In poche settimane quattro consiglieri regionali, dal Lazio al Piemonte, sono andati via. L’ex segretario lombardo Grimoldi attacca: «Togliere il suo nome dal simbolo del partito»
L’ultimo a salutare la compagnia della Lega è stato Sergio Pirozzi, vulcanico ex sindaco di Amatrice durante il terremoto che ha distrutto il paese. Mercoledì alla Camera ha annunciato l’adesione al Fronte delle libertà lanciato da Cateno De Luca per le europee. Quello di Pirozzi è un addio rumoroso per il partito di Matteo Salvini: arriva dal centro Italia, dove il segretario leghista puntava a radicarsi. Altri tempi. Ma magari si trattasse solo di Amatrice.
Il commiato annunciato in settimana è uno dei tanti che stanno decimando la Lega per Salvini premier (Lsp), che ci mette anche del suo con espulsioni tipo quella dell’europarlamentare veneto, Toni Da Re. L’annuncio del congresso in autunno, fatto dal segretario, cerca di placare gli animi, mentre è in corso il fuggi fuggi verso altri lidi, da Forza Italia al Partito popolare del nord di Roberto Castelli.
Sul fronte esterno non va meglio. Salvini è atteso da una settimana infuocata: alla Camera si discuterà la mozione di sfiducia, presentata da Azione, con la prima firma del capogruppo Matteo Richetti, e condivisa da tutte le opposizioni, che puntano il dito contro l’accordo tra Lega e Russia unita, il partito di Vladimir Putin.
Salvini «non può rappresentare degnamente la Repubblica italiana ma, anzi, dimostra di non esercitare appieno le proprie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione», si legge nel testo della mozione, che potrebbe però essere votata dopo Pasqua. La decisione sarà assunta dalla conferenza dei capigruppo a Montecitorio.
Mentre, proprio venerdì, la segretaria del Pd, Elly Schlein, ha partecipato a una manifestazione contro il Ponte sullo stretto. «Un progetto sbagliato che sta portando avanti Matteo Salvini», ha detto. Insomma, un accerchiamento proprio nel momento più difficile della leadership salviniana.
Consiglieri in fuga
Nella Lega i nervi sono a fior di pelle. Sta ormai diventando iconica la rubrica social “Uno al giorno” di Paolo Grimoldi, ex segretario della Lega lombarda e deputato per quattro legislature, che raccoglie i nomi di quelli che lasciano la Lsn. In poche settimane sono andati via ben quattro consiglieri regionali in giro per l’Italia. I motivi sono vari: eccessivo centralismo nella gestione; lo spostamento verso la destra radicale lamentato dai profili più moderati; il tradimento dei valori originari per i militanti storici del Nord. E in mezzo «errori politici e di comunicazione». Compreso la corte serrata al generale Roberto Vannacci.
Nel Lazio il vicepresidente del Consiglio regionale, Giuseppe Cangemi, ha scelto di tornare con Forza Italia, di cui era stato uno dei volti di spicco fino al 2020, quando aveva deciso di abbracciare la causa di Salvini. Il suo nome sul piano territoriale non è certo secondario: da dirigente del Popolo delle libertà, nel 2010, era diventato assessore alla sicurezza della giunta Polverini.
Più a nord Andrea Ulmi ha abbandonato il gruppo della Lega in regione Toscana. A differenza di Cangemi è un salviniano doc: nel 2016 era capogruppo della Lsp al comune di Grosseto, oltre che segretario provinciale. Indiscutibile è stato poi il leghismo di Claudio Leone, attuale consigliere regionale in Piemonte, che ha comunicato il passaggio al gruppo Misto dopo «una profonda riflessione».
Nella sua piccola roccaforte di Rivarolo canavese ha costruito un percorso politico tutto nel segno della Lega nelle sue varie evoluzioni. «Militante nella Lega dal 1994, per oltre dieci anni è stato segretario cittadino del Carroccio», dice di sé stesso. Il poker di addii è arrivato con la svolta in Liguria di Mabel Riolfo, consigliera regionale data in avvicinamento (non ancora ratificato) a Forza Italia.
Il partito di Antonio Tajani si conferma attrattivo per i molti leghisti in uscita, delusi dalla linea di Salvini. L’indicatore degli umori che attraversano il centrodestra. Riolfo rappresentava quella generazione che era stata affascinata dal progetto salviniano, avvicinandosi al partito dopo l’evoluzione in ottica nazionale.
Pazienza finita
Il problema non riguarda solo le regioni. Molti militanti nordisti sono stufi. A Padova hanno lasciato la Lega di Salvini Claudio Todesco, molto vicino al sottosegretario alle Imprese Massimo Bitonci e profilo in vista nella Liga Veneta, e l’ex consigliera comunale Vanda Pellizzari.
Nel pavese, a Vidigulfo, il consigliere comunale Filippo La Rosa ha ufficializzato la decisione di lasciare il partito. E ancora, a Viterbo la Lega ha perso la rappresentanza nel consiglio provinciale, mentre nel consiglio comunale di Pesaro ci sono state due fuoriuscite: Giovanni Dallasta, fondatore della Lsn nella sua città, e Francesco Totaro. La lista include, tra gli altri, gli addii recenti di Bruno Luca ad Aprilia (Latina), Anna Valpolicelli a Salsomaggiore (Parma), Luca De Sio a Rimini. Uno stillicidio giornaliero, termometro della difficoltà.
Un macigno sul cammino verso le elezioni di giugno. «Consiglio di togliere la dicitura Salvini premier dal nome del partito», dice Grimoldi a Domani. I tempi? «Bisogna farlo prima delle europee». Tradotto: serve un cambio di leadership prima del voto di giugno per provare a evitare quella che al nord prevedono come un’inevitabile débâcle. Altrimenti la migrazione verso Forza Italia sarà inarrestabile.
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