La partenza per l’Europa del ministro Raffaele Fitto rischia di essere una brutta doccia fredda per Elly Schlein. Fin qui il rischio per lei era quello di un voto differente rispetto a quello degli alleati M5s e Sinistra italiana, entrambi del gruppo Left, sul voto alla Commissione europea. Ma sarebbe stato un caso tutto sommato circoscrivibile. Del resto era già successo il 18 luglio nel voto del parlamento europeo sulla presidente Ursula von der Leyen.

E, come quello, non avrebbe lasciato scorie. Lo ha fatto capire lunedì sera Nicola Fratoianni, ospite della festa nazionale del Pd di Reggio Emilia. «È una differenza importante», ha spiegato a proposito del suo no alla Commissione, «ma non impedirà la costruzione di uno spazio di convergenza. Il mio giudizio sull’esperienza dei cinque anni che abbiamo alle spalle è negativo».

Un punto per Meloni

Le vere insidie non vengono dall’interno della futura coalizione, dove pure i malumori sul ruolo di Matteo Renzi stanno freddando gli entusiasmi, ma dalla possibile conferma dell’asse tra Giorgia Meloni e la presidente von der Leyen. Che ribalterebbe tutta la narrativa dem di un’Italia «isolata» e «finita nel burrone». Il Pd stavolta finirebbe davvero a votare la Commissione con Ecr, il partito della premier.

E la nuova Commissione rischia di segnare un punto a favore della premier italiana. E un punto pesante. Ieri Die Welt, quotidiano conservatore tedesco, ha anticipato che «per la prima volta un populista di destra, Raffaele Fitto, membro del partito Fratelli d’Italia, otterrà una carica di vertice». Non si tratta solo del posto da commissario, che è un atto dovuto, ma quello di vicepresidente esecutivo con delega all’Economia e al Pnrr. Per Die Welt Francia e Germania non avrebbero ancora dato l’ok, ma von der Leyen guarderebbe a destra, visto che Emmanuel Macron e Olaf Scholz traballano.

La Commissione finirà per avere quindici commissari del Ppe, cinque socialisti, quattro liberali, uno dell’Ecr (cioè Fitto), un “patriota” (l’ungherese Várhelyi) e un indipendente. Una bella sconfitta per i socialisti, quasi una beffa: perché se il cancelliere tedesco ha confermato la connazionale del Ppe, il governo Ppe del Lussemburgo non ha indicato Nicolas Schmit, lo Spitzenkandidat del Pse.

Fonti della Commissione liquidano l’articolo come «speculazioni», perché solo quando «Ursula von der Leyen avrà finito le audizioni annuncerà i portafogli». La presidente si è presa più tempo per decidere. Le audizioni dei singoli commissari dovrebbero iniziare da metà ottobre e, se non saranno ultimate per la fine del mese, l’appuntamento con la plenaria del parlamento slitterà ai primi di dicembre. E al netto di qualche bocciatura individuale, S&d dirà sì.

Un sì scomodo

L’italiano Pd rischia di finire in una posizione particolarmente scomoda. Martedì a Bruxelles la delegazione dem ha cominciato a rifletterci. Nei giorni scorsi qualche esponente ha anticipato un giudizio positivo su Fitto, in particolare i pugliesi Francesco Boccia e, soprattutto, l’ex sindaco di Bari Antonio Decaro, oggi eurodeputato, che ha spiegato di essere «politicamente contento della nomina di Fitto» perché «ci siamo scontrati» ma «non posso negare che nonostante le contraddizioni, le difficoltà, le fibrillazioni, gli scontri anche pubblici che abbiamo avuto sulla gestione del Pnrr alla fine è stato un interlocutore affidabile».

Fitto insomma è considerato il “meno peggio” fra i ministri del governo Meloni. Ma proprio Decaro ieri ai colleghi ha avanzato qualche interrogativo sul ruolo che avrebbe il Pd: di sostegno a una Commissione che di fatto riabilita il denigrato esecutivo nazionale. Il collega Brando Benifei è cauto: «Sarà importante esaminare con attenzione le deleghe, Fitto deve dimostrare di essere in grado di svolgere il ruolo che gli verrà affidato con equilibrio.

Pnrr e investimenti per la transizione per noi sono scelte strategiche. In ogni caso i Socialisti e democratici devono far pesare il loro supporto a von der Leyen ottenendo impegni espliciti e pubblici sui temi a noi più cari, come i diritti sociali, gli investimenti comuni e il rispetto dello stato di diritto».

Intanto i Cinque stelle attaccano Fitto. Tanto più che, secondo la Corte dei conti europea, il Recovery Fund procede a rilento. Il giudizio non riguarda solo l’Italia, ma il nostro paese è fanalino di coda nella realizzazione dei progetti.

«L’Italia dovrebbe finalizzare il 62 per cento degli investimenti del Pnrr nella prima metà del 2026, anno di chiusura del Piano», secondo Chiara Appendino, «siamo alla più totale presa in giro degli italiani. Peraltro in questa incresciosa classifica di ritardi e rinvii siamo dietro soltanto alla Polonia». M5s chiede di istituire una Commissione parlamentare di controllo sul Pnrr. Una commissione contro Fitto, alla quale il Pd non potrebbe che dire sì, dopo aver votato sì alla Commissione in cui siede Fitto.

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