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Il governo non fornisce proposte chiare sulle modifiche al Pnrr, generando incertezza e richiedendo urgentemente un chiarimento in Parlamento.
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Preoccupanti segnali indicano una possibile riduzione delle risorse per la sanità territoriale nel Pnrr, compromettendo la prevenzione, l'accessibilità e l'uguaglianza dei servizi sanitari.
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La grave carenza di personale sanitario richiede un'azione immediata: le risorse finanziarie previste non coprono l'inflazione, mentre la spesa sanitaria pubblica diminuirà, mettendo a rischio la qualità delle cure e l'uguaglianza nell'accesso ai servizi. È necessario aumentare la spesa sanitaria almeno al 7% del PIL e avviare un piano di assunzioni straordinario.
Da settimane stiamo chiedendo al governo di venire in parlamento e chiarire con proposte chiare e puntuali cosa intendono cambiare del Pnrr e perché. Invece abbiamo ascoltato discorsi generici e fumosi con anticipazioni che qua e là escono dalla bocca di qualche ministro o sottosegretario.
Particolarmente preoccupanti sono le notizie che riguardano la Missione 6 che destina circa 20 miliardi di Euro alla Sanità, con due finalità principali: realizzare la riforma della medicina territoriale, irrobustendo la rete dei servizi di prossimità; investire su innovazione, ricerca e digitalizzazione del Sistema Sanitario Nazionale. Oggi il governo, senza mai dirlo esplicitamente, sta in realtà cercando di “smontare” questo impianto in particolare la componente che riguarda la medicina del territorio.
Case della Comunità, Ospedali di Comunità, Centrali Operative territoriali nel disegno originario del Pnrr rispondono ad una delle lezioni fondamentali che il Covid19 ci ha consegnato: per tutelare la salute collettiva non bastano gli ospedali, non sono sufficienti l’eccellenza e le alte specialità, se non siamo in grado di fare prevenzione, di occuparci dell’invecchiamento e delle cronicità, di accompagnare e indirizzare le persone ai servizi più idonei a rispondere ai loro bisogni, contrastando le diseguaglianze e le differenze enormi tra aree territoriali, non solo tra nord e sud ma anche tra centri urbani e aree interne.
Questo impianto, pur essendo le risorse del Pnrr destinate principalmente ad investimenti, consente peraltro di usare in modo più efficiente e razionale l’insieme delle risorse – sempre limitate – disponibili. Nel Pnrr si legge un’analisi assai chiara in cui si dimostra che l’attuazione delle misure per la medicina del territorio avrebbe un’influenza positiva sulla dinamica della spesa corrente perché porterebbe alla riduzione di ospedalizzazioni a forte rischio di inappropriatezza per patologie croniche, diminuirebbe il ricorso improprio ai Pronto Soccorsi, ridurrebbe la spesa farmaceutica per le classi di farmaci ad alto consumo e rischio di inappropriatezza.
Non possiamo dunque che essere fortemente allarmati nel leggere che il governo – senza discutere né con il parlamento né con le regioni e gli enti locali interessati – starebbe in realtà pensando di tagliare una parte significativa di Case della Comunità. Quali? Dove? Perché? Temiamo molto che questa mossa finisca per penalizzare i territori più sguarniti di servizi minando uno dei pilastri del Pnrr che era (e per noi deve restare) la riduzione delle diseguaglianze tra i cittadini e i territori.
Sentiamo dire da esponenti di maggioranza che la riforma immaginata dal precedente Governo per la medicina del territorio non può essere realizzata per mancanza di personale. Ma siamo sicuri che non sia possibile aprire una riflessione con i medici di medicina generale che rappresentano una delle risorse che abbiamo sul territorio? Siamo sicuri che si debba solo prendere atto delle loro perplessità e non toccare proprio nulla dell’attuale sistema?
In ogni caso il nodo della carenza di personale – nel territorio così come negli ospedali e nelle strutture sanitarie – è un’emergenza assoluta! E qui veniamo al tema delle risorse. Il ministro Schillaci ha dichiarato recentemente che è finita l’epoca del definanziamento della Sanità. Saremmo lieti di plaudire a questa affermazione se corrispondesse alla verità.
Purtroppo le cifre sono chiare: l’aumento in termini assoluti previsto è solo nominale, non coprendo neppure l’inflazione, e il trend disegnato dal Def porta la spesa per la Sanità pubblica al 6,2 per cento del Pil nel 2026. Anche qui dovrebbe servire a qualcosa la lezione della pandemia che infatti indusse gli ultimi governi della precedente legislatura a compiere scelte in discontinuità con il passato portando la spesa per la Sanità al 7,2 per cento del Pil nel 2021 e al 6,9 del 2022.
Su questo il Governo e la maggioranza non possono sfuggire il confronto non solo con le opposizioni in Parlamento ma anche con le organizzazioni professionali, i sindacati, il mondo associativo, le regioni. Se un Paese come l’Italia non si pone l’obiettivo di raggiungere un livello di spesa per la Salute pari almeno al 7 per cento del Pil, e se non si darà il via ad un Piano straordinario di assunzioni del personale necessario, condanneremo le Regioni al default e la Sanità pubblica al collasso.
E i cittadini meno abbienti a restare senza cure. Ma noi, insieme a tutti coloro che vogliono scongiurare questo scenario, ci mobiliteremo per impedirlo.
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