- Sono partiti gli Stati generali della natalità e le cifre non sono per nulla promettenti. Secondo l’Istat entro il 2050 potrebbero nascere in Italia meno di 300mila bambini.
- Ha parlato di povertà generativa papa Francesco nella lettera destinata all’evento: «L'Italia, l'Europa e l'Occidente si stanno impoverendo di avvenire» ha detto.
- La ministra delle Pari opportunità e della Famiglia, Elena Bonetti, ha lanciato il Family Act: un pacchetto di misure volte a sostenere la genitorialità condivisa e le mamme che decidono di lavorare.
Lungo una via della Conciliazione affollata di turisti, il caldo preannuncia l’estate, eppure sul palco dell’auditorium omonimo si parla di un inverno sempre più freddo, anno dopo anno. La metafora, che il presidente nazionale del Forum delle famiglie Gigi De Palo ha utilizzato per aprire gli Stati Generali della natalità, è mutuata dall’appello lanciato su quello stesso palco lo scorso anno da papa Francesco per parlare dell’ascesa, apparentemente inarrestabile, della denatalità in Italia.
Sempre più coppie fanno meno figli e, alla loro seconda edizione, gli Stati Generali si aprono con un orizzonte ancora più plumbeo: «Per oltre un anno abbiamo parlato del Pnrr, ovvero del Piano nazionale di ripresa e resilienza dal valore complessivo di 235 miliardi di euro tra risorse europee e nazionali. Ne abbiamo parlato come un piano capace di traghettarci verso il futuro. Le missioni dichiarate sono sei, ma manca un convitato di pietra: la natalità» ha esordito De Palo traducendo con il lessico della politica quello che le ultime cifre stilate dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) fotografano con freddezza. Ma se il convitato di pietra siede nella stanza dei bottoni, nella prima giornata dell’evento a sedere dall’altra parte sono soprattutto adolescenti. Si tratta dei giovani provenienti da diverse parti d’Italia che, tra un intervento e l’altro, vengono interpellati sulla loro idea di avvenire: «Vorrei avere figli, però» dice una studentessa di Roma, «La famiglia è tra i miei progetti nel prossimo futuro, però» le fa eco uno studente, e colpire nei loro timidi interventi è quella congiunzione avversativa che lega il desiderio del sogno a una realtà disincantata.
Una generazione più povera
A loro si rivolge la ministra delle Pari opportunità e della Famiglia, Elena Bonetti, e dal palco annuncia la prima riforma integrata delle politiche familiari, il Family Act: «Oggi vi chiediamo di entrare in gioco con noi, di rianimare il gusto del futuro, perché sia possibile e concreto» dichiara. Più defilato il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi che, invece di parlare a nome degli studenti, preferisce enumerare i progressi fatti finora dal governo: «Il mondo sta cambiando, ma non vuol dire che il mondo non può essere cambiato. Secondo le tendenze attuali, sappiamo che dovremmo avere un milione di studenti in meno fino al 2032.
Eppure, abbiamo deciso che tutte le risorse per la scuola debbano rimanere nella scuola. Non pensate che stiamo qui a guardare la luna» si giustifica, davanti a giovani spesso persi, che chiedono dalla politica un confronto, come urlato da loro nei cortei contro l’alternanza scuola-lavoro. A intercettare le loro inquietudine è papa Francesco in un discorso inviato per l’evento: «C’è una periferia esistenziale in Occidente, poco vistosa, che non si nota immediatamente.
E quella delle donne e degli uomini che hanno il desiderio di un figlio, ma non riescono a realizzarlo. Molti giovani faticano a concretizzare il loro sogno familiare. E allora si abbassa l'asticella del desiderio e ci si accontenta di surrogati mediocri, come gli affari, la macchina, i viaggi, la custodia gelosa del tempo libero» recita la lettera del pontefice. Francesco individua una parola chiave per descrivere questo scenario: povertà generativa: «È la povertà generativa di chi fa lo sconto al desiderio di felicità che ha nel cuore, di chi si rassegna ad annacquare le aspirazioni più grandi, di chi si accontenta di poco e smette di sperare in grande. Sì, è una povertà tragica, perché colpisce gli esseri umani nella loro ricchezza più grande: mettere al mondo vite per prendersene cura, trasmettere ad altri con amore l'esistenza ricevuta».
