L’unica a dire di no è stata Meloni, la leader di Fratelli d’Italia. Tutto il parlamento – o almeno la rappresentanza di tutti i gruppi – si è inchinato al cospetto di Mario Draghi. Si è concluso così, con il sì di Salvini per la Lega e di Crimi, capo politico del Movimento, il primo giro di consultazioni del premier incaricato. Adesso però toccherà a Draghi stilare il programma tra veti e punti sensibili
L’unica a dire di no alla fine è stata Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia. Tutto il parlamento – o almeno la rappresentanza di tutti i gruppi – si è inchinato al cospetto di Mario Draghi. Si è concluso così, con il sì di Matteo Salvini per la Lega e di Vito Crimi, capo politico del Movimento 5 stelle, il primo giro di consultazioni del premier incaricato.
Adesso sarà lui a tirare le fila delle molte cose sentite e a decidere quale programma sarà la base sulla quale erigere il nuovo governo, che potenzialmente potrebbe includere quasi tutti.
Infatti l’unico gruppo ad avere posto un veto è stato Liberi e uguali: loro, hanno detto esplicitamente, al governo con Salvini – e Fratelli d’Italia comunque già fuori dai giochi – non ci andranno mai. «Mai con nazionalisti o sovranisti», hanno annunciato più volte negli ultimi due giorni.
Sul tavolo però ci sono alcuni temi divisivi: dal reddito di cittadinanza, che non piace al centrodestra; la giustizia, ostacolo sul quale si è infranto il tentativo di formare il Conte Ter; quota 100, la misura bandiera di Salvini che il centrosinistra non vuole; l’immigrazione dove ognuno ha posizioni diverse (ma Salvini si è già detto pronto a cedere).
Le consultazioni
Il premier incaricato, dunque, dovrà definire il suo programma, cinque sono le emergenze che ha indicato nei colloqui trovando l’approvazione di tutti: sanitaria, economica, sociale, culturale ed educativa, temi accennati anche nel suo primo discorso dopo l’incarico.
Adesso si attende che convochi le parti sociali, un appuntamento promesso e che dovrebbe concretizzarsi nelle prossime ore, e faccia partire un secondo giro di consultazioni.
Da Bonino a Renzi
Il primo giro si è aperto con i gruppi misti di Camera e Senato, di cui fanno parte anche PiùEuropa di Emma Bonino e Azione di Carlo Calenda. Loro hanno dato totale fiducia a Draghi. Anche gli altri partiti piccoli si sono detti pronti a collaborare, ognuno portando avanti – com’è naturale – i propri interessi: dai comuni montani alle minoranze linguistiche fino alla situazione degli italiani all’estero.
Dopo di loro sono stati sentiti i capigruppo di Liberi e Uguali. La capogruppo del Senato, Loredana De Petris, ha detto: «Abbiamo elencato punti prioritari e fondamentali. Sono degli spartiacque», no a Quota 100 e alla Flat Tax, le misure bandiera di Salvini, inoltre nessun passo indietro sui decreti Lamorgese per l’immigrazione.
Per loro bisognerebbe provare a mantenere la vecchia maggioranza: «Incompatibile con la presenza di forze come la Lega e le forze sovraniste della destra. Con Draghi siamo stati molto chiari». Tuttavia, come ha specificato il deputato Nicola Fratoianni a Domani, niente esclude che la coalizione si allarghi a Forza Italia, per creare una sorta di maggioranza Ursula che i giallorossi speravano di raggiungere già prima.
Nessun veto invece da parte di Matteo Renzi, che vede nell’incarico a Draghi una sua personale vittoria: «Italia viva sosterrà il governo Draghi indipendentemente dal nome dei ministri e da quanti tecnici e quanti politici. Gli abbiamo detto che siamo al suo fianco e a sua disposizione», anzi, con l’invito a tutti a non porre limiti: «Chi oggi pone veti non fa solo un errore politico ma rifiuta l'appello del presidente della Repubblica che ha escluso per questo governo una connotazione politica».
Dem
Il Pd ha dato «piena disponibilità». Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti ha detto che servirà «credibilità, stabilità e compattezza» e ha auspicato una maggioranza «ampia» ma «il più possibile omogenea». Desiderata a cui però non sono corrisposti limiti reali anzi, Zingaretti ha chiarito che lavora a un esecutivo che sia «forte» e «di lunga durata».
Silvio c’è
Poi c’è Silvio Berlusconi, che, dopo il no di Giorgia Meloni, ha fatto sì che il centrodestra fosse ufficialmente spaccato. Ieri il presidente di Forza Italia non è andato personalmente alle consultazioni – secondo quanto riporta il Corriere della sera per questioni mediche - ma ha telefonato a Draghi nel pomeriggio. Il vice presidente di Forza Italia, ed ex presidente del Parlamento Europeo, Tajani ha dato la notizia: «Abbiamo confermato al presidente incaricato il pieno appoggio già anticipato dal presidente Berlusconi nel corso di un lungo colloquio telefonico questa mattina». La palla è passata Salvini.
