In pochi, nel dicembre 2012, avrebbero pensato che il progetto di Fratelli d’Italia potesse portare alla guida del paese. Forse nemmeno Giorgia Meloni lo immaginava, quando si muoveva da vera underdog, come ha rivendicato nel suo discorso programmatico alla Camera nello scorso ottobre. Erano gli ultimi giorni del governo Monti, quando si consumava la scissione nel Popolo delle Libertà di Silvio Berlusconi.
Era stata la risposta aggressiva di Meloni e dei suoi fratelli politici alla mancata organizzazione delle primarie di coalizione per la leadership alle elezioni politiche. FdI, però, era lontana dai riflettori mediatici. Il battesimo elettorale, nel 2013, non fu un successo, il risultato fu addirittura inferiore al 2 per cento.
Insieme alla giovane leader c’erano alcuni ex missini che non potevano restare indifferenti al richiamo della fiamma, come Ignazio La Russa e Fabio Rampelli, più un manipolo di trentenni o poco più cresciuti tra la miltanza in Azione giovani e una manifestazione di Atreju. La star era Guido Crosetto.
Dieci anni dopo, nel settembre 2023, Fratelli d’Italia si prepara a festeggiare la grande ascesa con l’assemblea nazionale di domani e un soggetto diverso dagli esordi che nutre l’ambizione di essere il fulcro della politica italiana. Con il pericolo che si staglia all'orizzonte: rivelarsi una delle tante bolle degli ultimi anni, con leader e partiti che hanno registrato rapide scalate e altrettanto veloci picchiate.
Celebrazione decennale
L’assemblea nazionale del 12 settembre di Fratelli d’Italia è insomma un appuntamento politico per dare la direzione futura al partito, in vista delle sfide che lo attendono. Ma è soprattutto il momento celebrativo di un piccolo partito, nato con le stigmate di una ridotta postfascista e identitaria di destra, trasformatosi forza di maggioranza relativa in questa legislatura.
L’ambizione dichiarata è il 30 per cento alle Europee. Un balzo che renderebbe FdI simile a quel partito della Nazione vagheggiato da molti, su tutti Matteo Renzi. Un soggetto dal consenso stabile, una sorta di Balena bianca – almeno nei numeri – del nuovo Millennio come profetizzato dal deputato di FdI ma con un lungo cursus honorum berlusconian-democristiano, Gianfranco Rotondi.
«Quando capiranno che Giorgia Meloni non è il nuovo fascismo, ma la nuova Dc, per loro sarà tardi», ha detto con il solito stile felpato, bacchettando gli avversari. Un mantra, il suo, sul melonismo come la terra promessa dei democristiani.
La teoria di Rotondi cozza con le decisioni contraddittorie della leader, che da un lato apre a politiche di stampo meno sovraniste e più pragmatiche. Ma dall’altro non cede un millimetro alla struttura familistica del partito.
La collocazione saldamente atlantista, la prudenza sui conti per la prossima manovra così come l’archiviazione della smania anti-europea incarnano lo spirito della “nuova FdI” con uno spostamento verso il moderatismo.
«La recente linea politica si avvicina più a un Partito popolare europeo, che a soggetti come Vox. Le radici restano quelle note, ma le issues politiche su economia e società sono mutate in maniera significativa», dice a Domani Paolo Natale, docente dell’università di Milano ed esperto di flussi elettorali. «C’è stata un’evoluzione nelle parole d’ordine. Basti pensare alle idee sull’euro, l’economia. Davvero non c’entrano più nulla con quelle del passato».
Cambiano così pure gli interlocutori. Salvatore Vassallo, docente di scienza politica all’Università di Bologna, coglie infatti «un certo disallineamento con i governi ungheresi e polacchi, storicamente vicini alla linea di Fratelli d’Italia, anche se viene fatto di tutto per conservare una buona relazione».
Fratelli di leadership
Ma se la strategia politica vive un’evoluzione, se non una mini-rivoluzione, il gruppo dirigente resta cristallizzato nella solita cerchia ristretta, nel segno del familismo o del fideismo verso le leader. La promozione a capo della segretaria di FdI di Arianna Meloni, sorella della premier e compagna di vita del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, è il termometro di un partito arroccato sui legami personali e parentali.
