- Il centrodestra non è mai stato un progetto, un programma, una ideologia. È stato una persona: Silvio Berlusconi
- È stato, all’inizio degli anni Novanta in cui cambiava il mondo, il precursore di tutte le leadership personali occidentali e orientali, nell’identificazione assoluta tra partito, stato, persona e patrimonio, destinato all’emulazione
- Nel 1994 Berlusconi fondò il centrodestra, perché gli altri posti erano occupati, ma all’inizio, trent’anni fa di questi tempi, puntava a ereditare i voti del vecchio pentapartito
Il centrodestra non è mai stato un progetto, un programma, una ideologia. È stato una persona: Silvio Berlusconi. Per questo quando si dice che con Berlusconi è nato il centrodestra italiano, si ripete un errore. Berlusconi è stato qualcosa di diverso dal capo politico che ora tutti gli aspiranti alla successione dicono di rimpiangere. È stato, all’inizio degli anni Novanta in cui cambiava il mondo, il precursore di tutte le leadership personali occidentali e orientali, nell’identificazione assoluta tra partito, stato, persona e patrimonio, destinato all’emulazione. Dalle macerie della politica novecentesca dei partiti di massa si formava un impasto di democrazia e autocrazia, vicino a una religione secolare, nel cui nome unire, ma anche dividere, il paese.
Gli inizi
«Se fossi a Roma non avrei dubbi: voterei per Fini». Era il 23 novembre 1993, quelle parole di Berlusconi, a ripensarci ora, racchiudevano già tutto, l’inizio e la fine. Con quella dichiarazione di voto Berlusconi aveva lanciato tre messaggi dirompenti. La caduta del tabù repubblicano, la rottura dell’arco costituzionale durato cinquant’anni, con l’opzione per Gianfranco Fini, candidato al ballottaggio per il Campidoglio contro il verde Rutelli, in quel momento segretario del Msi discendente diretto del fascismo, non ancora purificato dalla svolta di Fiuggi.
La location scelta per la storica esternazione, un centro commerciale, l’Euromercato di Casalecchio di Reno: dal tempio della politica al dio dello scaffale. E la premessa iniziale: se fossi a Roma. A Roma, intesa come il cuore della politica, il Cavaliere non c’era allora, e ci sarebbe sempre stato con molta difficoltà. Anche per il suo addio non ha scelto le sedi istituzionali, Camera o Senato, ma gli studi tv di Cologno Monzese. La sua famiglia, la sua azienda, il suo mondo, lontano dall’infido palazzo romano, sempre detestato e temuto per le sue ipocrisie e per le sue trappole, di cui pure era divenuto maestro, ad esempio la ricerca dei voti mancanti in parlamento per tenere su i suoi governi.
In quel momento il Cavaliere aveva 57 anni, era un condottiero sul punto di far salpare la sua nave. Era famoso e potente. La rivista cattolica Prospettive nel mondo aveva pubblicato da poco i dati di una ricerca tra 643 adolescenti in cui risultava essere il personaggio reale più amato dai bambini italiani, più di Gesù. Motivazione: «è ricco sfondato e presidente della Fininvest». Il 15 dicembre 1990, quando si era sposato a palazzo Marino con Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario, il settimanale Tv Sorrisi e Canzoni, da lui edito, aveva sfornato un titolo da matrimonio reale, Una favola italiana, come poi sarà il rotocalco elettorale distribuito nelle case di tutti gli italiani nel 2001.
Seconda scelta
Nel 1994 Berlusconi fondò il centrodestra, perché gli altri posti erano occupati, ma all’inizio, trent’anni fa di questi tempi, puntava a ereditare i voti del vecchio pentapartito. Quando il 22 giugno 1993 la Guardia di Finanza arrivò nella villa di Arcore ad accoglierla c’era il padrone di casa, sorriso ostentato, di ottimo umore. Ad attirare l’attenzione dei finanzieri alcuni fogli sul tavolo, pieni di numeri e di grafici. «È un’indagine sulle indicazioni elettorali degli italiani», spiegò Berlusconi. I primi sondaggi di gradimento e di posizionamento elettorale sul soggetto politico che stava per nascere in quelle settimane drammatiche: le bombe della mafia, i suicidi di Cagliari e Gardini, il dissolversi dei partiti della Prima Repubblica.
Il centrodestra non è la prima scelta di Berlusconi. Nel 1993 nasce come effetto immediato di una serie di combinazioni e di opportunità, nel 1994 c’è la famosa doppia alleanza elettorale al nord e al sud con la Lega di Umberto Bossi e con il Msi di Fini, sulla strada per diventare Alleanza nazionale, il governo però frana subito. Il centrodestra impiega anni per diventare un soggetto politico, si ricostruirà solo in vista delle elezioni del 2001 sotto il comando di Berlusconi, che Bossi e Fini a turno provano a eliminare, senza riuscirci.
