- Le prime audizioni dei nuovi vertici Rai in commissione di Vigilanza hanno avuto un unico punto focale: quello del canone, che la Lega si è proposta di rimuovere dalla bolletta.
- Il rischio, evidenziato da presidente, amministratore delegato e direttore generale è che il servizio pubblico resti senza fondi.
- Per ora, i proclami della Lega non sono stati seguiti da proposte concrete, ma la convivenza della maggioranza in viale Mazzini si preannuncia tormentata.
Tra canone, pluralismo e palinsesti, la Rai sovranista rischia di essere in difficoltà ancora prima di partire. A preoccupare i vertici Rai – la presidente Marinella Soldi, l’amministratore delegato Roberto Sergio e il direttore generale Giampaolo Rossi – è infatti la base economica con cui finanziare i cambiamenti del servizio pubblico che hanno in mente. La Lega non sembra infatti voler demordere sulla proposta di rimuovere il canone dalla bolletta.
Durante i loro interventi di fronte alla commissione di Vigilanza Rai, Soldi, Sergio e Rossi hanno spiegato che lo spostamento dell’imposta altrove procurerebbe grave danno alla situazione economica della Rai, già in una posizione negativa netta. Quando il canone si pagava ancora con il bollettino, ha detto Sergio, si registrava «un’evasione del tributo nell'ordine del 30 per cento». Una cifra che vale tra i 300 e i 400 milioni di euro in meno in un bilancio in negativo già per 600 milioni.
Insomma, il servizio pubblico non si può permettere questo taglio di risorse: Fratelli d’Italia ne è ben consapevole, come dimostrano le parole che hanno scelto i vertici meloniani, senza dubbio concordando prima i termini da usare con le alte sfere del partito. Dalla sede in via della Scrofa guardano gli alleati leghisti con attenzione, ma ancora, dicono, non c’è nessuna proposta concreta di cui discutere.
I problemi della Lega
Anche perché il Carroccio è spaccato in due. Il segretario Matteo Salvini ha sposato l’intuizione del suo responsabile editoria e innovazione tecnologica. È infatti Alessandro Morelli ad aver proposto la cancellazione del canone dalla bolletta come volano per raccogliere consensi in vista delle elezioni europee del 2024. Gli alleati sono scettici sulla reale capacità di attrarre voti di una manovra simile, ma anche internamente alla Lega non tutti condividono la proposta. Si stanno quindi cercando alternative: qualcuno ha proposto un taglio progressivo nel tempo, qualcun altro chiede di spostare l’imposta su una tassa meno soggetta all’evasione come quella sul lavoro dipendente. Tutti gli occhi sono puntati su Giancarlo Giorgetti, che da titolare del ministero dell’Economia avrà l’ultima parola sulla scelto dello strumento.
Intanto, però, i leghisti fanno scoppiare il caso politico. Il senatore Giorgio Maria Bergesio durante l’audizione non è andato per il sottile: «Il nostro obiettivo è e rimane quello di ridurre il canone Rai, che oggi è a spese degli italiani, fino al suo totale azzeramento». Eppure, tagliare il denaro che fluisce nelle casse della Rai, ma anche dei fondi a sostegno per l’editoria, non è cosa facile.
Di fronte alla riduzione del gettito fornito dai contribuenti, andrebbero infatti allentati i vincoli che oggi limitano la raccolta pubblicitaria della Rai: se viale Mazzini sbarcasse sul mercato come concorrente a pieno titolo, è il timore, lo scossone metterebbe in seria difficoltà anche realtà come La7 e Mediaset. Uno scenario a cui da Forza Italia guardano con una certa preoccupazione.
La Lega – o almeno una parte di essa – è dunque rimasta sola a chiedere un intervento sul canone, ma anche la guerra del Carroccio di Marco Damilano per la vicenda Metropol sembra ormai una vicenda tra il partito di Salvini e il conduttore di Il cavallo e la torre. Damilano non può essere cancellato dal palinsesto per motivi contrattuali: la Rai rischierebbe penali salate, visto che il suo contratto è biennale. L’altra opzione sul tavolo è quella di spostare la trasmissione, ma anche in quel caso vanno verificati i limiti contrattuali, e, dice un esponente della maggioranza, «rischi comunque di pagare più di quanto ti costi lasciarlo lì».
Per il momento, la questione si è risolta con una domanda della Lega sulla performance del programma, una richiesta che rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio: il Pd, poco dopo, l’ha infatti evocata come metro di giudizio per tutti i programmi del servizio pubblico, inclusi quelli, finora di scarso successo, messi in piedi negli anni dalla destra.
Non accennano a risolversi poi le tensioni tra i nuovi vertici sovranisti e la presidente, rimasta al suo posto anche dopo la tornata di nomine firmata Meloni. Soldi ha rifilato una dura stoccata a Sergio e Rossi parlando della mancanza di donne tra i nuovi direttori di testata e di genere. «Abbiamo ottenuto una significativa riduzione del gender gap, sia in termini di carriere sia di retribuzioni tra il 2021 e il 2022. Uno sforzo che purtroppo non è stato fatto in occasione delle ultime nomine, in particolare per le direzioni delle testate giornalistiche, che sono state tutte al maschile, uno strappo grave alle policy di genere aziendali, ratificate proprio dal Cda un anno fa».
La risposta dell’azienda non si è fatta attendere: «Superare il gender gap e garantire una presenza femminile paritaria: è un obiettivo che vede già i primi risultati nelle scelte della nuova governance Rai per quel rilancio dell’azienda che è la priorità dei vertici».
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