Dopo un episodio simile a febbraio, per poco l’esecutivo non ha visto la scorsa notte evaporare una norma che prevede il trasferimento di 150 milioni di euro dalla bonifica della fabbrica alle attività produttive di Acciaierie d’Italia. Ma il M5s promette di ripresentare l’emendamento
Ancora una volta, sull’ex Ilva il governo sfiora la sconfitta per mano di parti della stessa maggioranza che lo sostiene. Il salvataggio in extremis è andato in scena questa notte, quando la commissione Industria al Senato doveva votare gli emendamenti al decreto Tagliaprezzi. È stato quello a firma del vicepresidente Cinque stelle Mario Turco a mettere in crisi la maggioranza: il testo prevedeva l’abrogazione di una norma presente nel decreto che sposterebbe 150 milioni dai fondi per la bonifica della fabbrica di Taranto all'attività produttiva di Acciaierie d'Italia.
La vicenda
Assieme al Movimento hanno votato a favore dell’emendamento anche Pd e Leu, nonostante il parere negativo del governo attraverso il ministero dello Sviluppo economico e un accordo precedente a non ripresentare l’emendamento. Contro, Lega e Forza Italia: insieme, 14 voti a favore contro altrettanti contrari.
Astenuti, invece, Fratelli d’Italia e Italia viva. Il partito di Giorgia Meloni si è trovato in una situazione loose-loose: votando contro l’emendamento, quindi a favore dello spostamento dei fondi, avrebbe assecondato il governo, votando a favore si sarebbe ritrovato a votare con sinistre e M5s. Iv invece accusa i Cinque stelle di demagogia. «La verità sul blitz dell’emendamento Ilva del M5s al dl Tagliaprezzi è che i grillini hanno provato a mandare sotto il governo. Come sempre, dietro i titoli, che siano sui termovalorizzatori di Roma o sull’Ilva di Taranto c’è davvero poca autenticità da parte del M5s che va avanti di bandiera in bandiera, inseguiti talora dal Pd su un terreno sdrucciolevole».
In serata arriva la spiegazione del comportamento dei senatori del Pd, che hanno disatteso le indicazioni del governo che sostengono e della direzione del partito. A prendersi la responsabilità dello strappo è il capogruppo in commissione Stefano Collina, che spiega di aver voluto mantenere compatto il fronte progressista: «La scelta di votare a favore dell’emendamento proposto dai Cinque stelle sull’Ilva nasce solo dalla volontà di non rompere una alleanza politica che sul territorio tarantino sostiene un candidato a sindaco» dice, assicurando però essere stato comunque convinto che l’emendamento poi sarebbe stato comunque bocciato, come effettivamente poi è successo.
In base al regolamento del Senato la parità di voti prevede la bocciatura, ma il M5s promette battaglia. «Lo stop all'emendamento sulle bonifiche dell'ex Ilva è uno schiaffo alla città di Taranto e un segnale molto negativo per il paese. Perciò lo ripresenteremo nel prossimo decreto Aiuti e comunque tenteremo di fare la stessa cosa quando il testo del provvedimento che stiamo esaminando, andrà alla Camera» ha detto Turco.
Sull’episodio si è anche espresso il leader della Lega Matteo Salvini, che ha chiesto un intervento del presidente del Consiglio Mario Draghi su un tema così divisivo che «è la seconda volta che la maggioranza si spacca e alla fine non si vota a favore dell' Ilva: una cosa fondamentale. Ora mi aspetto da Draghi intervenga al suo rientro dall'America».
Il precedente
Non è la prima volta che il futuro dell’ex Ilva divide la maggioranza. A metà febbraio si era verificato un episodio simile durante l’esame del dl Milleproroghe in commissione Affari costituzionali alla Camera.
All’epoca, l’articolo 21 del decreto era stato contestato da Pd e M5s fin da subito. Prevedeva che i fondi sequestrati alla famiglia Riva, che dagli anni Cinquanta ha guidato il primo gruppo siderurgico italiano e tra i principali gruppi europei dell’acciaio, potessero essere utilizzati non solo per il risanamento e la bonifica ambientale dei siti di Taranto inquinati, ma anche per consentire ad Acciaierie d’Italia, che gestisce oggi la fabbrica ionica, di continuare a produrre acciaio e restare in vita puntando alla decarbonizzazione.
In quel caso, il voto dei due partiti era bastato e l’articolo era stato soppresso, impedendo ad Acciaierie d’Italia di beneficiare di 575 milioni di euro.
© Riproduzione riservata