Per i “ribelli” del Movimento 5 stelle il nuovo orizzonte potrebbe essere il simbolo arancione della Lista del popolo per la Costituzione, guidata da Antonio Ingroia. È probabile che sia questo il nuovo contenitore che raccoglierà gli esuli pentastellati. Quel che è certo è che la trattativa è in corso: per formare un nuovo gruppo parlamentare i ribelli devono raccogliere almeno dieci senatori e, soprattutto, hanno bisogno di un simbolo che è stato presentato alle ultime elezioni.

Sono tante le liste che si sono presentate ma non avevano preso voti a sufficienza per ottenere seggi: tra queste anche quella dell’ex pubblico ministero, che aveva raccolto alle elezioni del 2018 lo 0,02 per cento delle preferenze alla Camera e lo 0,03 al Senato. Troppo poco per pesare nella definizione degli equilibri della nuova legislatura, ma abbastanza da rimanere nei pensieri di chi adesso cerca una nuova realtà in cui collocarsi. Per il momento, dice l’ex candidato, «non ci sono stati contatti». Ma «se mi chiedessero il simbolo non mi tirerei indietro», spiega. Una posizione per niente ostile ai “puri” del Movimento, insomma.

Lo strappo

Dopo il voto sulla piattaforma Rousseau di giovedì, quando il 59 per cento dei votanti ha deciso di sostenere la formazione del governo di Mario Draghi, il leader extraparlamentare Alessandro Di Battista ha annunciato di non poter sostenere la scelta degli iscritti e di preferire a questo punto «farsi da parte». Il videomessaggio, ripreso in cucina tra pentole e presine, arrivava al termine di una giornata costellata da manifestazioni di dissenso di numerosi parlamentari del Movimento.

Ieri tantissimi hanno manifestato il proprio affetto al leader, in un flusso di post in cui ritorna come elemento comune la speranza che si tratti di un arrivederci e non un addio. «Con Alessandro conservo i più bei ricordi degli ultimi otto anni. Anche quelli più tristi e difficili. E per questo saremo sempre uniti da un profondo legame», scrive Luigi Di Maio. Il diretto interessato invece ieri parla di «”rappresaglia” mediatica dai giornali berlusconiani» contro di lui. Non esattamente il segnale che si aspettavano i ribelli, che hanno in queste ore definitivamente messo da parte il desiderio di vedere Di Battista alla guida del proprio gruppo. I contatti con i singoli parlamentari continuano a esserci, ma già nelle scorse settimane il leader appassionato di reportage non aveva dimostrato la volontà di porsi alla guida dei critici.

Pare più probabile che si tratti di una pausa dal Movimento, in attesa che i vertici attuali terminino la loro parabola di consensi discendenti. E i ribelli se ne sono accorti: «Alessandro è inconcludente, non ha mai dato una prospettiva a nessuno», dice un deputato. «Lui può permettersi un passo indietro per manifestare il suo disinteresse, ma è chiaro che ora non vuole dare vita a un altro soggetto politico», aggiunge un senatore tra i più determinati a negare la fiducia al nascituro esecutivo martedì prossimo, quando potrebbe esserci la verifica in aula.

Insomma, se Di Battista non si muove, il gruppo di parlamentari in dissenso farà da sé, ripartendo da quel 40 per cento di voti contrari al governo Draghi registrati giovedì sera. A far loro da base d’appoggio potrebbe essere proprio l’Associazione Rousseau: è ormai chiaro che il lato con cui si schiererà non sarà quella degli attuali vertici del Movimento. Davide Casaleggio ieri mattina scriveva che «è proprio di questa coerenza (quella di Di Battista, ndr) che ha bisogno il Movimento». Gli fa eco Enrica Sabatini, sua socia e figura di peso nell’universo pentastellato: «Chi ha la stessa missione, troverà il modo di camminare insieme verso la stessa direzione». Una presa di posizione che identifica nettamente la parte con cui si schiera Rousseau, che almeno per il momento è quella di Di Battista.

I numeri

Senza una figura forte a guidarli non è scontato che alcuni parlamentari alla fine decidano però di restare nell’ombra. Attualmente le fonti del Movimento parlano di una decina di deputati e altrettanti senatori pronti a restare coerenti fino alla fine. Il capo politico Vito Crimi giovedì sera aveva spiegato che la decisione di Rousseau è vincolante: chi voterà in dissenso, a questo punto va incontro a una procedura di sanzione interna che verosimilmente porterà all’espulsione. Senz’altro, poi, da qui a martedì i governisti continueranno il lavoro di moral suasion iniziato già negli scorsi mesi, quando più e più volte hanno faticato per riportare nei ranghi gli oppositori di misure controverse come la modifica al Mes. L’altro elemento da tenere d’occhio nelle prossime ore è la reazione alla lista dei ministri. Chi per il momento rimane indeciso potrebbe infatti aspettare la discussione del primo provvedimento indigeribile per quel che resta del Movimento per guadagnare tempo e organizzare per bene il momento in cui dire addio.

 

© Riproduzione riservata