposta del Pd corre il rischio di sembrare più una prebenda elettorale, volta ad accaparrarsi il voto dei diciottenni, che non una seria proposta di riforma strutturale.
Negli ultimi giorni, il segretario del Pd Enrico Letta ha provato a spostare l’attenzione dei media su una proposta concreta del programma del Partito democratico, la cosiddetta “dote” di diecimila euro ai 18enni. Secondo la proposta, la dote non sarebbe per tutti, ma verrebbe erogata sulla base di condizioni di reddito e patrimonio (Isee), e sarebbe finanziata da un aumento dell’imposta di successione, che in Italia è più bassa rispetto agli altri grandi paesi europei. Ma cosa fanno gli altri paesi per sostenere l’indipendenza dei giovani? E da dove viene la proposta di Letta? Il caso della Francia fornisce alcune interessanti indicazioni per portare concretezza al dibattito.
L’esperienza francese
Innanzitutto l’età. Perché limitare la misura ai diciottenni quando un’intera generazione, quella dei cosiddetti Millennials, oggi tra i trenta e i quarant’anni, vive in Italia di precariato, di bassi salari e di impossibilità di pianificare un futuro? Oltralpe, i giovani e meno giovani hanno accesso a due misure di stimolo alla loro indipendenza: la Prime d’activité (che si potrebbe tradurre come premio al lavoro), e l’Allocation garantie jeunes (assegno di accompagnamento per i giovani).
La Prime d’activité, sulla carta, non è riservata ai più giovani, ma nei fatti a beneficiarne sono in larga parte (per il 60 per cento) gli under 40. Questo dispositivo, pensato come complemento di reddito per i lavoratori poveri, è stato esteso sotto Macron fino a raggiungere una platea di 4,6 milioni di persone, rappresentando una spesa per lo stato di circa dieci miliardi di euro all’anno.
La Prime d’activité è versata come complemento ai lavoratori che guadagnano tra mille e 1.800 euro netti al mese. Molti di questi lavoratori sono part time, visto che il salario minimo legale in Francia ammonta a circa 1.300 euro netti al mese per un tempo pieno.
Lo scopo di questa misura è duplice. Da un lato si vuole aumentare il potere d’acquisto dei francesi, aumentando così i consumi e la crescita. Dall’altro si vuole incentivare il lavoro: meglio accettare un’occupazione, anche a stipendio ridotto (per gli standard francesi), che vivere con il sussidio di disoccupazione.
Non è un caso che Emmanuel Macron, contestualmente all’incremento dei fondi per la prime d’activité, abbia ridotto i montanti dei sussidi di disoccupazione e inasprito le condizioni per accedervi.
I giovani sotto i venticinque anni che non studiano e non lavorano (i cosiddetti neets) hanno invece diritto all’Allocation garantie jeunes. Questo dispositivo è un aiuto riservato ai giovani di età compresa tra i 16 e i 25 anni che non riescono a inserirsi nel mondo del lavoro. Si tratta di una politica attiva del lavoro, in cui l’assegno (di cinquecento euro al mese) è versato per un massimo di 18 mesi ed è condizionato alla frequenza di corsi di formazione, con l’obiettivo di un inserimento rapido nel mondo professionale.
Queste misure sono insomma, sulla scorta del pensiero macronista, all’insegna del “lavorismo”. Niente doti, niente ridistribuzione della ricchezza. Solo il lavoro è considerato condizione di emancipazione economica e sociale.
La proposta di Piketty
Da dove viene dunque la proposta di Letta? Si tratta di una versione molto edulcorata di un’idea originariamente dell’economista britannico Tony Atkinson, elaborata da Thomas Piketty, e a sua volta arrivata in Italia per il tramite del Forum disuguaglianze e diversità di Fabrizio Barca.
La proposta di Piketty è addirittura quella di redistribuire integralmente le eredità, fornendo a ogni francese 120mila euro al compimento dei 25 anni. «Non è perché qualcuno ha fatto fortuna a 30 anni, o l’ha ereditata, che deve necessariamente detenere il controllo totale delle azioni di una società a 50, 70 o 90 anni», spiegava qualche anno fa Piketty in un’intervista tv.
Secondo Piketty, che pone la sua proposta in una prospettiva liberale, questo progetto «rimescolerebbe le carte» e farebbe funzionare meglio il capitalismo: «Il capitalismo lasciato a se stesso, spontaneamente, non rimescola le carte. Questa dote consentirebbe invece di sviluppare nuove idee, di ringiovanire il potere economico perché oggi la proprietà è per lo più di persone di una certa età. È una prospettiva auspicabile che consentirebbe di rivitalizzare la società attuale».
«Alcune persone sono preoccupate, dicono “ma i figli della classe operaia sapranno cosa fare con questi 120mila euro? Questo non ridurrà gli incentivi al lavoro?”». Niente di tutto questo, secondo l’economista francese: «Per chi eredita molto, il liberalismo è meraviglioso. È quando vogliamo dare la libertà a tutti, con l’eredità per tutti, che qualcuno si preoccupa».
La proposta di Letta ha il merito di portare nel dibattito il tema delle disuguaglianze e di proporre una soluzione che passa per la ridistribuzione di una parte delle successioni ereditarie relative ai grandi patrimoni. Nasce in fondo dalla tradizione liberale, non socialista, l’idea di garantire a tutti pari opportunità, indipendentemente dalle loro origini.
Prebenda elettorale
D’altro canto, però, la proposta del Pd corre il rischio di sembrare più una prebenda elettorale, volta ad accaparrarsi il voto dei diciottenni, che non una seria proposta di riforma strutturale.
Quest’ultima dovrebbe reintrodurre equità e progressività nel sistema fiscale italiano, come previsto dalla Costituzione, e dovrebbe occuparsi in modo serio dell’ormai patologica precarizzazione del mercato del lavoro, che azzoppa consumi e investimenti, e quindi la crescita del paese.
La struttura della fiscalità e le leggi che regolamentano il mercato del lavoro sono invece pesantemente sbilanciate a protezione di quelli che un tempo si chiamavano “padroni” (proprietari di importanti patrimoni immobiliari, proprietari di aziende, ereditieri) e gravano sui lavoratori, dipendenti pubblici o privati che siano, precari e non, lavoratori manuali e lavoratori della conoscenza. Secondo uno studio recente della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, il sistema fiscale italiano è addirittura regressivo: più si sale nella classifica del patrimonio posseduto, più diminuisce l’aliquota media.
Il Pd deve scegliere se essere lavorista come Macron, e non guardare alle condizioni di partenza, ma permettere almeno l’emancipazione economica e sociale tramite il lavoro. Oppure può decidere di redistribuire in modo massiccio, tassando le eredità nella convinzione che la ricchezza dei genitori non debba determinare il futuro dei figli, come proposto da Piketty. La proposta di Letta non sembra andare né da una parte né dall’altra. Sembra il frutto di un compromesso raggiunto ancor prima di iniziare il negoziato.
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