Al Senato vengono certificati gli affanni dell’esecutivo sulla finanziaria, nonostante le promesse di approvarla entro Natale. E sul Recovery plan arriva un dossier pesante dell’ufficio parlamentare di bilancio
Un ostruzionismo tutto interno al governo, che battibecca sulle alleanze in Europa, arranca con la maggioranza in parlamento e viene bacchettato dall’Upb sulla scarsa capacità di spesa dei fondi del Pnrr, ferma in totale sotto il 15 per cento con una plausibile frenata negli ultimi mesi.
La conseguenza è inevitabile: lo slittamento della discussione della manovra, che potrebbe non arrivare nemmeno sotto l’albero di Natale. Se tutto andrà bene, l’iter in aula al Senato inizierà solo dal 18 dicembre.
E chissà se davvero il centrodestra riuscirà a rispettare le nuove scadenze. «Abbiamo fissato, forse un po’ troppo ottimisticamente, la sessione in aula lunedì 18. Poi vediamo, dipende dalla responsabilità di tutti», ha detto il presidente di palazzo Madama, Ignazio La Russa, ammettendo non troppo implicitamente i ritardi e i problemi. Per evitare di rispondere sul nuovo timing, se l’è cavata con una battuta: «Il giorno di Natale sicuramente non lavoreremo».
Affanni Pnrr
Il clima non è certo sereno. Anche perché l’Ufficio parlamentare di bilancio ha espresso un giudizio severo sul Pnrr, nonostante i toni istituzionali. Le modifiche «comportano uno spostamento in avanti sia degli obiettivi da raggiungere che delle risorse erogate dall’Europa, riescono a guadagnare tempo per completare gli affidamenti e finalizzare i lavori, ma di per sé non incidono sulle ragioni dei ritardi e dei divari territoriali di performance». Insomma, la strategia del governo, firmata dal ministro Raffaele Fitto, è solo quella di prendere tempo. Ma non velocizza le operazioni.
C’è, poi, un problema di impiego delle risorse. A fine novembre sono stati spesi «28,1 miliardi, pari a circa il 14,7 per cento del totale delle risorse europee del Pnrr: 1,3 miliardi nel 2020 (tutto il programmato per l’anno), 6,2 miliardi nel 2021 (leggermente più di quanto programmato), 18,1 miliardi nel 2022 (leggermente più di quanto programmato)».
Per il 2023, il dato è da consolidare sulla base delle informazioni del sistema Regis, ma risulta al momento di soli «2,5 miliardi (il 7,4 per cento del programmato)», si legge nel documento dell’Upb. Decade infine la scusa preferita da palazzo Chigi: i bandi senza partecipanti. Di sicuro «l’avvio delle gare soffre di ritardi su tutto il territorio nazionale ma con maggiore rilievo nel Mezzogiorno» e «i ritardi nelle aggiudicazioni non sembrano dovuti al fenomeno delle gare deserte, che dai dati disponibili appare marginale», scrive l’Ufficio nella propria memoria.
Manovra con il presepe
In questo quadro, le tensioni politiche innescate tra gli alleati hanno sommerso il provvedimento a palazzo Madama. I litigi a distanza del vicepremier, Matteo Salvini, con il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, non sono solo una simulazione in ottica delle europee.
Ognuno deve piazzare la propria bandierina, gli emendamenti dell’esecutivo devono soddisfare tutti. Così la freddezza, per non dire irritazione, di Giorgia Meloni verso l’alleato leghista non è stata smaltita dal faccia a faccia. A dispetto della foto finale con tanto di sorriso, a palazzo Chigi si mastica amaro.
L’andamento della finanziaria non è quello auspicato nelle scorse settimane. La data cerchiata in rosso era infatti quella di giovedì 21 dicembre. La presidente del Consiglio avrebbe voluto celebrare in quel giorno la tradizionale conferenza stampa di fine anno, nell’auletta dei gruppi alla Camera, con la finanziaria già in tasca, approvata pure a Montecitorio. Così da sbandierare un cambio di registro rispetto al passato. Per la premier era l’obiettivo minimo, ormai sfumato. Un impegno che non sarà rispettato. A conferma che rispetto ai precedenti esecutivi non è cambiato niente.
I fatti, invece, fotografano lo stallo al Senato. Il governo deve inviare in commissione Bilancio, tra oggi e domani, gli emendamenti annunciati, in particolare il correttivo sulle penalizzazioni previste attualmente per le pensioni dei medici. Le modifiche riguarderanno anche altri temi: un pacchetto sicurezza-difesa, un intervento sugli enti territoriali e sugli investimenti per le infrastrutture.
La fatica maggiore è quella di scrivere l’intervento sulla previdenza per la sanità, senza intaccare i saldi. Un esercizio di equilibrismo per il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che all’Unione europea e alle agenzie di rating ha venduto una manovra «seria», capace di fare un po’ di cassa sulla previdenza. Dopo aver depositato gli emendamenti dell’esecutivo si può entrare in azione.
In ogni caso, è ormai un pallido ricordo l’arrivo in aula al Senato il 12 dicembre, come raccontato in un primo momento. A questo punto, come ha lasciato intendere La Russa, è plausibile che a Montecitorio la legge di Bilancio venga discussa e approvata definitivamente tra Natale e Capodanno. Altro che 21 dicembre.
«La maggioranza è in confusione, sta pagando la scelta del governo di varare una manovra solo elettorale, dalla durata di un anno senza un respiro triennale», spiega a Domani il senatore del Pd, Daniele Manca. «Peraltro in commissione aspettiamo nelle prossime il governo che corregge sé stesso con i vari emendamenti annunciati», incalza il parlamentare dem.
E chissà cosa sarebbe accaduto se fossero stati presentati emendamenti della maggioranza. Di fronte agli affanni Meloni affila le armi della propaganda. «Questo governo lavora velocemente», ha detto la premier nell’intervista fiume a Rtl 102.5.
E sulle tensioni con la magistratura, la presidente del Consiglio ha ripreso in parte le tesi espresse dal ministro della Difesa, Guido Crosetto: «È un fatto che ci sia una piccolissima parte della magistratura, che per ragioni ideologiche ritenga di fare altro rispetto a quello che è il suo ruolo». Infine, la parte vittimista, altro perno della strategia meloniana: «Delle mie questioni personali si è parlato senza pietà, alla fine però metto in testa e si combatte». E poco male se spesso ha usato la famiglia per forgiare la sua immagine pubblica.
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