Certo, non ci sono solo i fratelli e le sorelle di sangue, ma una fratellanza anche politica. Così si spiega la nomina del sottosegretario e mentore della premier, Giovanbattista Fazzolari, al ruolo di coordinatore della comunicazione del governo, mentre è stato messo alla porta Mario Sechi, ex capo dell’ufficio stampa della premier. Al momento non è stato indicato un sostituto. «Ce n’è davvero bisogno?», sostiene qualche fonte governativa.
Giorgia Meloni continua quindi a lasciare il potere nelle mani di pochi, i soliti noti. Ed è una delle motivazioni per cui il deputato e responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, e il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, sono stati difesi ventre a terra di fronte alle rivelazioni di informazioni segrete.
È scattata la protezione automatica di quella che è «la terza generazione del Movimento sociale italiano che non ha più problemi di accreditamento», osserva Vassallo. L’eredità della fiamma non rappresenta un peso. Il motivo? «C’è una continuità nei tre partiti della fiamma (Msi, An e FdI, ndr), ma ci sono anche degli elementi di discontinuità», aggiunge il politologo. «Fratelli d’Italia ha raccolto un’eredità politica, ma arriva anche dopo quasi vent’anni dalla svolta di Fiuggi».
Un lasso temporale in cui è cresciuta la generazione Atreju, legata all'evento annuale in cui la “giovane destra” si è ritrovata a Roma, tra il simbolismo tolkeniano e l’attualità politica. Nell’elenco spicca Galeazzo Bignami, viceministro alle Infrastrutture e probabile candidato alla presidenza della Regione Emilia-Romagna, la presidente della commissione antimafia, Chiara Colosimo, l’eurodeputato Nicola Procaccini, il presidente della commissione cultura della Camera, Federico Mollicone e altri.
Insomma, i post missini cresciuti all’ombra della leadership di Meloni in Azione giovani, conquistata a Viterbo nel 2004 a danno Carlo Fidanza, all’epoca candidato scelto dall’establishment capeggiato da Gianni Alemanno. Già allora la futura premier «dimostrava di saper mettere insieme le diverse istanze tra le correnti della destra ex Msi, divise anche dalla collocazione internazionale. C’erano atlantisti più filoamericani e la destra sociale più critica nei confronti degli Usa», racconta una fonte che ha seguito quel percorso.
Transumanza a destra
L’immagine è quella di una leader equilibrista, simil dorotea, che si muove nel territorio della destra radicale, in grado di unire anime in conflitto. Fino a fonderle nel pensiero unico del melonismo che pervade oggi il partito. Alle ultime elezioni FdI ha provato a dare un segnale di apertura.
Nelle liste sono stati inseriti candidati esterni da quel mondo, dall’ex presidente del Senato, Marcello Pera, all'ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, passando per l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Nomi altisonanti nel centrodestra, che hanno riconquistato la rielezione in parlamento. Solo che non hanno ottenuto un riconoscimento sul piano degli incarichi: si sono dovuti accontentare di qualche presidenza di commissione.
«Ancora non è chiaro come può evolversi la classe dirigente di Fratelli d’Italia. Ma resta il quesito se quello attuale sia un reticolo organizzativo soddisfacente», osserva ancora Vassallo. La sfida vera inizia dai prossimi mesi fino alle politiche del 2027 con il passaggio intermedio delle Europee. Sui territori la tendenza è quella prevedibile della gara a salire sul carro dei vincitori.
Da Milano a Palermo i dirigenti locali abbracciano la causa meloniana in uno scambio reciproco di interessi. Fratelli d’Italia garantisce un tetto politico e loro portano in dote il pacchetto di voti a disposizione. Di esempi se ne contano a decine.
A inizio anno l’ex coordinatore nazionale dei giovani di Forza Italia, Marco Bestetti, ha aderito a FdI con cui è stato eletto nel consiglio regionale in Lombardia alle ultime elezioni. A Verona, l’ex sindaco Federico Sboarina aveva fatto da apripista a questa tendenza: ha dismesso i panni del civico per prendere la tessera di Fratelli d’Italia.
