Simbolo e denominazione sono due dei capisaldi citati dal fondatore, ma toglierli ai nuovi vertici sarà complicato. Ma Grillo pensa anche a impugnare le modifiche statutarie
Le strade che si dipanano davanti a Beppe Grillo sono poche e strette. Alcune rischiano addirittura di essere dei vicoli ciechi: dopo la sua fuga in avanti sulla costituente di ottobre – pubblicata sul suo blog personale, neanche sul sito del Movimento – il garante deve ragionare sulla prossima mossa per fare fronte alla replica di Giuseppe Conte.
Per ragionare su quali carte ha in mano Grillo, bisogna tornare ai tre capisaldi che ha indicato nel suo intervento: denominazione, simbolo e limite dei due mandati. Punti su cui il comico ha detto di non voler accettare deroghe. Per avere il quadro completo della situazione va tenuto a mente che il grande problema attuale del fondatore del Movimento è il seguito, sia per quanto riguarda i parlamentari sia nel novero degli attivisti, Grillo non può più contare su un sostegno popolare come quello che lo accompagnò nel 2021, quando si era consumato l’ultimo grande scontro con Conte, con conseguente rischio di scissione.
Resta di conseguenza sullo sfondo l'opzione di disarcionare Conte via statuto: l’avvocato del popolo ha formulato il suo regolamento in maniera così intricata che deporlo è possibile solo con una votazione che va validata dalla partecipazione della maggioranza assoluta degli iscritti, un’affluenza che le votazioni online dei grillini non raggiungono più da anni.
Anche oggi qualcuno inizia a parlare di prendere strade separate, facendo riferimento proprio alla questione del simbolo: un tribunale di Genova ha riconosciuto la legittimità di utilizzarlo sia alla nuova associazione del Movimento, sia a Grillo stesso, in capo a cui cade il design originario, poi ritoccato diverse volte.
«È proprio per emanciparsi da questa spada di Damocle che Conte vorrebbe cambiare nome e simbolo» osserva chi conosce bene le vicende giudiziarie del M5s. Al di là della motivazione che ha portato l’ex premier ad aprire il dibattito perfino su elementi così strutturali, quel che Conte non può assolutamente farsi sfilare è il governo dell’associazione, che significherebbe perdere il controllo dei fondi e, soprattutto, dei soldi che arrivano dal 2x1000.
Se l’ex premier riuscisse a tenere le mani sull’associazione, a Grillo resterebbe la possibilità di far tornare in vita la prima organizzazione che si era dato il Movimento, magari nella speranza di trovare una sponda nelle figure che hanno voltato le spalle a Conte, come Alessandro Di Battista e Virginia Raggi. Nulla è da escludere, ma al momento sembra un’ipotesi lontana, anche in termini di volontà dei protagonisti di contribuire: il capopopolo di Viterbo, per esempio, dovrebbe rinunciare alla sua carriera di opinionista e reporter che ha costruito una volta fuori dal parlamento.
L’altra carta
Ma proprio per la situazione ambigua su simbolo e denominazione, che a questo punto appartengono a entrambi i contendenti, Grillo potrebbe rivolgersi all’altro caposaldo che ha citato tra i principi inderogabili del M5s, il vincolo dei due mandati. Disattenderlo – anche se l’ha fatto il fondatore stesso in passato, per esempio introducendo il “mandato 0” – significherebbe procedere a una modifica statutaria.
Quello, nonostante il testo sia stato lungamente negoziato tra fondatore e presidente del M5s, sarebbe un appiglio interessante. Perché è vero che lo “statuto secentesco” (copyright Grillo) è stato un compromesso tra le due parti in causa, ma c’è chi cita quello che si può considerare un mezzo precedente. Cioè un altro pronunciamento giudiziario, stavolta del tribunale di Napoli, che nel 2022 aveva trattato il ricorso dei “ribelli” che mettevano in discussione l’elezione di Conte alla presidenza e le modifiche che aveva proposto al regolamento dell’associazione. Il ricorso era stato respinto in appello, ma le motivazioni secondo chi allora aveva voluto mettere in discussione Conte ancora oggi lasciano margine per tornare sull’argomento.
Il tribunale di Napoli si era infatti limitato a dichiararsi territorialmente incompetente: una motivazione che per i contiani equivaleva a una chiusura della questione, ma che secondo l’avvocato dei ricorrenti, Lorenzo Borrè, non entrava nel merito dei presunti vizi sollevati davanti alla corte. Insomma, i motivi di illegittimità non sarebbero stati affrontati né tantomeno risolti. All’epoca la questione era stata messa da parte anche per l’apatia di Grillo, ma non è da escludere che in un altro contesto il fondatore possa tornare a interessarsi delle scartoffie giuridiche che hanno riguardato il suo Movimento. Sempre che il garante abbia voglia di infilarsi in una querelle giudiziaria.
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