Antonio Guizzetti, ex candidato alla segreteria nazionale del Pd, si interroga sul futuro di un partito allergico alle «alternative»
Qualcuno di voi avrà avuto notizia del fatto che, a inizio anno, avevo manifestato l’intenzione di proporre, fra i tanti che speravo concorressero, la mia candidatura alla segreteria nazionale del nuovo Pd.
L’impresa non mi è riuscita, un po’ per colpa mia (presunzione di potere disgregare il sistema di potere interno del partito), un po’ perché il vecchio Pd ha gestito il percorso congressuale con scarso rispetto delle regole scritte e troppo rispetto delle regole occulte, quelle della consorteria spartitoria che fa muro contro ogni novità vera e, per la verità anche inattesa, di una candidatura – oggetto – misterioso di un tale che, dopo trent’anni e passa di lavoro professionale d’alto livello con le principali organizzazioni multinazionali di finanziamento allo sviluppo dei paesi emergenti, vagheggiava l’idea di poter in qualche modo contribuire alla formazione di una sinistra italiana ricostruita dalle sue macerie e orgogliosamente sul mercato del consenso elettorale.
Mi sovviene un ricordo manzoniano, capitolo primo dei Promessi Sposi, laddove l’autore, Alessandro Manzoni, scrive: «Pensino i mei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull’anima del poveretto quello che s’è raccontato».
Non credo di avere più lettori di Manzoni, ma un po’ nelle vesti di quel poveretto mi ci ritrovo, di fronte all’emergere di veleni elettorali nelle votazioni in corso per stabilire, da parte dei Circoli, i due sfidanti finali che andranno alla corrida delle primarie.
Mi verrebbe da dire: assolutamente nulla di nuovo sotto il cielo di un partito da tantissimo oscurato da beghe correntizie, improbabili capibastone, improvvidi nuovisti, affabulatori di una democrazia interna tutta forma e niente sostanza, dove il vecchio e il nuovo si apparecchiano la stessa tavola cui banchettare trascinandosi alla fine.
Certo, il candidato – oggetto – misterioso Antonio Guizzetti non avrebbe cambiato granché le cose, da solo: né le tessere fantasma di Caserta (e le molte che forse seguiranno), né il monta-panna delle anticipazioni dei risultati da parte dei Circoli – fans più sfegatati – né le dispute, che alla fine arriveranno tra l’una e l’altra delle correnti e, magari, tra l’uno e l’altro dei contendenti.
Forse qualche candidatura in più non di apparato avrebbe favorito una maggiore pluralità di idee e di posizioni non omologate a priori e, a ben guardare, non si sa dove cercare alternative se non forse nella scelta degli alleati, che sembra, come sempre, il giochino preferito dai nuovi leader che verranno.
Bene: la mia breve avventura in sostegno del partito è finita presto e peggio di quanto pensassi. Con la netta sensazione che il nuovo Pd sarà, se possibile, una brutta copia di quello vecchio.
Non so quanti dei miei venticinque lettori saranno d’accordo, ma spero che siano davvero pochi e che possano smentirmi con l’evidenza dei fatti che verranno da qui in avanti.
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