La destra italiana è generata da un imprenditore allergico alle regole, alle istituzioni, al pubblico. Un uomo che sogna in Italia un partito reaganiano e thatcheriano, con la bandiera dell’arricchimento senza vincoli, un far west senza frontiere, qualcosa che nella Prima Repubblica non si è mai visto. Il conflitto di interessi non è soltanto la difesa delle sue aziende, ma una visione della politica: lo stato deve essere al servizio degli interessi privati, tutto ciò che è pubblico o stato è di sinistra, comunista o quasi, certamente fa parte della vecchia politica. Prima che l’iniziatore del centrodestra, Berlusconi è il primo campione del populismo e dell’anti-politica. Una storia che avrà un peso ora che bisogna costruire il dopo.
L’eterno presente
Giorgia Meloni e Matteo Salvini, a differenza dei loro leader Fini e Bossi, non hanno mai avuto con Berlusconi un rapporto competitivo. Sono cresciuti nell’Italia plasmata dalle tv berlusconiane. Salvini esordì in tv nel 1993 come concorrente nel programma Fininvest Il pranzo è servito, al pari di Matteo Renzi un anno con Mike Bongiorno alla Ruota della Fortuna. Meloni si è formata sui cartoni animati delle tv berlusconiane degli anni Ottanta. Sono attrezzati per superare il berlusconismo per motivi generazionali, ma non per ereditarlo. Senza quel collante sono destinati a entrare in lotta di collisione, perché il trono di Berlusconi non è trasferibile.
Non interessava al Cavaliere il futuro, ma l’eterno presente del suo successo e del suo potere. Non si è mai presentato come il fondatore di un nuovo stato, come il generale De Gaulle, non è mai esistita una riforma che portasse il suo nome. Il suo era un presidenzialismo instaurato di fatto, bastava lui a creare istituzioni ad personam, senza difficoltose bicamerali, commissioni, referendum, patti del Nazareno che potevano vederlo solo sconfitto.
Così non si è mai preoccupato di fare una fisionomia al centrodestra, fino a che poteva vantare di essere lui il tutto e gli altri soltanto flebili variazioni sul tema. Come disse una sera di novembre del 2008, su un barcone in mezzo al Tevere, il Tiber II, abbracciato a un enorme salvadanaio di coccio: «Contiene 712 euro per 712 firme». «Forza Italia è il primo partito, senza di noi non si può fare nulla». Per spiegare meglio il concetto, fece girare il polso intorno a sé: «Io sono l’unico “incontournable” mentre gli altri sono tutti “insortibles”». Neologismo francese per dire che lui non si poteva aggirare. Senza Forza Italia non si poteva fare nulla. Forza Italia, quel grido da stadio che non ammetteva dissensi. E nulla si poteva fare senza di lui. Il giorno dopo salì su un predellino a Milano e fondò il Pdl, il Popolo della Libertà, senza concordarlo con nessuno.
La gara aperta
È stato il sorpasso di Salvini nel 2018 e soprattutto quella di Meloni nel 2022 che le ha consegnato palazzo Chigi a costringere l’ormai piccolo partito di Arcore a darsi una identità europeista, moderata, liberale e cattolica, addirittura draghiana: avesse potuto scegliere, forse Berlusconi avrebbe sognato come successore l’altro da sé, il più diverso da lui, l’impersonale e invisibile Mario Draghi. Ma ora che Berlusconi non c’è più, è prevedibile che fioriranno fitte schiere di rifondatori berlusconiani, come è accaduto per la Dc dopo la fine del partito. Ma non si poteva rifare la Dc con il 2 o il 3 per cento dei voti, il grande centro è sempre rimasto minuscolo. Così sarà per il berlusconismo, impossibile recintarlo in un piccolo partito.
La gara è aperta tra i due capi della destra, con Renzi a fare da terzo incomodo. Meloni ha l’occasione in mano perché si trova alla guida del governo, con il brand più simile all’originale, Fratelli d’Italia si canta allo stadio quando gioca la Nazionale, ha lo spazio per provare a fare quello che Berlusconi non ha mai voluto fare, istituzionalizzare la destra italiana con una riforma presidenziale. Ma a sbarrarle la strada ci sarà Salvini che non ha altro ruolo ora, all’interno del centrodestra, se non rappresentare quel pezzo di Paese allergico alle regole, anti-Stato che si è riconosciuto per anni in Berlusconi. Il centrodestra italiano può nascere solo senza Berlusconi. Ma anche infrangersi, senza di lui.
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