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Il partito di Berlusconi è dilaniato dallo scontro interno, ora sulle nomine dei sottosegretari. Ronzulli vuole sfilare il coordinamento a Tajani e si prepara alla guerriglia parlamentare per rispondere a Meloni.
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I “ronzulliani”, lasciati a secco di ministeri, intendono infatti trasformare il parlamento in terreno di guerriglia appena il lavoro d’aula comincerà sul serio e il governo avrà bisogno dei voti di FI, soprattutto al Senato.
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Inoltre, vogliono evitare che i governativi di Tajani ottengano ulteriori nomine di sottogoverno, dopo aver già ottenuto i ministeri. FI dovrebbe avere sette o otto caselle e a riempirle ci sono molti pretendenti.
La fiducia al governo Meloni rischia di essere il pretesto per una nuova resa dei conti interna a Forza Italia, dove impazza lo scontro per i ruoli di sottogoverno e per la conquista di quel che resta del partito. Il voto è palese ma potrebbe esserci qualche assenza giustificata «per mandare un segnale», è il pronostico di un deputato di FI. Anche solo l’ipotesi è il risultato del clima che si respira nel mezzo della faida tra “ronzulliani” e “governativi”.
Rispettivamente, il gruppo che fa riferimento alla capogruppo al Senato e braccio destro di Silvio Berlusconi, Licia Ronzulli, e quello che invece guarda al coordinatore e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
«Non ho nessun conto da regolare», ha scritto Ronzulli in una nota, ma fonti interne raccontano della volontà di usare il parlamento come terreno di guerriglia appena il lavoro d’aula comincerà sul serio e il governo avrà bisogno dei voti di FI.
Così si richiamerà Meloni ai patti dell’alleanza e si ricondurrà a miti consigli Tajani, che dovrà portare in consiglio dei ministri le posizioni di un partito in cui sta diventando minoranza.
Intanto, però, la faida sta inducendo i più esperti di dinamiche politiche a guardarsi intorno. FI nella sua composizione attuale avrebbe un tempo che può essere di «sei mesi, un anno», secondo loro, dunque è necessario capire dove andare. Il governo di Meloni non dovrebbe aver da temere, anche perchè la premier si è premunita in anticipo permettendo la nascita del gruppo autonomo di noi Moderati, per dare approdo ai fuoriusciti. Che, secondo i calcoli interni, saranno i “governativi” di Tajani e dovrebbero essere più di una decina alla Camera e almeno un paio al Senato.
La mossa cuscinetto orchestrata da Meloni serve a evitare scossoni per la maggioranza, ma anche Azione si affaccia per intercettare questo malcontento e poi chissà. «Azione rimane all'opposizione di questo esecutivo, non c'è dubbio, ma siamo osservatori attenti», ha scritto Osvaldo Napoli, oggi nella segreteria di Carlo Calenda ma berlusconiano per quatto legislature.
I sottosegretari
Lo scontro è uscito allo scoperto con l’avvertimento pubblico da una delle voci chiave per capire le oscillazioni del partito come quella del vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè. Indipendente ma considerato vicino all’area di Ronzulli, ha mandato un avviso di sfratto sia a Tajani che a Bernini: entrambi ministri ma anche coordinatore e vice-coordinatrice del partito, a cui viene chiesto di lasciare il doppio incarico. Mulè sapeva l’effetto che avrebbe provocato.
In FI le cariche interne sono frutto dell’investitura del Cavaliere e il ruolo di coordinatrice ha come prima pretendente proprio Ronzulli, che così completerebbe l’occupazione del partito, che il Cavaliere fin’ora aveva posticipato per tenere unito il gruppo. Si tratta però anche un avvertimento ai “governativi” di non pretendere ulteriori nomine di sottogoverno, dopo aver già ottenuto i ministeri. FI dovrebbe ottenere sette o otto caselle e a riempirle ci sono molti pretendenti.
Berlusconi vuole recuperare alcuni esponenti storici che non sono stati eletti in parlamento, tra questi Valentino Valentini, storico consigliere per la politica estera vicino alla Russia e il monzese Andrea Mandelli. C’è anche il capogruppo uscente alla Camera, Paolo Barelli, umiliato dopo la sostituzione con Alessandro Cattaneo che però è di area Tajani.
Poi i nomi in quota Ronzulli e quelli reclamati dal sud, che non ha ancora avuto alcuna gratificazione in termini di nomine. E non è detto che i veti di Meloni sui nomi azzurri non colpiscano ancora, come già hanno fatto coi ministri.
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