Ipotesi di convergenza sulla commissione parlamentare, ma per ora il centrodestra è fermo sul no al dialogo. Schifani moderato: «Durante un’emergenza non si nega mai il confronto»
- Il centrodestra ha bocciato la proposta di una cabina di regia. Conte potrebbe però avere uno spiraglio per coinvolgere le opposizioni: proporre una commissione bicamerale. Il centrodestra potrebbe accettare, ma solo ottenendo in cambio di poter discutere anche di Recovery Fund, Mes e riforme elettorali.
- Se il no alla cabina di regia era quasi scontato da parte di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, la presa di posizione così dura sottoscritta anche da Silvio Berlusconi ha destabilizzato Forza Italia. Pur dall’opposizione, FI ha sempre rivendicato il ruolo di partito responsabile.
- È stata scelta un’intransigenza che ricalca i toni della Lega più che quelli di Fi e che ha creato una frattura profonda: qualcuno è stato coinvolto nella decisione e l’ha condivisa, altri sono stati tenuti ai margini e l’hanno subita.
Il centrodestra ha bocciato la proposta di una cabina di regia con il governo con una fermezza che ha provocato parecchio fastidio dentro una parte di Forza Italia. Tuttavia uno spiraglio per portare al tavolo le opposizioni, per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte rimarrebbe: proporre una vera commissione bicamerale. Nell’anonimato delle telefonate tra colleghi di coalizione, sia la Lega che Fratelli d’Italia che Forza Italia sarebbero disposti ad accettarla. Con un condizionale pesante, però, che la rende difficilmente digeribile per il governo: che finita l’emergenza si discuta insieme anche di Recovery fund, Mes e delle riforme elettorali, e poi si torni al voto.
La commissione bicamerale avrebbe un doppio vantaggio. Il primo riguarda lo strumento in sé: una bicamerale si costituisce in parlamento, i membri non sono (solo) frutto di telefonate interne ai partiti, ma soprattutto sarebbe un organo con poteri d’iniziativa che opera con mandato preciso. Il secondo vantaggio è tutto politico, perché equivarrebbe a un’ammissione di colpa del premier, costretto a capitolare davanti alla principale critica di metodo che gli è stata sempre mossa: il fatto di aver tenuto ogni decisione fuori dal parlamento.
Un’idea non nuova
Proprio l’idea di una commissione bicamerale non è nuova ed era stata già avanzata da Forza Italia: «Ce n’è traccia in tutti i nostri documenti presentati a palazzo Chigi. Una commissione bicamerale dentro il parlamento ed è una soluzione terrestre, contro la soluzione esterna e marziana della cabina di regia», ha detto il deputato Giorgio Mulè.
Oltre all’evanescenza della struttura, a non piacere è stata anche la modalità con cui Conte ha proposto la cabina di regia. Il premier ha telefonato ai tre leader all’ultimo minuto e senza fornire alcun dato tecnico sull’epidemia, dicendo che lunedì avrebbe sottoscritto un nuovo Dpcm. Secondo le opposizioni, una trappola da far scattare poco prima del lockdown per sedarle, inchiodandole a scelte in cui non sono state coinvolte.
La proposta avrebbe trovato accoglienza diversa in un solo caso, si ragiona in Forza Italia: se Conte si fosse rivolto a Sergio Mattarella e fosse stato poi il capo dello Stato a chiamare i leader dell’opposizione, agendo da garante di un processo condiviso. Ma così non è stato. Per questo, ora l’obiettivo è di portare in parlamento il caos del governo e di stanare Conte anche su un altro punto: l’uso smodato del Dpcm, quando lo strumento corretto per le misure emergenziali sarebbe il decreto legge, a riprova della volontà del premier di scavalcare Camera e Senato.
La rottura in Forza Italia
Se il no alla cabina di regia era quasi scontato da parte di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, la presa di posizione così dura sottoscritta anche da Silvio Berlusconi ha destabilizzato Forza Italia. Pur dall’opposizione, FI ha sempre rivendicato il ruolo di partito responsabile, il più istituzionale del tridente di centrodestra e anche quello più disposto al dialogo. Per questo il no ha rotto un equilibrio interno già precario.
Da una parte c’è il fronte oggi più vicino a Berlusconi, che ha condiviso il comunicato congiunto del centrodestra e ha bollato la cabina di regia come un «organo pletorico da Prima repubblica, di quelli che si usavano quando non si voleva risolvere nulla».
Del resto, il protagonismo di Conte «etichetta le responsabilità in maniera indiscutibile. Responsabilità che ora non possono essere scaricate su chi non ha partecipato in alcun modo al processo decisionale», ha detto Mulè. Tra i sostenitori del no al dialogo non spaventa nemmeno il fatto che le misure del Dpcm rischino di impattare soprattutto sui governatori delle regioni, a maggioranza di centrodestra, che dovranno metterle in pratica soprattutto in caso di lockdown localizzati: «Non è questione di numero di regioni amministrate, ma di densità di casi»: le regioni più colpite dal virus - escludendo il caso estremo della Lombardia - sono Lazio, Campania e Puglia. Tutte amministrate dal centrosinistra, dove il governo dovrà probabilmente prevedere strette più dure per arginare la pandemia.
Decisione subita
All’opposto, invece, esiste un nucleo – soprattutto in Senato – di parlamentari di lungo corso che hanno accolto con disappunto il rifiuto del dialogo con il governo. L’ex presidente del Senato, Renato Schifani, dice: «Ho appreso la notizia dalle agenzie e sono stupito dalla chiusura. Non me lo aspettavo, visto che per molto tempo abbiamo invocato coinvolgimento delle opposizioni. Conte ha le sue responsabilità ma in momenti delicati il confronto non si nega mai e, pur nella differenza dei ruoli, Fi avrebbe dovuto accettarlo, tenendo ferme le posizioni sostenute dal presidente Berlusconi».
Dalla Camera, Renata Polverini ha espresso le stesse perplessità: «Il centrodestra ha il diritto e il dovere di sedere al tavolo, non sprechiamo un’occasione che abbiamo cercato e in qualche modo imposto, sottraendoci al ruolo che la Costituzione ci assegna», seguita da Osvaldo Napoli: «Come opposizione non possiamo far cadere nessuna occasione vera di confronto».
Invece è stata scelta un’intransigenza che ricalca i toni della Lega più che quelli di Fi e che ha creato una frattura profonda: qualcuno è stato coinvolto nella decisione e l’ha condivisa, altri sono stati tenuti ai margini e l’hanno subita. E proprio questo sta sfarinando il gruppo.
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