Alla Camera il ministro ha ammesso il taglio dei 3 miliardi e mezzo destinati al Mezzogiorno. Ma nega le responsabilità attaccando il Pd e tirando in ballo il presidente della regione Campania
Tagli per miliardi di euro alle infrastrutture con un divario tra territori che emerge anche su indicatori tragici: al sud, oggi, muoiono in percentuale più persone malate di cancro rispetto al nord. L’antica “questione meridionale”, insomma, si aggrava sempre di più. E il governo Meloni non interviene. Anzi va nella direzione opposta.
Matteo Salvini, alla Camera, ha dovuto ammettere, seppure con un giro di parole, il taglio in legge di Bilancio di 3,5 miliardi di euro del fondo perequativo infrastrutturale, come aveva annotato di recente l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb).
«La riduzione del fondo in termini contabili e non sostanziali è stata operata perché l’iter di assegnazione non era definito», ha detto il ministro delle Infrastrutture rispondendo a un’interrogazione del Pd. Quindi, ha aggiunto, «nel merito le risorse del fondo sono salvaguardate dall’insieme dei provvedimenti normativi che il governo sta portando avanti».
Tradotto dal politichese: gli investimenti sono stati spezzettati in mille rivoli. E non è dato sapere dove siano finiti quei soldi, cioè quali progetti finanzieranno davvero. Perché il ministro non ha fornito il dettaglio. Insomma, il fondo è stato definanziato e agli atti non c’è alcuna intenzione di ripristinarlo. Nonostante, come aveva già spiegato l’ex ministra del Sud, Mara Carfagna, i piani su cui muoversi fossero già definiti.
Meloni in treno
Salvini alla fine ha preferito buttarla sullo scontro con le opposizioni, facendo un po’ di fumo: «Per i disservizi in Campania rivolgetevi a chi governa la Campania da tanti anni e non ha saputo spendere i soldi che a questa erano destinati».
Un corpo a corpo con il presidente della regione, Vincenzo De Luca, per interposta persona: in aula a Montecitorio, il figlio del governatore, Piero De Luca, ha illustrato il question time al ministro.
«Salvini si occupa sempre di tutto, di trattori, di agricoltura, di festival, di giustizia, ma mai che prenda in considerazione l’idea di occuparsi delle priorità del suo ministero», osserva il deputato del Pd, Marco Sarracino ricordando che «le risorse di quel fondo servivano soprattutto per le nostre strade, per le nostre ferrovie, per le nostre infrastrutture».
Il fondo perequativo era orientato a progetti a lungo termine per il prossimo decennio con stanziamenti su vari capitoli: dalle scuole alla sanità, oltre ovviamente alla rete stradale. Mentre la strategia del governo, che rivendica un record di finanziamenti per il sud (Salvini docet), è concentrata su spot propagandistici. E il pensiero vola al Ponte sullo Stretto, bandiera del ministro.
Una toppa ha provato a metterla, in giornata, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che in Abruzzo ha annunciato gli stanziamenti per il completamento della linea ferroviaria Roma-Pescara, uno dei progetti stralciati dai finanziamenti del Pnrr.
«Grazie ai ministri Fitto e Salvini, il governo ha individuato tutte le risorse che servono alla realizzazione dell’opera a valere sul Fondo di sviluppo e coesione, compresi gli ulteriori 100 milioni di euro che si sarebbero dovuti aggiudicare nel 2023», ha detto la premier. «Nei prossimi giorni», ha aggiunto Meloni, «il Cipess sarà convocato per tutti gli adempimenti concreti che servono a stanziare le risorse ed ad avviare i progetti». Una buona notizia, che ha comunque alimentato qualche retropensiero: l’annuncio arriva in vista della campagna elettorale per le regionali in Abruzzo. Anche perché la storia di questa tratta ferroviaria è quella di un’“opera-Godot”.
Due sanità
Al netto dei futuri cantieri che aprono, i divari tra le aree del paese restano. Le ricadute si manifestano a più livelli, in particolare sulla sanità.
«La quota di donne che ha avuto accesso a screening organizzati oscilla tra valori compresi tra il 63 e il 76 per cento in Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, provincia autonoma di Trento, Umbria e Liguria» e scende circa al «31 per cento in Abruzzo e Molise», riporta l’analisi dell’associazione Svimez sulla base dei dati dell’Istituto superiore della sanità (Iss).
Le quote più basse, nemmeno a dirlo, si registrano in Campania con il 20,4 per cento e in Calabria con appena l’11,8 per cento di attività di screening organizzato. Il deterioramento dell’offerta di sanità si riverbera sull’aspettativa di vita.
Al sud il tasso di mortalità per tumore è pari al 9,6 per 10mila abitanti per gli uomini rispetto a circa l’8 del nord. Per le donne è 8,2 per 10mila abitanti al sud con meno del 7 al nord. Un divario che si è creato nell’ultimo decennio: nel 2010 le statistiche non presentavano alcuna disparità.
Un quadro spietato che non risparmia nemmeno i neonati. «La condizione di povertà familiare incide fortemente sui percorsi di prevenzione e sull’accesso alle cure da parte dei bambini», osserva Raffaela Milano, responsabile dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.
Secondo gli ultimi dati disponibili, il tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) è di 1,8 decessi ogni 1.000 nati vivi in Toscana, ma era quasi doppio in Sicilia (3,3) e più che doppio in Calabria (3,9). «La sanità fornisce un anticipo di quel che significa l’autonomia ed è impressionante come la differenza tra classi sociali inizi ad avere un impatto su indicatori come l’aspettativa di vita», spiega a Domani Luca Bianchi, direttore della Svimez.
E ci sono varie spirali che si stanno innestando. «Più i pazienti si rivolgono a strutture al nord e meno risorse vengono trasferite al Mezzogiorno, determinando un peggioramento del servizio». I 3 miliardi e mezzo del fondo perequativo servivano, eccome.
© Riproduzione riservata