La polemica sul fine vita richiede una riflessione sui valori che fondano la società. In politica non basta la libertà di coscienza: occorre esprimersi nello spazio pubblico
Il caso Bigon riporta alla superficie un tema già molto dibattuto: «Cattolici senza casa», come scrive Antonio Polito sul Corriere. «Dovevi uscire dall’aula, così mantenevi la tua libertà di coscienza» dicono nel Pd a Anna Maria Bigon, facendo finta di non vedere che invece la questione è tutta lì: la possibilità di esprimere la propria coscienza in ambito pubblico, e non solo tenersela come una questione personale. Non basta essere liberi di pensare come si vuole: occorre anche avere la possibilità di far valere il proprio pensiero nello spazio pubblico.
D’altronde non è proprio ciò che chiedono i sostenitori dei diritti civili? Inoltre se si è contrari all’autonomia differenziata non si capisce come si possa accettare una legge su un argomento talmente delicato in una regione soltanto. Comunque ai cattolici sembra manchi una casa. Da decenni molti fra loro si rivolgono alla destra: prima verso Forza Italia e ora, dopo un rapido passaggio alla Lega, a Giorgia Meloni che pare difendere meglio i loro valori.
Non conta se i leader della destra non danno il buon esempio (d’altronde nemmeno gli altri): ciò che conta è la possibilità di esprimere e difendere i propri valori in pubblico, una condizione che pare stia venendo meno a sinistra (ma anche nei resti di quello che fu il “terzo polo”, forse la parte più laicista). Secondo tale linea la libertà di coscienza è concessa solo a livello individuale e nel silenzio. Di conseguenza nel dibattito pubblico spariscono i valori morali del cattolicesimo. Qui va precisato che senza di essi non esiste alcun tipo di “popolarismo” storico (anche se qualcuno ancora si illude).
Moderati?
Occorre distinguere democristiano (soprattutto post) da cattolico e anche cattolico da moderato: c’è ben poco di moderato nella difesa della vita, inclusa quella dei migranti, dei condannati a morte, delle donne, dei rom, dei disabili o delle vittime di guerra. Chi conosce almeno un poco l’evoluzione della dottrina cattolica sulla guerra – portata avanti dal papato nel Novecento fino a oggi – sa che la guerra non è ormai più considerata lecita. Come ha dichiarato il cardinal Pietro Parolin all’Accademia dei Lincei il 12 gennaio: «La guerra non è più uno strumento lecito dell’azione internazionale».
Ciò non significa che si possa dimettere un «approccio realistico che consenta di vivere le tensioni di ogni negoziato, rifiutando logiche di chiusura del tipo “o questo o niente” ma mantenendo aperta la strada del possibile». Un tema valoriale – quello sulla pace e sulla guerra – assolutamente cruciale per i cattolici, che infatti ne dibattono tra loro sia a destra che a sinistra. Il “non uccidere” non ammette nessuna eccezione, nemmeno quella del nazionalismo. Ci sono poi altri valori di difesa della vita, in particolare davanti alla malattia invalidante, ciò che viene chiamato il “fine vita”.
Per i cattolici non è facile ammettere una forma di diritto che promana dalla prerogativa “Della mia vita faccio ciò che voglio”. Ci sono due ordini di motivi: la vita non ci appartiene perché non ce la siamo dati da soli e ne siamo al massimo degli amministratori. In secondo luogo la vita è cosa troppo preziosa per sottoporla all’incertezza degli umori, della depressione o simili situazioni psichiche che sono di per sé volubili. Il suicidio assistito è irreversibile, come la pena di morte d’altronde. Si chiede quindi un di più di riflessione e cautela, che non si vede nei paesi che hanno adottato una qualunque forma di eutanasia.
Cure palliative
Come ha ribadito Bigon, c’è infine la strada delle cure palliative non ancora abbastanza percorsa. I cattolici non sono per la sofferenza, ma per la preservazione della vita. È possibile comprendere la critica a certi rigorismi del passato espressi anche dalla chiesa, ma non ci si può esimere dal domandare: cosa mettere al posto dei valori cattolici?
Stefano Folli dice che si tratta di un “confuso radicalismo”: è tramontato il tempo dell’alleanza con il liberalismo con il quale il cattolicesimo aveva trovato un compromesso. Gli stessi radicali italiani, antesignani delle battaglie laiciste, non lo sanno spiegare. In sintesi la domanda è: qual è la morale, quali sono i valori di tale “nuovo mondo”? L’individualismo sfrenato secondo cui “faccio ciò che voglio e ciò che sento” dimostra la sua totale mancanza di solidità e di prospettiva umana. Esso non può diventare collettivo proprio perché tendente al narcisismo, come dimostrano le contraddizioni della cultura woke.
Cosa diviene un mondo composto di tanti “io urlanti” in cui non si accetta più nessuna forma di “noi”? Cosa dire di un mondo in cui la vita non ha più valore oggettivo ma solo “il valore che gli do io, di volta in volta”? A cosa conduce tale forma di relativismo? La cosa più probabile è che conduca a una società in competizione, cioè in scontro permanente tra diritti fatalmente contrapposti.
Non si tratta forse di una grande dissipazione, di una libertà che alla fine lascia soli? Sarebbe urgente che la morale laica di oggi dica cosa vuole, quale società immagina, quali valori difende, senza limitarsi ad affermare che: “Ciascuno sia padrone di sé stesso, decida da solo e questo basta”. Perché non è vero che ciò sia sufficiente: trasforma il mondo in una lotta perpetua tra individui alla ricerca di un’identità sfuggente e insoddisfatta, che non possono trovare perché troppo soli e isolati. Non c’è abbastanza riflessione su quali valori sosterrebbero una società siffatta, ma solo un discorso scarno, limitato e autoreferenziale.
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