I vecchi alleati
E così arriviamo alle fasi finali del primo giro di consultazioni. Quando è arrivata la conferma che Draghi potrebbe conquistare una larghissima maggioranza. All’uscita dall’incontro, Salvini si è detto in sintonia con Draghi: «Noi siamo a disposizione, lo abbiamo detto al professor Draghi». Salvini è pronto a tutto: «Siamo diversi, nel senso che non abbiamo pregiudizi, perché quello di cui abbiamo parlato con Draghi è il futuro dei nostri figli». Loro, da partito che ha fatto propaganda no euro da quando Salvini è segretario, si sono trovati a «parlare con Draghi di Europa», e il leader del Carroccio ha parlato di «programmi simili».
Il leader leghista, ormai così poco sovranista nei toni, nel corso della conferenza stampa successiva all’incontro ha risposto anche sui decreti sicurezza: «Ci devono essere obiettivi condivisi, ciascuno deve rinunciare a un pezzo delle sue priorità per un pezzo di strada che non sarà lungo evidentemente» e sui temi di divergenza «nessuno pensa di imbarcarsi sulla giustizia e sull’immigrazione, seguire l’indirizzo europeo non inganna, non penso che sia un tema divisivo».
Nel suo discorso però, Salvini è entrato in competizione con il Movimento 5 stelle, parlando a sorpresa di ambiente e infrastrutture. Argomenti che per la Lega sarebbero prioritari insieme allo sviluppo, «difesa dell’ambiente, green economy. Senza ideologia: gli ambientalisti da salotto che difendono la plastic tax non fanno gli interessi dei nostri figli», e ha vantato una sintonia con Draghi sulle infrastrutture che per lui potrebbe includere «Tav, Pedemontana e ponte Sullo stretto».
Beppe Grillo, arrivato a Roma per compattare i suoi, sull’ambiente è stato chiarissimo: vuole il ministero della Transizione ecologica che riunisca il ministero dello Sviluppo e dell’Ambiente. Un modo per ricucire con i suoi, ma anche per tracciare una linea. Ha chiesto il taglio dei sussidi ambientalmente dannosi, e ha messo in campo l’ipotesi di trasformare in società benefit Eni ed Enel.
Il capo politico Crimi, all’uscita dall’incontro con Draghi, è tornato all’attacco: «Abbiamo ribadito la nostra volontà che non siano indebolite alcune misure, come il reddito di cittadinanza. E abbiamo trovato una persona sensibile a questo tema e all’importanza che ha in questo momento». I punti su cui il Movimento non vuole cedere. Sul tavolo, ha ricordato, ci sono anche giustizia e superbonus. Ma non è detto che su questi il Movimento non sia pronto a discutere.
La scelta di Draghi
L’invito del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a tutte le forze politiche in un certo senso coinvolge anche Draghi. Se tutti i parlamentari devono sostenerlo, l’ex presidente della Bce non può dire di no a nessuno. Ma nel momento in cui presenterà il suo programma, dovrà per forza tenere conto degli equilibri che vuole puntare a raggiungere, nella consapevolezza che le sue scelte porteranno all’adesione di un gruppo o all’esclusione di un altro. Anche se con l’arrivo dei 209 miliardi del Recovery plan, al momento si sono dimostrati tutti meno rigidi di come apparivano nelle ore successive all’annuncio di Mattarella.
Fonti del Movimento assicurano che la fronda al Senato è molto meno rilevante di quanto non raccontino i giornali. Quindi, se il programma di Draghi non comporterà troppi sacrifici e i Cinque stelle decideranno di starci, tutto il resto si muoverà attorno a loro.
Dalla adesione della Lega invece deriverà l’esclusione di LeU: se anche Salvini dirà di sì, si creerebbe una nuova maggioranza con M5s, Lega, Pd, Fi, Iv: un’unione trasversale che vedrebbe Pd e Iv perdere di potere rispetto al Conte bis.
Questa coalizione, spiegano fonti parlamentari, è difficile che duri per tutta la legislatura. In questo caso si tratterebbe quasi di un governo di scopo, la cui fine potrebbe arrivare in coincidenza con l’elezione del presidente della Repubblica, magari proprio Draghi.
Ma il presidente incaricato potrebbe ribaltare lo scenario. Se Draghi farà una proposta irricevibile per Salvini, sarebbe la Lega a restare fuori e prenderebbe forma il governo giallorosso in versione “maggioranza Ursula” per arrivare fino al 2023. Ritornare a tutto com’era, più Berlusconi in squadra e Renzi in un angolo: il disegno del Pd.
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