- In passato, Giorgia Meloni non ha fatto mistero della sua “allergia” verso la Germania, come disse in un’intervista, poi smentita in occasione del suo incontro con il cancelliere Olaf Scholz.
- Anche gli altri partiti di governo si sono spesso scagliati contro il “dominio” tedesco sull’Europa, retorica che ora torna in maniera più moderata nei confronti dell’asse franco-tedesco.
- La realtà è molto diversa. I ministri del governo Meloni hanno ben presente fatturato e occupazione che le aziende tedesche generano in Italia e i nuovi ministri competenti hanno già incontrato i loro omologhi.
Che in passato Giorgia Meloni non abbia avuto parole tenere per la Germania e i suoi governi, spesso accusati di affronti contro l’Italia e di sfruttare l’influenza sull’Unione europea a proprio vantaggio, non è un mistero. E se oggi lei e i suoi partner di maggioranza si sforzano per mantenere toni civili per quanto riguarda i rapporti con gli alleati europei, rimane una certa ostilità nei confronti dell’alleanza tra Parigi e Berlino, spesso indicati dal governo come motori di iniziative ostili a Roma.
Ma la realtà dei fatti è ben diversa e i ministri di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia sono molto più pragmatici nei rapporti con la Germania (e con un governo tecnicamente di segno opposto) quando si parla di soldi. Basta guardare alle agende di due ministri di peso come Matteo Salvini e Adolfo Urso. Mentre il primo ha incontrato il suo omologo a fine gennaio, il titolare delle Imprese e del Made in Italy è appena tornato da una trasferta in Germania in cui si è discusso addirittura del trattato diplomatico su cui stanno lavorando Roma e Berlino, il Piano d’azione, che potrebbe contenere una politica industriale comune.
Il sentimento antitedesco
Se Meloni parlava di un’Italia condannata a «tirare la carretta dei tedeschi» o se invitava a «inchiodare la Germania di fronte alle sue responsabilità», Matteo Salvini nel 2019 accusava il governo giallorosso di piegarsi «di nascosto a Berlino» e di voler «riportarci all’Italietta schiava e umiliata», senza dimenticare le sue bordate contro la capitana della Sea Watch Carola Rackete e i suoi sostenitori. Per non parlare di Silvio Berlusconi, che già nel 2003 proponeva all’eurodeputato socialdemocratico Martin Schulz il ruolo di kapò in un film sui campi di concentramento.
Ma, nei fatti, nonostante la retorica antitedesca e antifrancese degli esponenti del governo, la linea economica dei ministri competenti è molto più aperta al dialogo e cerca il sostegno di Berlino. Una volta al governo, infatti, le relazioni tra i singoli dicasteri e gli omologhi d’oltralpe non sono cambiati molto rispetto al passato.
Anche perché le aziende tedesche presenti in Italia sono 1.712 e sono seconde per numero soltanto a quelle americane. Impiegano quasi 200mila persone e superano i 95 miliardi di fatturato (dati della Camera di Commercio italo-germanica). E hanno dunque un certo peso, in termini di tasse pagate allo stato italiano e di stipendi retribuiti.
Anche l’interscambio tra Italia e Germania è in crescita e vale oltre 140 miliardi di euro, una cifra che fa di Berlino il primo partner commerciale per Roma. Per la sola Lombardia la partnership vale 48 miliardi di euro, una cifra quasi paragonabile quella tra Berlino e l’intera Africa.
I progetti di Salvini
La rilevanza di questi numeri si specchia nelle agende internazionali dei ministri del governo Meloni, ma anche in quella della premier stessa. Meloni a inizio febbraio è stata ospite a Berlino, nel primo viaggio in una capitale europea se si fa eccezione per Bruxelles. Ma anche Urso e lo stesso Salvini hanno dimostrato un forte attivismo nei primi mesi al governo.
