Doveva essere il vertice della sua consacrazione, invece anche gli ottimi risultati raggiunti sono stati oscurati dalle questioni legate ai diritti. E dall’incapacità del governo di gestire anche i dossier più delicati
Non sapremo mai come è andata veramente. C’è la versione che attribuisce al governo italiano un eccesso di realismo. O di oscurantismo. Quella che vede in Emmanuel Macron un astuto sabotatore in grado di utilizzare a proprio favore un incidente di percorso. C’è la moral suasion, vera o presunta, del Vaticano e di papa Francesco. E poi una serie di spifferi, indiscrezioni, bozze e controbozze.
La sintesi è che da giovedì, giorno di inizio del vertice, tutto il dibattito intorno al G7 a guida italiana è stato monopolizzato dalla questione dell’aborto e dei diritti Lgbt. Che sarebbero argomenti ben degni di un confronto approfondito tra i grandi della Terra. Peccato che tutto sia stato ridotto a un imbarazzante teatrino. Se Giorgia Meloni sperava di trasformare l’appuntamento pugliese nella sua consacrazione internazionale dopo l’ottima prova delle elezioni europee, la cosa le è evidentemente sfuggita di mano.
Certo, i giornali internazionali non hanno probabilmente dato la stessa enfasi di quelli italiani alla cancellazione della parola “aborto” dal comunicato finale del vertice. Anche se lo scontro tra la premier e Macron sull’argomento ha comunque fatto clamore. La notizia di un passo indietro sulla difesa dei diritti Lgbt, lanciata da Bloomberg, è stata prontamente smentita e l’allarme è in parte rientrato.
Dilettanti allo sbaraglio
Ma il dato politico resta. Insieme a una domanda sospesa: gli sherpa italiani al tavolo delle trattative hanno veramente ricevuto il mandato di sbianchettare tutto ciò che il governo chiaramente non condivide e che, in qualche modo, poteva infastidire il pontefice? Se la risposta è sì, tutto il resto è conseguenza.
Non era difficile immaginare che la cosa avrebbe infastidito le altre delegazioni al tavolo. Non era difficile immaginare che la notizia potesse arrivare ai media. Non era difficile immaginare che sarebbe stata usata contro Palazzo Chigi. Non era difficile immaginare che, giunti a quel punto, il governo avrebbe dovuto avere una contronarrazione convincente per chiudere le polemiche sul nascere. Invece la cosa più vicina a una reazione immediata è stata la frase del “cognato-ministro” Francesco Lollobrigida che ha ben pensato di evocare il papa («Non so se a un G7 a cui partecipa anche il papa fosse opportuno»), alimentando così ulteriori dubbi e retroscena.
Poco efficace è stata anche la spiegazione arrivata in tarda serata («Le conclusioni, se non introducono nuovi argomenti, per non essere inutilmente ripetitive, richiamano semplicemente quanto già dichiarato nei precedenti vertici. Non c’è alcuna ragione di polemizzare su temi che già da tempo ci trovano d’accordo», ha detto Meloni) con l’accusa rivolta a Macron di fare «campagna elettorale utilizzando un forum prezioso come il G7».
Un modo per amplificare lo scontro più che sopirlo. Se poi vogliamo pensare che non ci sia stato un mandato preciso del governo, e che tutto sia avvenuto per un’incredibile concatenazione di sfortunati eventi, la cosa è forse peggiore. Perché mostra un livello di improvvisazione e dilettantismo che di certo non aiuta il nostro paese.
Peraltro non va dimenticato che tutto questo è stato accompagnato dalle immagini della rissa, quelle sì finite sui principali media internazionali, a Montecitorio a margine della discussione sull’autonomia differenziata. C’è stato chi ha parlato di un tentativo della Lega di boicottare la premier e il suo show allestito a Borgo Egnazia. Una spiegazione che renderebbe il tutto troppo incredibile per essere vero.
Eppure è stato il G7 che ha raggiunto un accordo per il finanziamento a Kiev tramite gli asset russi. Il primo vertice che ha visto la partecipazione del papa. E anche l’inserimento del Piano Mattei nelle conclusioni era un ottimo motivo per autocelebrarsi e rivendicare un ruolo da protagonista dell’Italia. Peccato che tutto questo sia stato messo in secondo piano da siparietti degni di una commedia. All’italiana.
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