- Elevando Giovanni Paolo II a santo protettore del suo esecutivo, la premier Giorgia Meloni traccia la sua agenda su valori non negoziabili e difesa della vita.
- Come presidente del Consiglio, Meloni abbandona le sua battaglie sui simboli e trova nel papa polacco il modello a supporto del trinomio Dio, patria. famiglia.
- Così tra Fratelli d’Italia e l’enciclica Fratelli tutti si misura la distanza tra due visioni d’Italia: quella di Francesco che sogna l’integrazione dei migranti. E quella della premier.
Georgia Meloni, la “papaboy”. È sotto la protezione del papa santo Giovanni Paolo II che la neopresidente del Consiglio inaugura il suo nuovo esecutivo. Lo aveva fatto via Twitter poco dopo il suo giuramento: «Ho avuto l'onore e il privilegio di conoscerlo e sono onorata che sia il santo di questo giorno così particolare per me».
Lo ha ricordato chiosando il suo discorso alla Camera: «Un pontefice, uno statista, un santo, che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente. Mi ha insegnato una cosa fondamentale, della quale ho sempre fatto tesoro. “La libertà” diceva “non consiste nel fare ciò che ci piace, ma nell’avere il diritto di fare ciò che si deve”».
Per Meloni, il papa polacco rappresenta il lato confessionale di un principio di non contraddizione politico che proietta l’Italia dentro un’Europa secolarizzata. «Noi siamo gli eredi di san Benedetto, patrono d’Europa» ha ricordato ai deputati. Per restaurare un dialogo con i vertici europei, però, la premier capisce che occorre depurarsi, e il suo primo atto è una cancellazione: sparisce dal suo profilo Twitter la nun ن, la lettera araba utilizzata per marchiare i cristiani “nazareni” soggetti alle leggi repressive dello stato islamico.
È stata il cappello con cui la leader di Fratelli d’Italia ha condotto la sua battaglia in difesa della patria fin dai tempi di Atreju 2014. Erano gli anni delle polemiche sui simboli cristiani come il presepe. «Epurano il presepe, Adeste Fideles, i crocifissi perché troppo cristiani e offendono chi non lo è» twittava la premier nel 2015.
Meloni e Wojtyła
La «donna, madre, cristiana» della campagna elettorale dei comizi di Vox torva, in Giovanni Paolo II, il modello per santificare il suo ruolo istituzionale. Nell’autobiografia Io sono Giorgia scrive: «Papa Giovanni Paolo II fu eletto nel 1978, un anno dopo la mia nascita. Quando morì, nel 2005, io avevo ventotto anni. E in quei quasi trent’anni di vita lui era stato lì. Fu come se mancasse di nuovo mio nonno, perché lui, semplicemente, c’era sempre stato».
C’è anche un parallelismo fra la sua carriera politica e il pontificato di Wojtyła: «Avevo avuto il privilegio di incontrarlo, per ben quattro volte. Era tradizione, al tempo, che i primi giorni dell’anno il pontefice incontrasse gli eletti della capitale a tutti i livelli. Consiglieri comunali, provinciali e regionali. Io, come ho raccontato, ero stata eletta alla provincia a ventun anni, e non ho mai mancato quegli appuntamenti, come è ovvio che fosse. Quando fu il mio turno sorrise con quell’espressione forte e compassionevole insieme, e disse: “La più giovane del consiglio”. Fu semplice ed elettrizzante».
In Giovanni Paolo II, Meloni rintraccia i principi non negoziabili in tema di politiche familiari, difesa della vita, contrasto alle supposte ideologie progressiste, e li utilizza per diventare lei stessa portavoce di un elettorato conservatore. Non a caso del suo governo fanno parte Alfredo Mantovano ed Eugenia Roccella, figure simbolo del “ruinismo” (da Camillo Ruini) che ha rappresentato l’anima politica del pontificato di papa Wojtyła.
Fratelli d’Italia vs Fratelli tutti
In questo modo, Meloni ha fatto da eco allo smarrimento patito dai cattolici durante la pandemia. Un declino riportato nel libro-manifesto Il gregge smarrito, che era già cominciato prima della pandemia, con un crollo dei cattolici praticanti davanti alle sfide della modernità.
Di Francesco, Meloni scrive: «A volte mi sono sentita una pecorella smarrita, e spero un giorno di avere il privilegio di poter parlare con lui, perché sono certa che i suoi occhi grandi e le sue parole dirette riusciranno a dare un senso a quello che non comprendo. Vedo troppi atei che lo osannano e troppi fedeli confusi, e sono certa ci sia una spiegazione che io non riesco ad afferrare».
Orfani e angosciati dal futuro, così, i cattolici nostalgici hanno ritrovato nel papa polacco quel punto di riferimento saldo nella fede davanti alla disgregazione di valori ritenuti non negoziabili: «L’Europa non permetta che il suo modello di civiltà si sfaldi, pezzo dopo pezzo. Il suo slancio originale non deve essere soffocato dall’individualismo o dall’utilitarismo» twittava Meloni il 16 aprile 2020 ricordando il papa emerito. È lo stesso smarrimento che lei stessa ha più volte palesato nel caso di papa Francesco. «Perché il papa tace sulla barbarie di un bambino privato delle cure necessarie e lasciato morire dallo stato?» scriveva in un tweet nel 2017, prima che a Charlie Gard, affetto da una grave malattia mitocondriale, fosse staccato il respiratore per ordine dell’Alta corte britannica.
Così tra Fratelli d’Italia e la lettera enciclica Fratelli tutti si misura la distanza tra due visioni del paese. Da una parte, il papa che sogna «un futuro in cui migranti, rifugiati, sfollati possano vivere in pace» (Visita pastorale a Matera, settembre 2022). Dall’altra la premier, wojtyliana di ferro.
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