Il segretario della Lega ha incontrato nella sua veste ministeriale l’omologo Volker Wissing. In due ore di bilaterale, i due hanno auspicato «lo stretto coordinamento tra Roma e Berlino sulla doppia transizione verde e digitale per il settore dei Trasporti», ma hanno incontrato anche oltre cinquanta rappresentanti di imprese e associazioni di categoria. I partecipanti sono tutti documentati con precisione dalla squadra della comunicazione di Salvini: si va da Confindustria, che ha inviato il vicepresidente Maurizio Marchesini a Cdp, Eni e Ita, ma anche Mercedes, Volkswagen, Poste e Snam.
Oltre all’allineamento sulla transizione, i due ministri si sono esposti anche contro i divieti di Vienna al Brennero, un tema che i due avevano intenzione di discutere anche alla ministeriale europea. Chi ha seguito da vicino lo scambio racconta anche che Salvini può contare su una sponda inaspettata in Wissing anche per un tema che sta a cuore sia a lui sia al collega Urso: l’impatto della transizione ecologica sul settore automotive.
La missione di Urso
L’omologo di Salvini fa infatti parte della Fdp. Il partito liberale in questo periodo è il partner più debole della coalizione semaforo, ma presidia alcuni campi di vitale importanza per gli interessi del proprio elettorato. Per esempio, il partito si è battuto contro il limite di velocità in autostrada, che i Verdi avevano proposto fin da inizio legislatura, e in generale è quello più attento alle istanze del settore dei produttori di auto, una lobby di peso nell’economia tedesca. Seppure il dibattito in Germania abbia superato la fase che sta attraversando in Italia sul futuro dell’industria dopo la transizione energetica, se c’è qualcuno che ha un orecchio aperto per le polemiche sollevate dal governo italiano su questo tema è la Fdp.
Berlino ha previsto di abbandonare i motori diesel e benzina già nel 2030, ancor prima dunque della data fissata dall’Unione europea, il 2035. Una data che comunque ha sollevato obiezioni da parte dei partiti di centrodestra anche durante il recente voto per fissarla. Nonostante un intervento ex post sulla norma sia ormai cosa quasi impossibile e non ci si possa attendere un sostegno pubblico di Wissing alle istanze del governo italiano, per una serie di coincidenze i due esecutivi di segno opposto si trovano su posizioni simili in questo ambito. Una linea che si potrebbe tradurre in un sostegno congiunto alla ricerca di alternative all’elettrico, come il potenziamento dello sviluppo di motori a idrogeno e di biofuel.
Il ministro delle Imprese, oltre a tenere presente queste inclinazioni di Wissing, ha alzato ulteriormente il livello dello scambio nel suo ultimo viaggio a Berlino. Con l’occasione di un bilaterale con il vicencancelliere Robert Habeck, Urso ha voluto spingere ancora di più per ottenere l’impostazione di politica industriale comune. Una questione talmente di rilievo che il meloniano ha voluto tirare in ballo il Piano d’azione, il trattato diplomatico che le cancellerie stanno negoziando. Il testo è ancora in discussione, ma l’ambizione tedesca è di concludere un accordo che abbia lo stesso prestigio del Trattato del Quirinale firmato con Parigi.
Nel merito del testo potrebbe entrare quindi l’allineamento sulla strategia industriale. Uno dei primi temi sul tavolo è stato quello dell’impiego delle infrastrutture strategiche per quanto riguarda il versante transatlantico e quello rivolto a est, in particolare alla ricostruzione ucraina. Punti di riferimento in questo piano sono i porti Amburgo, quello di Genova per il versante atlantico e quello di Trieste per quello orientale.
Con un trattato diplomatico in ballo e una lunga serie di interessi economici allineati, che passano anche per la ricerca di sponde politiche per quanto riguarda l’immigrazione (da parte italiana) e sugli aiuti di stato (da quella tedesca), insomma, Roma ha tutto l’interesse a non inimicarsi i partner berlinesi. D’altra parte, il passato è passato e le parole dette ai comizi pure.
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