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La carica arriva dal governatore friulano Massimiliano Fedriga, che lamenta poche risorse pro capite per la sua regione rispetto ad altre che hanno ottenuto ben più fondi.
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Anche Zaia ha chiesto un “salvadanaio” con il denaro avanzato, così che altri enti lo possano spendere. Per ottenere una concessione del genere, Fitto dovrà superare se stesso nell’arte della diplomazia e comunque l’ipotesi è tutt’altro che probabile.
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La vera stoccata al governo, però, ha il sapore della critica politica su cui si fonda il dualismo tra Lega e Fratelli d’Italia. Fedriga, infatti, ha bocciato «l’impronta fortemente centrista» del Pnrr.
Come se non bastassero le pressioni della Commissione europea e dei colleghi ministri, Raffaele Fitto rischia l’assedio anche delle regioni. Al centro c’è sempre il Piano nazionale di ripresa e resilienza, i suoi miliardi che piacciono a tutti ma sono difficilissimi da spendere e soprattutto l’incognita dei progetti da cancellare per certificata irrealizzabilità.
Fitto, a cui Giorgia Meloni ha consegnato le chiavi della macchina, continua a ripetere di essere al lavoro e che presto arriveranno sia l’elenco degli investimenti che salteranno, sia le proposte di modifica del Pnrr da negoziare con l’Unione europea.
Nel mentre, però, contro di lui suonano la grancassa le regioni e in particolare quelle del nord leghista, con il duo formato dai presidenti del Veneto, Luca Zaia e del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga. Due voci che, quando si fanno sentire, vanno ascoltate e vengono ascoltate con particolare attenzione anche a Roma e soprattutto in un governo di centrodestra. Le richieste, riassunte all’osso, sono il riequilibrio nella distribuzione dei fondi pro capite; la possibilità di riallocare i fondi che altrimenti rischiano di rimanere non spesi e la dismissione del modello centralista di fissazione degli obiettivi. Tutte e tre aprono altrettanti scenari problematici per l’esecutivo.
Il riequilibrio
La richiesta più dritta è arrivata da Fedriga, prima a margine di un convegno e poi chiarita in una intervista al Corriere della Sera: «Il Friuli-Venezia Giulia è all’ultimo posto per fondi pro capite. Altre realtà hanno avuto il 600 per cento in più. È chiaro che serve un riequilibrio». Detto in modo ancora più chiaro, Fedriga lamenta che ci siano state regioni di serie A e regioni di serie B nella redistribuzione dei fondi e che manca uniformità degli interventi.
Il dato emerge dall’elaborazione del Sole 24 Pre a partire dalla piattaforma della Ragioneria di stato che monitora i finanziamenti, da cui risulta che gli investimenti pro capite mostrino come in Molise arrivino fino a 4.650 euro per abitante, in Liguria 3.658 euro e in Campania 1.978 euro. Meno di mille, invece, sono destinati ai cittadini di Lombardia e, appunto, Friuli-Venezia Giulia.
Quanto sia possibile un riequilibrio, visto che il Pnrr ha previsto che il 40 per cento dei fondi debba essere speso nelle regioni del sud, è complesso immaginarlo. Tuttavia la richiesta è pervenuta forte e chiara al governo: «Fitto ha preso atto del problema» ed «è sensibile», ha detto Fedriga, che riconosce al collega di maggioranza l’attenuante di essere arrivato a corsa già cominciata. Tuttavia, «ci aspettiamo alcune correzioni» e «deroghe sui tempi di realizzazione per alcuni progetti specifici». Correzioni che, se e nella forma in cui saranno possibili, si sommeranno a tutte le altre richieste già pervenute sulla disordinata scrivania del ministro.
L’uno-due a Fitto, però, come sempre è partito dall’apripista Zaia. Lo sta dicendo da mesi che lui è pronto a incassare i denari non spesi per redistribuirli sulle opere in Veneto e lo ha ripetuto anche a inizio settimana: «Se qualcuno proprio non ce la facesse a mettere a terra gli interventi, è giusto che si dia vita a un overbooking nazionale, come si è già creato per altri fondi comunitari». In altre parole, «un salvadanaio per i finanziamenti residui, che venga messo a disposizione per altre opere». Logico se si trattasse di fondi normali, per nulla semplice nel caso di fondi vincolati agli specifici progetti contenuti nel piano approvato a monte dalla Commissione europea. Per ottenere una concessione del genere, Fitto dovrà superare se stesso nell’arte della diplomazia e comunque l’ipotesi è tutt’altro che probabile.
Contro il centralismo
La vera stoccata al governo, però, ha il sapore della critica politica su cui si fonda il dualismo tra Lega e Fratelli d’Italia. Fedriga, infatti, ha bocciato «l’impronta fortemente centrista» del Pnrr, «con scelte calate dall’alto, tagliando fuori completamente i nostri enti» e «bandi centralizzati, scelte unilaterali e disomogeneità territoriali». Formalmente l’impostazione è stata data durante il governo Conte II, ma è un fatto che l’attuale esecutivo si muova nella stessa direzione, con la cabina di regia del Pnrr insediata a palazzo Chigi e l’accentramento dei poteri e delle prerogative in capo al ministero degli Affari europei.
Nei giorni scorsi, inoltre, Fitto ha inviato alle regioni un piano con le nuove modalità di gestione delle risorse europee estremamente centralizzato. Muovendo dalla constatazione che l’attuale sistema non funziona, visto che del 126,6 miliardi di euro del Fondo di sviluppo e coesione del 2014-2020 sono stati spesi appena 43 miliardi, la risposta del ministero è di cambiare paradigma.
D’ora in poi, per i fondi 2021-2027 si procederà con accordi bilaterali tra ministero e regioni, con una istruttoria tecnica dei progetti ex ante, una valutazione della loro “cantierabilità” e la compatibilità con il Pnrr. L’inverso di quanto è accaduto fino ad ora, con le regioni che presentavano al governo i loro piani di spesa per il via libera, che veniva dato senza vagli specifici. Senza sovrapporre i piani dei fondi europei con la riforma dell’autonomia differenziata, le parole di Fedriga e l’impostazione di Fitto ripropongono ancora il conflitto latente dentro il governo: istanze autonomiste da parte della Lega e tentazione di accentramento di Fratelli d’Italia.
Nel mentre, Fitto si trova a battagliare anche con la Commissione europea, che ieri ha presentato il report con le raccomandazioni sul Pnrr, sottolineando le anomalie dell’Italia sia sulla mancata comunicazione delle richieste per il RepowerEu che sulle modifiche al piano. «Sono in linea con la visione e le priorità del governo Meloni», ha scritto invece il ministro in una nota, sottolineando che dal rapporto si conferma «l’avanzamento dell’interlocuzione positiva con la Commissione». Intanto, però, Bruxelles non ha ancora dato il via all’erogazione della terza tranche da 19 miliardi, la prossima scadenza è quella del 30 giugno 2023. Entro questa data dovranno essere raggiunti 27 obiettivi, così da poter chiedere la quarta rata di 16 miliardi di euro.
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