Più a sud, a poche ore dalle politiche di settembre, il partito della premier ha fatto il pieno di ex amministratori locali nelle municipalità di Napoli, come Alberto Pierantoni e Maurizio Tesorone. In Sicilia il trasferimento è altrettanto imponente. Solo ad Adrano (comune di oltre 30mila abitanti in provincia di Catania), a luglio, sono arrivati tre consiglieri comunali, i Melita Saitta, Massimiliano Zignale e Cataldo Dell’Erba. Una lista di nomi poco noti alla ribalta nazionale, che tornano utili per comprendere la dinamica in atto. Solo che i portatori di voti devono limitarsi a questo, c’è poco spazio per ruoli dirigenziali.
Imprese tiepide
La chiusura all’esterno alimenta una diffidenza tra le varie realtà, che si riverbera sul rapporto con le imprese, una galassia filogovernativa per antonomasia. Il Nord-est produttivo ha concesso elettoralmente fiducia a Fratelli d’Italia alle politiche del 2022 con il 32,7 per cento in Veneto e il 28 per cento in Lombardia. Le realtà produttive sono però rimaste tiepide sul sostegno economico.
La mappa delle donazioni indica una certa predilezione degli imprenditori per altri partiti, Lega e Forza Italia nel centrodestra, e Azione e Italia viva nell’area liberal-democratica. Certo, le elargizioni economiche sono aumentate, ma non quanto altri competitor.
La traccia del sentiment imprenditoriale è stata data da Leopoldo Destro, presidente Confindustria Veneto Est: «Al governo do la sufficienza, ma deve fare di più, specie in un momento in cui le cose sono critiche». Il numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi, è in una posizione attendista.
Fratelli d’Italia è così al bivio: diventare davvero la Dc del terzo millennio, come sostenuto da Rotondi, o fare i conti con il rischio di un veloce declino. Un film già visto con Matteo Renzi, che da segretario del Pd era arrivato al 40 per cento salvo poi precipitare al 18 per cento. E sulla stessa falsariga si è mosso il Movimento 5 Stelle, passato dal 33 per cento del 2018 a meno della metà quattro anni e mezzo dopo.
Al momento Meloni non ha competitor nella coalizione: la morte di Silvio Berlusconi ha privato Forza Italia del suo leader e Matteo Salvini ha già giocato, male, le sue possibilità all’inizio della scorsa legislatura, con l’apice toccato al Papeete nel 2019.
Il pericolo può sorgere da un’ipotetica nuova leadership in quell’area politica. «In Italia esiste una fascia di popolazione vicina alla destra» dice Natale, «che storicamente è circa il 45 per cento dell’elettorato italiano, che tende a votare il maggior partito della coalizione. Così gli elettori passano da Berlusconi a Salvini o a Meloni, senza particolari traumi».
L’assemblea di domani è il crocevia per le Europee. «Il voto arriva dopo la prima vera manovra economica del governo, visto che la precedente era in parte impostata da Draghi», osserva Lorenzo Pregliasco, direttore di YouTrend e co-fondatore di Quorum. «È un tagliando che rischia di essere difficile - prosegue - nonostante il centrodestra arrivi da un risultato positivo dalle Amministrative, una tornata elettorale non sempre favorevole a quella coalizione. Solo che non è affatto scontato che ci sia una conferma del consenso di Fratelli d'Italia. Entriamo in una fase in un cui può svanire l'effetto della luna di miele».
Il rischio si annida poi nella particolarità del voto: «Gli elettori - conclude Pregliasco - scelgono più a cuor leggero. Non c’è una decisione netta per la maggioranza del paese». Al netto dell’esito elettorale, comunque, per Meloni e i suoi fratelli non ci sono scorciatoie: dalla compilazione delle liste si capirà quale direzione è stata intrapresa tra moderatismo post democristiano, con un partito aperto a energie fresche, o la tentazione d’antan del sovranismo, nel segno del familismo. E l'arroccamento, oggi, sembra l’opzione prediletta.
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