- Per quanto Matteo Salvini abbia più volte mischiato religione cattolica e politica, invocando benedizioni di santi, giurando sul vangelo o esibendo rosari, al punto da sollevare critiche e riserva fra i credenti e anche nei vertici della chiesa, la nuova campagna segna un ulteriore passo avanti nella commistione dei due piani.
- Tutta la campagna del leader leghista si basa sulla parola #Credo e non si “limita” a utilizzare la religione a supporto di posizioni politiche, ma di fatto equipara l’adesione a un programma e il voto ad un atto di fede
- Poi espone gli avversari come non credenti, rafforzandone la demonizzazione e messa al bando, rinsaldando lo spirito del social-branco e promuovendo una accettazione acritica e fideistica.
Nei giorni scorsi la Lega ha lanciato la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 settembre, articolata in diverse fasi, e l’intreccio fra comunicazione offline e online.
Il primo atto è stato l’affissione sui muri di alcune città italiane di manifesti blu, gialli e bianchi, con la parola «Credo», scelta quale slogan ufficiale, senza nome e logo del partito. Una classica campagna teaser, poco comune in politica ma nota in pubblicità, dove viene utilizzata per aumentare l’attenzione e creare curiosità intorno a un nome o a un prodotto, rivelato solo in seguito.
Il secondo atto è stata la contemporanea proiezione il 13 agosto del manifesto in quattro luoghi simbolici per la Lega: l’Agenzia delle entrate e la sede Inps a Roma, il porto di Lampedusa e la stazione centrale di Milano, chiari riferimenti alla questione delle tasse, sicurezza e dell’immigrazione, punti centrali della proposta politica del partito.
L’accensione dei quattro manifesti è stata trasmessa in diretta sui canali social della Lega, accompagnata dalla lettura da parte dell’attore Pino Insegno di parte della lettera/manifesto di Matteo Salvini, composta da 741 parole dove «credo» ricorre ben 22 volte. Quindi è iniziata l’affissione istituzionale della campagna, con Matteo Salvini a fianco dello slogan e di una serie di manifesti tematici dedicati a differenti punti del programma, accompagnati e incentrati sulla parola «Credo».
Il partito come atto di fede
Una campagna dunque giocata sull’esplicito richiamo alla dimensione religiosa, retoricamente negato nell’incipit dove si parla di un «atto di fede laica», tramite la continua ripetizione anaforica del termine «Credo» - più volte scritto tutto in maiuscolo «CREDO» a separare parti del discorso - e l’uso della prima persona singolare, in perfetta analogia alla preghiera summa della fede cristiana, con la quale i credenti confermano i principi e i capisaldi della loro fede.
Per quanto Salvini abbia più volte mischiato religione cattolica e politica, invocando benedizioni di santi, giurando sul vangelo o esibendo rosari, al punto da sollevare critiche e riserva fra i credenti e anche nei vertici della chiesa, la nuova campagna segna un ulteriore passo avanti nella commistione dei due piani nel momento in cui non si “limita” a utilizzare la religione a supporto di posizioni politiche ma di fatto equipara l’adesione a un programma e il voto a un atto di fede. La quale, come noto, non si discute e non può essere confutata.
«CREDO» colloca la politica all’interno di una dimensione religiosa sottraendola da una valutazione razionale e dal giudizio nel merito. Una ambiguità chiaramente voluta, a proposito della quale su Avvenire Giuseppe Lorizio, ordinario di teologia all’università Pontificia, ha specificato «che non si può in alcun modo intendere un credo politico in senso religioso o cristiano», invitando a «distinguere i diversi significati e le diverse condizioni che questo verbo propone a tutti noi».
Gli infedeli
In contemporanea al lancio della campagna, nei canali social della Lega, dove si parla ai propri sostenitori e sono leciti registri linguistici più diretti e aggressivi, è stata pubblicata una serie di webcard con l’immagine di alcuni personaggi pubblici accompagnati dalla “denuncia” della loro infedeltà. Roberto Saviano o Beppe Sala – «Lui non crede alla difesa dei confini», Monica Cirinnà - «Lei non crede nella famiglia», Luciana Lamorgese – «Lei non crede nella sicurezza», Roberto Speranza – «Lui non crede nella libertà». E in fondo lo slogan della campagna: «Io ci #Credo».
Messaggi accusatori, demonizzanti, volgari nella loro brutalità argomentativa, che innescano inferenze, semplificazioni, impliciti interpretativi grazie al meccanismo retorico del testimonial, volto però in chiave negativa: personaggi pubblici di cui è nota e condivisa un’opinione negativa. Saviano, Sala, Speranza e gli altri non sono l’oggetto di una comunicazione informativa, quale potrebbe essere una webcard che dice «Letta è a favore della patrimoniale», né di un attacco su posizioni politiche, quale «Meloni è un pericolo per la Costituzione». Obiettivo di questi post non è parlare dei soggetti presentati e nemmeno colpirli o denigrarli ulteriormente.
Il centrodestra punta anche su giustizia e ambiente
Queste figure, incarnazione del “male”, rappresentano lo strumento retorico per sostenere affermazioni totalmente arbitrarie, quando non palesemente false, senza avere la necessità di documentare o comprovare quanto sostenuto. Secondo il meccanismo aristotelico dell’entimema, cioè un sillogismo apparente che muove da premesse non certe e quindi persuasivamente più efficace, volto in questo caso al negativo: loro sono personaggi riprovevoli, loro non credono a una cosa, quindi ne deriva che questa cosa è positiva e, dunque, io #ci credo.
Da un lato ci si basa sulla condivisione di un giudizio negativo nei confronti di un avversario, dall’altro se ne rafforza la demonizzazione e messa al bando, rinsaldando lo spirito del social-branco e promuovendo una accettazione acritica e fideistica. Una campagna che, oltre a non rispondere al principio di una ecologia della comunicazione politica basata su argomentazioni corrette e verificabili, contravviene anche ai comandamenti evangelici di carità verso gli altri e di non dire falsa testimonianza.
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