- «Ma lo sapevano tutti, di che cosa si sorprendono, adesso? Basta guardarle, le ragazze della nazionale ginnastica ritmica», mi racconta una ragazza che fino a qualche anno fa faceva parte di quel giro.
- Ovviamente, non tutte le ragazze che fanno ginnastica ritmica poi si ammalano di anoressia.
- Ma basta aprire gli occhi e guardare i corpi di quelle ragazze che fanno ginnastica ritmica per rendersi conto che c’è qualcosa che non va.
FOTOPesaro, foto dalla World Cup 2022 di Ginnastica Ritmica (Agf)
«Ma lo sapevano tutti! Di che cosa si sorprendono, adesso? Basta guardarle quelle ragazze, basta osservare i loro corpi mentre si esibiscono nelle competizioni di ginnastica ritmica. Guarda queste foto!»
La giovane donna che ho di fronte, che ora ha ventiquattro anni e che chiameremo Chiara, sfoglia le foto dei campionati nazionali di ginnastica ritmica di qualche anno fa. C’è anche lei che volteggia sulla pedana roteando un nastro arancione, ed è poco più di uno scheletro.
«Vedi? Sono tutte ragazze tra i sedici e i diciotto anni, come ero io allora, dai corpi magri e ossuti, con le clavicole che sporgono. Certo, fin dal principio selezionano le ragazze più flessibili e longilinee, ma se vuoi arrivare a un certo livello ti chiedono di essere magra, ma a queste magrezze secondo te come ci arrivi? Te lo dico io: mangi e fai allenamento ore e ore al giorno per restare nel peso, oppure non mangi».
Quando l’ho conosciuta, Chiara era ricoverata in una clinica per la cura dei disturbi alimentari del nord Italia. Alta un metro e 65, pesava poco più di trenta chili. Soffriva di anoressia. Ne abbiamo incontrate tante altre di ragazze come lei, e abbiamo raccontato le loro storie in una docuserie intitolata Fame d’amore” che – condotta da Francesca Fialdini e giunta alla sua quarta stagione – tornerà in onda su Rai 3 da lunedì 7 novembre.
Ora Chiara sta molto meglio, è guarita, e ha trasformato la sua ossessione in lavoro: fa la nutrizionista. «Quelle ginnaste che stanno parlando adesso le conosco tutte. Vuoi che ti racconti come ci sono finita dentro la mia malattia? Io ero bravina, difatti era finita nel giro della nazionale. Un bel giorno la mia allenatrice - gareggiavo per una società sportiva vicino a Milano - viene da me e mi fa: “Ecco la bilancia: se vuoi primeggiare in questo sport devi mantenere questo peso”, che per me allora era 40 chili. Avevo sedici anni. Da quel giorno nella mia testa è scattato il pensiero fisso: “Oddio, arriva la bilancia, arriva la pesata!” Dovevo essere quel peso spaccato al grammo, perché sennò avevo paura di deludere la mia allenatrice e me stessa. E io ero una di quelle fortunate perché mi pesavano solo una volta a settimana e la mia allenatrice non mi ha mai rivolto parole pesanti, ma sapevamo tutte, perché tra noi c’era il passaparola, che in certe palestre certe allenatrici pesavano le ragazze ogni giorno, molte volte le spogliavano nude, e se erano sovrappeso scattavano le offese: “Sei una balena! Dove vuoi arrivare con quelle gambe enormi! Hai il sedere come un baule!”».
«A una gara importante, io arrivai quarta per soli dieci centesimi di punto, e non riuscii ad entrare in nazionale, quell’anno. E quello per me è stato un trauma. Da quel momento, sono stata ossessionata dai numeri: il mio peso, i dieci centesimi del giudizio che mancavano per passare in nazionale. Pensavo in continuazione che se fossi stata più magra sarei stata più perfetta, e così a poco a poco mi sono isolata e ho smesso di mangiare».
Qualcosa non va
Già. Basta aprire gli occhi e guardare i corpi di quelle ragazze che fanno ginnastica ritmica per rendersi conto che c’è qualcosa che non va. Magrezze estreme, preoccupanti, che ti chiedi se possono mettere a repentaglio la loro salute.
«Molte ragazze non hanno il ciclo per anni, molte ragazze svenivano subito dopo avere terminato l’esercizio, perché erano denutrite», mi racconta Chiara. Per valutare se un essere umano ha un peso nella norma esiste un indice denominato Indice di Massa Corporea, o in inglese Body Mass Index, abbreviato Bmi.
