- I contenuti pubblicabili delle intercettazioni sono quelli acquisiti al procedimento dopo il vaglio previsto, anche se a volte tale vaglio è effettuato dal giudice con un filtro a maglie forse un po’ larghe.
- Ma talora dagli uffici giudiziari fuoriescono anche contenuti riservati, con scarse possibilità di individuare il responsabile. Inoltre, l’ambito dei reati per i quali le intercettazioni sono ammesse è molto ampio, e così la quantità delle informazioni, su un numero esteso di soggetti, a rischio di divulgazione.
- Infine, la pubblicazione illecita, «in tutto o in parte, anche per riassunto», di materiale processuale è sanzionata con una pena irrisoria, priva di efficacia deterrente.
Le intercettazioni sono al centro di polemiche da settimane. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha preannunciato la modifica della normativa. Per seguire il dibattito pubblico in corso può essere utile fornire chiarimenti sul quadro normativo vigente e sulle sue criticità.
Le norme
Negli ultimi anni la disciplina delle intercettazioni contenuta nel codice di procedura penale è stata oggetto di svariati interventi. Nel 2017, fu varata una riforma dal ministro della Giustizia Andrea Orlando (d.lgs. n. 216), poi modificata nel 2019 dal Guardasigilli dell’epoca, Alfonso Bonafede (d.l. n. 161 convertito con modificazioni dalla l. n. 7/2020).
Le intercettazioni sono custodite in un archivio digitale, accessibile solo ai soggetti indicati dalla legge e sottoposto alla vigilanza del Procuratore della Repubblica che le ha richieste ed eseguite. L’attuale normativa rimette al pubblico ministero (PM) il compito di dare indicazioni e vigilare «affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini».
I difensori delle parti «hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche». Il giudice dispone l'acquisizione di conversazioni e comunicazioni indicate dalle parti, «che non appaiano irrilevanti», mentre viene stralciato ciò di cui è vietata l'utilizzazione o che riguardi «categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza».
Pertanto, le intercettazioni nascono segrete; quelle non acquisite al procedimento, perché irrilevanti o relative a dati “sensibili” oppure lesive per terze persone, restano coperte da segreto e non pubblicabili, sia nel testo sia nel contenuto; sono pubblicabili nel solo contenuto quelle acquisite al fascicolo, e altresì le ordinanze applicative di misure cautelari che potrebbero contenere «brani essenziali» di comunicazioni e conversazioni intercettate, quindi utilizzate ma non ancora acquisite.
Dunque, solo in alcuni casi il legislatore reputa che l’interesse pubblico a conoscere su quali basi le decisioni giudiziali vengono assunte possa prevalere sulla tutela della riservatezza di quanto appreso invadendo occultamente l’altrui sfera privata.
Le spiegazioni di Nordio
Carlo Nordio, ha spiegato in Parlamento che esistono tre tipi di intercettazioni. Quelle relative alla sicurezza dello Stato, tutelate da una disciplina particolare, che restano «ultrasegrete» anche perché è «individuata la competenza di chi deve garantirne la segretezza». Anche quelle «preventive» - utili «come impulso alle indagini nella ricerca anche della prova ma, soprattutto, dei movimenti dei sospetti autori di reati molto gravi» - la cui autorizzazione e gestione fa capo al PM, «non vengono mai diffuse sui giornali, anche perché se fossero diffuse si individuerebbe subito il responsabile, che sarebbe il magistrato».
Il problema è il terzo tipo di intercettazioni, effettuate su richiesta del PM e autorizzazione del giudice delle indagini preliminari. Nel passaggio dall’uno all’altro - afferma Nordio - «il pasticcio è colossale», perché «attraverso il deposito dei difensori, il transito delle segreterie e delle cancellerie, la selezione che viene fatta nel contraddittorio della perizia, con difensori pubblico ministero e giudice», le intercettazioni - pur se in gran parte riguardanti «fatti che non hanno niente a che vedere con i processi» - vengono conosciute da «decine di persone». E, «in questo mare magnum», poi «escono sui giornali notizie che diffamano, vulnerano l’onore di privati cittadini».
Le osservazioni del Garante
Nei giorni scorsi il Garante per la protezione dei dati personali, Pasquale Stanzione, in audizione presso la commissione Giustizia del Senato, si è espresso sulla riforma delle intercettazioni. Secondo Stanzione, è necessario distinguere «presupposti e limiti dell'utilizzo processuale delle conversazioni intercettate da presupposti e limiti della loro divulgazione a fini informativi, garantendo ai due aspetti della disciplina l'autonomia derivante dalla differenza di finalità ed esigenze sottese». Il legislatore – ha affermato il Garante - avrà «il delicatissimo compito» di bilanciare «il diritto alla riservatezza con le esigenze investigative, il diritto di difesa e, con riferimento alla circolazione extraprocessuale, il diritto di e all’informazione». Questo bilanciamento andrà condotto «nella consapevolezza delle implicazioni profonde sulla riservatezza proprie del ricorso alla tecnologia, tanto in fase investigativa - si pensi ai trojan - quanto in sede di circolazione extraprocessuale dei contenuti captati, con l'amplificazione che il web assicura a ogni tipo di pubblicazione». Infine, secondo Stanzione, «la vera scommessa della riforma» dipenderà «da come verrà garantita l'effettiva impermeabilità dell'archivio».
Le criticità
I contenuti delle intercettazioni che finiscono sui giornali sono quelli acquisiti al procedimento dopo il vaglio previsto, e che è lecito pubblicare in forza dell’interesse alla conoscenza tutelato dal legislatore. Tuttavia, a volte tale vaglio è effettuato dal giudice con un filtro a maglie forse un po’ larghe e nelle ordinanze cautelari sono riportati ampi «brani» di intercettazioni non sempre così «essenziali». Va pure detto che il diritto di cronaca, oggetto di tutela costituzionale (art. 21), talora non viene esercitato nel rispetto dei limiti previsti dalle regole vigenti, in primis quello dell’essenzialità della notizia.
Ma talora fuoriescono dagli uffici giudiziari anche contenuti riservati, perché non ancora acquisiti al fascicolo oppure non acquisiti in quanto irrilevanti, lesivi per terzi o contenenti dati sensibili.
Gli elementi da considerare sono molti. Da un lato, come rilevato da Nordio, alla trascrizione integrale delle intercettazioni hanno accesso molte persone; e quanto più è vasta l’area di conoscibilità, tanto più alcuni contenuti rischiano di sfuggire alla rete del segreto prescritto, con scarse possibilità di individuare il responsabile. Dall’altro lato, l’ambito dei reati per i quali le intercettazioni sono ammesse è molto ampio, e con esso la quantità delle informazioni a rischio di divulgazione, riferibili a un numero potenzialmente assai esteso di soggetti, coinvolti o meno nel procedimento. Infine, la pubblicazione illecita, «in tutto o in parte, anche per riassunto», di materiale processuale è sanzionata con una pena irrisoria - arresto fino a trenta giorni o ammenda da 51 a 258 euro (art. 684 codice penale) – priva di una reale efficacia deterrente.
In questa elencazione di criticità s’intravede anche la soluzione normativa.
Nordio si avvalse di intercettazioni durante la costruzione del Mose, il sistema di protezione di Venezia dall’acqua alta. Riuscirà a definire un analogo meccanismo di paratie regolatorie affinché le intercettazioni possano funzionare, senza sacrificare più del necessario la sfera di riservatezza individuale?
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