Istat: meno figli, più poveri
Lo ritraggono le proiezioni dell’Istat, illustrate dal presidente Giancarlo Blangiardo: se non s’inverte la tendenza italiana a non avere figli, il paese nel 2050 avrà cinque milioni di abitanti in meno. Con l’effetto che, sulla popolazione totale, solo poco più di una persona su due sarebbe in età da lavoro, «con un 52 per cento di persone tra i 20 e i 66 anni che dovrebbero provvedere sia alla cura che alla formazione delle persone sotto i venti anni (16 per cento), sia alla produzione di adeguate risorse per il mantenimento e l’assistenza ai pensionati (32 per cento)» sottolinea Blangiardo. Con tali proiezioni, le nascite annue nel 2050 potrebbero ridursi a 298mila, contrariamente all’obiettivo che l’Istat ha rilanciato per un corretto equilibrio demografico, pari a 500mila nuovi abitanti.
L’allarme sul crollo della natalità viene lanciato da Gigi De Palo: «Sapere che cosa accadrà? Crollerà il Pil. Crollerà il welfare, perché quella demografica è la madre di tutte le crisi, la natalità serve a sostenere il sistema pensionistico. Se ci sono più anziani che giovani, chi pagherà le pensioni delle nuove generazioni?» si domanda il presidente della Fondazione della Natalità.
Il suo appello trova ampia eco nelle parole che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto inviare alla platea: «La accentuata diminuzione della natalità rappresenta uno degli aspetti più preoccupanti delle dinamiche sociali contemporanee e segnala una difficoltà. Occorre insistere nel perseguire condizioni che consentano alle giovani generazioni di costruire il proprio futuro e, in questo senso, va garantita piena dignità ai giovani, alle donne, alle famiglie […] come prescrive l'art.31 della Costituzione, che ci richiama, conseguentemente, alla tutela della maternità, dell'infanzia e della gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo».
Family Act, parla Bonetti
Da ciò nasce il Family Act, lanciato sul palco degli Stati Generali dalla ministra della Famiglia, Elena Bonetti e che, per sua stessa ammissione, ammette come una misura necessaria al paese: «Questi dati parlano di un’Italia che in passato si è arresa nella capacità di scegliere di investire nel futuro. Purtroppo per molto tempo, le famiglie sono state lasciate sole nel loro carico familiare, nell’ambito della prospettiva di un lavoro. Ma oggi abbiamo deciso di investire su una nuova prospettiva, perché le famiglie si possano sentire non solo accompagnate, ma sentire quella stabilità che apre prospettive certe sul loro sostegno economico» spiega.
Uno dei primi decreti è quello che garantisce i servizi alle famiglie, che a loro volta non si riducono solo agli asili nido, sui quali il Pnrr sta investendo 4,6 miliardi. Il Family Act ha l’ambizione di rivalutare la genitorialità superando il divario di genere, come emerso tristemente dalle polemiche sulle parole dell’imprenditrice Elisabetta Franchi: «Vanno incentivati tutti quei processi che favoriscono la valorizzazione del lavoro genitoriale, in particolare quello femminile, all’interno dell’impresa – spiega Bonetti a Domani -. Fino ad oggi, assumere una donna costava di più, perché i costi della maternità erano scaricati di fatto sull’impresa. Bisogna rimuovere questi costi, colmare il gap tra il lavoro maschile e quello femminile, in particolare con meccanismi come la decontribuzione del lavoro femminile per rendere più conveniente è vantaggioso assumere anche le donne», spiega. Fra le novità del Family Act, la ministra lancia una rivalutazione dei congedi di paternità e l’introduzione di strumenti a sostegno dei genitori liberi professionisti: «Il Family Act prevede anche l’estensione del congedo di paternità obbligatorio, che abbiamo già introdotto in via strutturale con dieci giorni ma che è, evidentemente, insufficiente: vogliamo arrivare all’obiettivo di 90 giorni. E abbiamo ampliato questo strumento di welfare anche ai genitori liberi professionisti».
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