- Sulla carta doveva essere una festa di piazza, fatta in pieno congresso “costituente”. In effetti i candidati segretari ci saranno alla manifestazione nazionale del Pd, sabato 17 dicembre alla piazza Santi Apostoli di Roma.
- La piazza scelta, culla storica delle vittorie dell’Ulivo, non è grande, ma comunque va riempita onde evitare che la giornata si trasformi in un flop. C’è il Generale Inverno, anche se il meteo non promette pioggia; il vero guaio, viene spiegato, è che il sabato prima delle feste di Natale non è la data migliore per convocare il “popolo”.
- Anche per questo il core business dell’evento è cambiato in corsa. Per il Pd doveva essere un appuntamento contro la finanziaria; lo resta – in quelle ore si svolgeranno le votazioni in commissione Bilancio della Camera – ma sul palco saliranno i due candidati alle regionali di febbraio, Alessio D’Amato per il Lazio e Pier Francesco Majorino per la Lombardia, per il lancio delle loro campagne elettorali.
Sulla carta doveva essere una festa di piazza, fatta in pieno congresso “costituente”. In effetti i candidati segretari ci saranno alla manifestazione nazionale del Pd, sabato 17 dicembre alla piazza Santi Apostoli di Roma. Il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini verrà, i suoi assicurano che arriveranno anche gli emiliani, senz’altro i suoi sostenitori.
Ci sarà anche Paola De Micheli e ci sarà Elly Schlein, alla sua prima manifestazione nazionale da iscritta al Pd, e anche lei proverà a portare i suoi supporter. Ma è difficile che quella sarà davvero l’occasione per caricare i militanti come era stato immaginato un mese fa, e per misurare il loro tasso di entusiasmo. Anzi, la verità è che chi ha il polso della base, soprattutto nella capitale, spiega che non sarà facile portare le persone, anche se «scarpe rotte eppur bisogna andare».
La piazza scelta, culla storica delle vittorie dell’Ulivo, non è grande, ma comunque va riempita onde evitare che la giornata si trasformi in un flop. C’è il Generale Inverno, anche se il meteo non promette pioggia; il vero guaio, viene spiegato, è che il sabato prima delle feste di Natale non è la data migliore per convocare il “popolo”.
Evento ridimensionato
Anche per questo il core business dell’evento è cambiato in corsa. Per il Pd doveva essere un appuntamento contro la finanziaria; lo resta – in quelle ore si svolgeranno le votazioni in commissione Bilancio della Camera – ma sul palco saliranno i due candidati alle regionali di febbraio, Alessio D’Amato per il Lazio e Pier Francesco Majorino per la Lombardia, per il lancio delle loro campagne elettorali.
Un modo per far montare un po’ di calore umano. Un mese fa Enrico Letta l’aveva annunciata come il finale di tre giorni di mobilitazioni cittadine a partire dal 15 dicembre, in quello che allora veniva immaginato come il pieno fervore congressuale, «per mettere in campo le nostre idee sul tema dei salari, contro le diseguaglianze e il caro vita», «contro una manovra improvvisata e iniqua».
Ora la locandina, rossa rossa, con il simbolo del Pd laterale grazioso come un addobbo natalizio, dice «insieme per difendere la sanità pubblica e le politiche sociali». E infatti «sono i temi rimasti fuori dalla finanziaria della destra», spiega il segretario regionale del Lazio Bruno Astorre. «La battaglia contro la manovra viene prima delle primarie e vede tutto il Pd compatto in parlamento e in piazza», assicura il segretario cittadino Andrea Casu. Il problema è che il morale della “base” è basso.
I sondaggi danno il Pd stabilmente sotto il Movimento 5 stelle, almeno a livello nazionale. Alle regionali la corsa di entrambi i candidati è in salita: nel Lazio D’Amato ha perso l’alleato di sinistra, che potrebbe persino passare armi e bagagli nel «polo progressista» di Giuseppe Conte; nella Lombardia Majorino tenta di chiudere l’accordo con M5s, per oggi promette novità e fin qui si dice «cautamente ottimista». Ma non sarà facile né chiudere l’accordo né scavalcare il leghista Attilio Fontana. A dare manforte ai candidati presidenti ci sarà il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, grande elettore di D’Amato. Eppure a ieri l’impegno di sabato non aveva ancora scritto in agenda.
Umiliati dal Qatargate
Ma a preoccupare è l’effetto dell mazzata del caso Qatar, l’inchiesta dei magistrati belgi che hanno scoperchiato un presunto giro di corruzione, colossale, che non tocca il Pd ma lo lambisce, e comunque coinvolge un pugno di assistenti di suoi europarlamentari.
Le indagini faranno il loro corso, ma ieri in aula Enrico Letta, che fin qui era rimasto in silenzio, ha dovuto esprimere tutta la sua amarezza in aula alla Camera, durante la dichiarazione di voto sulle comunicazioni della presidente Giorgia Meloni: «Le notizie delle inchieste raccontano qualcosa di scandaloso ed inaccettabile», ha detto. «Un danno gravissimo che quelle vicende fanno all’Europa e al cuore della democrazia. Ci costituiremo come parte lesa», ha annunciato.
Di «fatto ripugnante», di «un cratere morale» ha parlato l’ex ministro Andrea Orlando, spiegando che oltre alla «condanna senza mezzi termini» il punto è «capire quali sono i tarli che possono aver scavato» quel cratere. Sabato Letta sarà sul palco, lo stesso palco da cui aveva lanciato la campagna elettorale per le politiche del 25 settembre. Stavolta, dati i risultati, si presenta in versione sempre più dimissionaria, come ha spiegato già ieri alla camera annunciando «l’ultimo intervento da segretario del mio partito in un dibattito importante come questo sull’Europa».
Il giorno prima si sarà svolta la riunione del comitato costituente che dovrà scrivere il nuovo manifesto dei valori del Pd. Anche questo si è trasformato nel rischio di uno boomerang: sul confronto del comitato, accusato di essere troppo spostato a sinistra, si è fatto sentire il dissenso di molti “padri fondatori” del Pd, da Arturo Parisi a Pierluigi Castagnetti (che ha promosso un convegno sul cattolicesimo democratico per il 19 dicembre, difficile che non si parli delle evoluzioni del Pd).
Sono arrivate le perplessità di Walter Verini, ex portavoce di Walter Veltroni, il primo segretario del Pd. Nell’ala riformista, che sostiene Bonaccini, c’è persino chi – come Giorgio Gori, sindaco di Bergamo – minaccia di lasciare il Pd a seconda della formulazione finale del testo; e chi – come il costituzionalista Ceccanti – avverte che l’assemblea nazionale uscente non è legittimata a votare grandi inversioni di rotta. E anche questo non aiuta a tenere alti i cuori democratici.
© Riproduzione riservata