La presidente del Consiglio ha accolto con cautela il discorso sullo Stato dell’Unione. Poche aperture al governo italiano. Fidanza (FdI): «Alcuni punti condivisibili», Alla premier il compito di commentare la nomina di Draghi: «La considero una cosa buona, non contro il governo»
Prudenza e basso profilo è stato l’ordine di scuderia della giornata. Giorgia Meloni ha accolto così, con grande cautela, il discorso sullo Stato dell’Unione di Ursula von der Leyen. Dopotutto non poteva fare altrimenti.
La campagna elettorale per le europee è appena iniziata, la premier deve anzitutto pensare ai suoi elettori, non può permettersi di dare l’impressione di volersi spostare verso i Popolari o, peggio ancora, verso i Socialisti europei.
«È molto difficile che io possa fare intese coi socialisti in Europa – ha detto ospite di Porta a Porta – Il dibattito sulle future coalizioni è molto prematuro, bisognerà vedere i numeri ma io di solito con la sinistra non sono avvezza a fare accordi». Il che non è comunque un no secco. Fatto sta che, fino a quel momento, da palazzo Chigi non era arrivato alcun commento ufficiale sulle parole della presidente della Commissione.
Il ruolo di Draghi
Sempre a Porta a Porta, ore dopo l’annuncio di von der Leyen, è arrivato quello sul ruolo assegnato a Mario Draghi, che dovrà preparare uno studio sulla competitività europea. «È uno degli italiani più autorevoli che abbiamo – ha detto la premier – presumo che possa avere un occhio di riguardo. La considero una cosa buona, non contro il governo».
Parole che hanno richiamato alla memoria quelle, di tutt’altro tenore, pronunciate per criticare il commissario Paolo Gentiloni («da quando ogni nazione ha il suo commissario, accade che questi tengano un occhio di riguardo verso la nazione che rappresentano. Penso sia normale e giusto. E sarei contenta se accadesse di più anche all’Italia»).
Ma anche parole un po’ freddine che confermano che l’ottimo rapporto costruito quando Draghi era a palazzo Chigi e Meloni all’opposizione, non ha superato la crisi aperta dagli attacchi del ministro Raffaele Fitto sulla gestione del Pnrr da parte dell’ex premier. «Spero che la nomina di Draghi faccia davvero felici tutti a palazzo Chigi», dice, punzecchiando il centrodestra, l’ex ministro delle Politiche europee, Vincenzo Amendola (Pd).
Agli atti, quindi, resta soprattutto l’iniziale silenzio di Fratelli d’Italia di fronte all’annuncio di von der Leyen. Il tutto mentre gli altri partiti applaudivano entusiasti.
Parola a Fidanza
La prima reazione ufficiale al discorso sullo Stato dell’Unione è stata così quella di Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia all’Europarlamento. «Abbiamo ascoltato una sorta di manifesto elettorale. In parte condivisibile, in parte no. In parte in estremo ritardo», è stata l’essenza del suo ragionamento. Un po’ opposizione per forza di cose, visto che FdI non è parte della maggioranza europea, ma con la prospettiva di qualche punto di contatto.
Del resto tra Meloni e von der Leyen, nell’ultimo periodo si è registrato un certo feeling. E a palazzo Chigi non sarà passato inosservato il fatto che la presidente della Commissione non ha detto niente su un tema centrale dei prossimi mesi: la riforma del Patto di stabilità, snodo fondamentale della prossima manovra. Domani l’Eurogruppo si riunisce a Santiago di Compostela.
In quella sede il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, cercherà di centrare l’obiettivo prefissato: consentire all’Italia di poter spendere un po’ di più. Proprio Giorgetti, ieri alla Camera per il question time, ha dribblato la domanda: «Non ho ascoltato il discorso, al Mef c’è tanto da fare». Fidanza ha comunque sottolineato come sia necessario cambiare la «governance economica mettendo al centro crescita e investimenti». Una richiesta, nemmeno troppo implicita, di allargare i cordoni della borsa per ampliare il margine di azione dell’esecutivo.
Modello Tunisia
Altri passaggio del discorso che sarà piaciuto a Meloni è probabilmente il riferimento al “modello Tunisia” come paradigma da applicare alle politiche migratorie, Quindi, singoli accordi con i paesi del nord Africa per evitare massicci flussi migratori verso l’Europa.
Proprio il meccanismo sponsorizzato da Meloni (anche se i numeri degli sbarchi a Lampedusa sembrano confermare che il meccanismo non funziona). Un approccio che in Italia è stato propagandato come un grande successo del governo. Soddisfazione che però deve fare i conti con la realtà. E la premier si rende conto che la soluzione del problema, nonostante le carezze di von der Leyen, è lontana. «La questione è fermare gli arrivi in Italia» e su questo «non vedo ancora risposte concrete», ha detto.
Non è passato inosservato, poi, il passaggio sul Green deal: von der Leyen si è impegnata a proseguire lungo la strada tracciata, ma anche la necessità di tenere insieme le necessità delle imprese. Un’analisti sicuramente gradita a destra.
Dove si registra anche il commento di Matteo Salvini sul tema dell’“invasione” delle auto cinesi: «La Lega denuncia questo rischio da anni, l'Europa si sveglia adesso. Distratti, incompetenti o complici?» Un attacco diretto a Bruxelles con toni profondamente diversi da quelli usati da FdI. E forse la chiave è proprio questa.
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