È facile da calcolare: si ottiene dividendo il peso espresso in chilogrammi per il quadrato della altezza espressa in metri. Un individuo normopeso ha un Bmi di 17, sotto i 17 è sottopeso, sopra i 30 è obeso.
Ho preso le altezze e i pesi di varie ragazze nel giro della nazionale di ginnastica ritmica e ho calcolato i loro Bmi, che sono: 14,4, 15, 14, 15, eccetera. Sono tutte gravemente sottopeso.
Ovviamente, non sto dicendo che tutte le ragazze che fanno ginnastica ritmica e sono in sottopeso poi si ammalano di anoressia.
Sto solo dicendo che ci sono certi ambienti – come il mondo della ginnastica ritmica, quello della danza classica, o quello delle sfilate di moda – in cui a una giovane o un giovane viene richiesto di raggiungere una certa perfezione nel corpo – devi essere magro – e nella esecuzione di certi gesti – devi svolgere senza sbavature un esercizio o un balletto, che può essere pericolosa e indurre un disturbo del comportamento alimentare.
Per certuni questa richiesta di perfezione è tollerabile, per altri invece, che sono più sensibili o stanno attraversando un momento delicato della loro vita, può diventare insostenibile, e se falliscono può provocare un trauma che si trasforma prima in una ossessione e poi in una malattia.
Una ragazza a cui viene detto “sei grassa come una balena” può non patirne, ma un’altra invece può cadere in un vortice di pensieri turbati che ne altera profondamente il comportamento. Come afferma la famosa psicanalista Hilde Bruch, esperta di disturbi alimentari: «Per qualcuno un trauma è un capello che cade, per qualcun altro è un bosco che cade».
Predisposizioni e traumi
L’anoressia è un disturbo psichiatrico tipico della nostra era. Chi ne soffre ha il terrore di ingrassare e fa di tutto per perdere peso: smette di mangiare, dedica ore e ore all’esercizio fisico, oppure vomita. Nove persone su dieci sono di sesso femminile.
Chi si ammala spesso ha una predisposizione genetica – in qualche caso ha una madre malata anch’essa di anoressia o un familiare che soffre di disturbi alimentari o di depressione. Ma chi si ammala ha sempre subito un trauma che ha colpito la sua psiche nel profondo, spesso proveniente dalla società e filtrato dall’ambiente famigliare.
La ragazza o il ragazzo si convince che solo se sarà perfetto, bravo a scuola, col corpo ideale, sarà degno di essere considerato ed amato, e svilupperà un controllo ossessivo del peso e del cibo che ingurgita.
In certi casi, chi soffre di anoressia dopo mesi o anni di digiuni può improvvisamente cominciare ad abbuffarsi di cibo perché non ce la fa più a sopportare la fame, ma dopo ogni abbuffata corre in bagno a vomitare o si dà disperato all’esercizio fisico, in preda ai sensi di colpa e ansioso di controllare il proprio peso: questa è la bulimia.
I Disturbi del comportamento alimentare (Dca) – anoressia e bulimia soprattutto – sono sempre più diffusi: in Italia, almeno tre milioni di persone ne sono affette, quasi tutti giovani.
E sono la patologia psichiatrica più letale: almeno tremila giovani muoiono ogni anno per le conseguenze della malattia (denutrizione, squilibri elettrolitici, disturbi del ritmo cardiaco), oppure perché, sempre più spesso, ricorrono al suicidio – una strage silente e dimenticata. I Dca rappresentano la più frequente causa di morte tra i giovani dopo gli incidenti stradali.
Con la pandemia di Covid, poi, i Dca stanno persino aumentando perché i nostri figli hanno patito le ansie della solitudine che ha moltiplicato i loro pensieri ossessivi.
Perché sono così diffusi? Nella nostra società, ognuno di noi fin da bambino viene abituato, o meglio addestrato, ad eseguire compiti che devono obbedire a una precisa norma o raggiungere determinati standard. Quella di oggi la potremmo definire la società della performance.
Un bambino deve essere ubbidiente a casa, deve essere bravo a scuola, deve entrare nella migliore università, deve essere il primo nello sport, deve eccellere a danza, deve essere magro, deve mangiare cibi sani, poi deve procurarsi un lavoro di prestigio. La società impone norme, che vengono trasmesse alla famiglia, e da qui ai figli.
Talvolta, qualcuno dei nostri figli non ce la fa, si ribella, e si chiede “Perché lo devo fare? Perché devo essere così?”, e chi non ce la fa più prova disagio, soffre, e talvolta cade. Noi vorremmo dire ai giovani che se soffrono devono chiedere aiuto, e ai genitori che devono ascoltare i loro figli: hanno solo fame d’amore.
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