Il leader della Lega deve decidere dove andare, tra chi gli consiglia la strada della moderazione e del centrismo e le pulsioni radicale: ma queste incertezze sono la spia di un problema più profondo
- Da giorni i consiglieri di Salvini suggeriscono al leader della Lega di spostarsi al centro e presentarsi come leader moderato
- Ma le vecchie pulsioni radicali sono dure a morire e alcuni fedelissimi gli chiedono di non cambiare rotta
- Confuso dalle sconfitte, Salvini sembra incerto su quale percorso seguire e rischia di restare intrappolato a metà del guado
Il leader della Lega Matteo Salvini deve decidere da che parte stare. Da un lato, una parte del suo partito gli chiede di assumere pose più istituzionali, di mostrarsi moderato e centrista. Dall’altro il suo carattere sanguigno e i fedelissimi di cui si è circondato lo spingono affinché torni in cima alle barricate. Sono incertezze di posizionamento che sembravano impensabili appena un anno fa, quando Salvini era al culmine del suo successo e che oggi potrebbero essere la spia di un problema più profondo.
Pompiere o incendiario
Il contrasto tra queste due anime della Lega e dello stesso Salvini è emerso con particolare evidenza proprio negli ultimi giorni. Ieri, il Corriere della Sera ha pubblicato un’intervista al suo nuovo consigliere, il 77enne Marcello Pera, filosofo, ex presidente del Senato e storico intellettuale di Forza Italia. Pera sostiene che Salvini dovrebbe creare un «partito liberale di massa» che divenga l’interlocutore politico della Confindustria e che punti a tagliare «assistenza, sussidi e bonus». In Europa, continua Pera, «La Lega non può stare con la Le Pen», ma deve avvicinarsi al Partito popolare europeo di Angela Merkel. Un altro consigliere di Salvini, il responsabile esteri della Lega Giancarlo Giorgetti, da giorni sostiene le stesse cose.
Accanto a queste spinte moderate, nell’orizzonte di Salvini rimangono le pulsioni di pancia, come quelle che nel recente passato lo hanno spinto a cavalcare il sentimento di stanchezza e di rifiuto che molti italiani provano per le misure di contenimento dell’epidemia. Proprio ieri, mentre il Corriere pubblicava la sobria intervista al filosofo Pera, Salvini ha incontrato l’attore Enrico Montesano che stava manifestando senza mascherina davanti al palazzo della Camera.
Questa simbolica scelta tra Pera e Montesano non si poteva nemmeno immaginare un anno e mezzo fa, quando Salvini era ministro dell’Interno e reduce dal trionfo delle elezioni europee che avevano portato la Lega al 34 per cento. Salvini in quei giorni sembrava infallibile e ogni sua scelta politica appariva la migliore possibile. Oggi la Lega è scesa di dieci punti nei sondaggi e alle regionali di Puglia e Campania ha visto evaporare gran parte del consenso che era riuscita ad accumulare al Sud.
Sconfitte e incertezza
Salvini è lontano dall’essere un leader sconfitto o messo in dubbio e la sua Lega continua a valere il triplo del massimo raggiunto ai tempi del suo predecessore Umberto Bossi. Ma in una situazione di crisi, tutti si sentono in diritto di consigliarlo sul corso migliore da seguire. Accanto a Pera e Giorgetti che gli suggeriscono di spostarsi al centro, altri, come il presidente del gruppo al Parlamento europeo Marco Zanni e il deputato anti euro Claudio Borghi, gli chiedono di tenere la barra dritta sul radicalismo.
In passato, Salvini ha sempre dimostrato di sapere essere flessibile nel suo posizionamento comunicativo. Nello spazio di poche settimane poteva dire di essere ispirato dalla figura del segretario del Pci Enrico Berlinguer per poi celebrare dal tetto del ministero dell’Interno i monumenti fascisti di Roma e dintorni. Ma questa sua apparente incoerenza ideologica serviva principalmente a presentare la sua Lega come un fenomeno nuovo e innovativo, in rottura con un passato che gli elettori avevano rigettato.
Nel frattempo, il cuore della proposta politica leghista rimaneva lo stesso che il partito presenta da oltre vent’anni: sconti fiscali per categorie di reddito medio-alte, flessibilità nella lotta all’evasione e contrasto all’immigrazione. Sotto Salvini, la Lega è rimasta quello che è sempre stata: un partito il cui zoccolo duro è costituito da autonomi, professionisti e imprenditori.
Quello che sta accadendo oggi sembra qualcosa di diverso rispetto agli abili giochi di prestigio retorico con cui Salvini ha ipnotizzato i media nel recente passato. Scegliersi un nuovo consigliere proveniente dalla vecchia Forza Italia, riciclare il vecchio slogan berlusconiano della “rivoluzione liberale”, lasciar filtrare l’idea che avvicinarsi al partito di Angela Merkel sia un orizzonte possibile nel futuro della Lega, non danno nessuna idea di freschezza e novità.
Puzzano già di stantio e Salvini, abbracciandoli nella maniera incerta di questi giorni, sembra rendersene conto. Ma come un pugile suonato l’unica cosa di cui sembra capace in questo momento è lanciare pugni alla cieca in ogni direzione.
Forse c’è quindi una terza possibile strada metaforica che Salvini può imboccare, oltre a quelle incarnate dai Pera e dai Montesano. È quella rappresentata da un altro politico che come lui ha toccato i cieli del trionfo elettorale alle elezioni europee per poi entrare in una spirale di incertezze, tatticismi, errori e sconfitte.
È la strada di Matteo Renzi. Tra tutte quelle che può seguire Salvini, quest’ultima è probabilmente quella che più di tutte gli converrebbe evitare.
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