- Non è chiaro il motivo per cui al personale scolastico non sia stato imposto l’obbligo vaccinale. L’obbligo di “green pass” per chi quotidianamente va al lavoro rappresenta un obbligo vaccinale surrettizio.
- Gli studenti non universitari sono stati esclusi dall’obbligo di “green pass”. Ci si chiede perché il governo abbia lasciato ai genitori la scelta, quindi la responsabilità, di far vaccinare i ragazzi over 12, se una delle priorità del nuovo decreto è la scuola in presenza.
- Permane il paradosso di coloro i quali lavorano nei locali dove è previsto l’obbligo di “green pass”, ma non saranno sottoposti ad alcuna verifica circa la propria condizione di salute.
Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, nella conferenza stampa di presentazione del decreto-legge del 23 luglio, aveva detto che nelle settimane successive il governo si sarebbe occupato degli ambiti della scuola, dei trasporti e del lavoro. Puntualmente, nella serata del 5 agosto è stato varato un nuovo decreto, i cui punti più rilevanti riguardano scuola e trasporti a lunga percorrenza.
Green pass per la scuola
Il nuovo decreto-legge prevede l’obbligo di certificato verde Covid-19 per tutto il personale della scuola e dell’università, nonché per gli studenti universitari.
La decisione solleva qualche domanda. L’obbligo di “green pass” per gli operatori scolastici è motivato dal fatto che non tutti - la percentuale dei vaccinati è di oltre l’85% in ambito nazionale (anche se in alcune regioni la percentuale è inferiore) - sono ancora stati immunizzati e si vuole garantire un’adeguata situazione di sicurezza nell'erogazione in presenza del servizio essenziale d'istruzione. Ma allora ci si chiede perché per tale categoria di lavoratori, analogamente a quelli in ambito sanitario, non sia stato sancito l’obbligo vaccinale, come condizione per svolgere una mansione “al pubblico”, la popolazione studentesca. La ratio della differenziazione non è chiara. Disporre l’obbligo di “green pass” per un lavoratore, cioè per una persona che quotidianamente deve accedere al luogo ove svolge la propria attività, non è come chiedere il pass per entrare saltuariamente in teatri o ristoranti: significa imporgli in via surrettizia un obbligo vaccinale. Il costo di un tampone ogni 48 ore, in alternativa alla vaccinazione, per quanto calmierato, è un onere gravoso. L’imposizione di certificazione Covid a chi lavora nella scuola, così come in qualunque altro settore, non è un nudge – una spinta gentile – che peraltro non prevede l’interferenza di fattori economici nel meccanismo incentivante. Dunque, perché non disporre un obbligo vaccinale in via diretta, cioè in modo lineare e trasparente, anziché distorcere il “green pass” - inizialmente finalizzato agli spostamenti e, poi, all’accesso in alcuni luoghi – fino a farlo divenire condizione per poter lavorare? Forse il “green pass” rappresenta il punto di compromesso politico fra le eterogenee forze di governo, non tutte favorevoli a un obbligo vero e proprio. Ci si domanda fino a che punto ciò possa pregiudicare l’adozione delle soluzioni migliori.
In alternativa, può ipotizzarsi che fosse troppo tardi per implementare quanto necessario all’imposizione dell’obbligo vaccinale al personale scolastico. L’attuazione della procedura per gli operatori sanitari, infatti, ha richiesto diversi mesi a causa di un iter complesso, stabilito normativamente, che prevede il concorso di vari enti, lo scambio di informazioni fra banche dati, un’interlocuzione tra aziende sanitarie regionali e lavoratori e, una volta compiuti gli accertamenti necessari, eventualmente l’invito a sottoporsi alla vaccinazione. Al momento, peraltro, sono pendenti presso i tribunali diverse centinaia di ricorsi degli operatori sanitari contro i provvedimenti di sospensione dal lavoro, conseguenti al mancato rispetto dell’obbligo vaccinale. Dunque, forse il governo ha scelto la soluzione più rapida - il “green pass” - dato che le scuole riapriranno tra poco più di un mese. Si rammenti, solo per inciso, che la normativa vigente prevede un indennizzo in caso di danni permanenti derivanti da vaccino obbligatorio, mentre per i vaccini raccomandati potrebbe servire un’apposita pronuncia della Corte Costituzionale, come spiegato in un articolo precedente.
Il mancato rispetto dell’obbligo di “green pass” è considerato assenza ingiustificata; dal quinto giorno di assenza, il rapporto di lavoro è sospeso e non sono dovuti retribuzione né altro compenso o emolumento. Il rischio di contenzioso è alto: la soluzione non appare del tutto lineare, come invece sarebbe stata in caso di obbligo vaccinale vero e proprio.
Nessun obbligo per gli studenti
L’obbligo di “green pass” imposto agli operatori scolastici serve ad assicurare la scuola in presenza, si è detto. Ci si sarebbe, quindi, aspettati che esso fosse previsto anche per gli studenti over 12, analogamente a quanto accade per le altre vaccinazioni obbligatorie per i minori. Com’è noto, queste ultime sono requisito essenziale per l’ammissione alle scuole dell’obbligo, salvo il pagamento di una sanzione da parte dei genitori (o da chi esercita la potestà). Ci si chiede perché il governo abbia lasciato a questi ultimi la scelta e, quindi, la responsabilità di far vaccinare i ragazzi, se la priorità è la scuola in presenza. Nei giorni scorsi, il commissario per l'emergenza, Francesco Figliuolo, ha detto che al momento per loro non serve sancire un obbligo, poiché entro settembre saranno stati vaccinati circa all’80%. Questa affermazione, tuttavia, contrasta con la ratio dell’obbligo per gli insegnanti, ad oggi già vaccinati oltre l’85%, come ricordato. La spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che forse gli studenti non avrebbero potuto essere tutti immunizzati entro l’inizio dell’anno scolastico, come l’imposizione di un obbligo avrebbe richiesto.
I controlli
Ci si sarebbe anche aspettati che, con l’obbligo di “green pass” per l’entrata in locali al chiuso a partire dal 6 agosto, entro tale data esso fosse imposto anche chi lavora a contatto con il pubblico in quei locali. Invece, permarrà il paradosso rilevato in articoli precedenti: coloro i quali verificheranno lo stato vaccinale, di guarigione o di negatività al virus degli avventori, non saranno invece sottoposti ad alcuna verifica. Infatti, non è consentito al datore di lavoro raccogliere informazioni in merito a tutti gli aspetti relativi alla vaccinazione dei propri dipendenti – come chiarito più volte dal Garante Privacy - in assenza di una legge che lo consenta. Il problema sarebbe stato risolvibile condizionando l’accesso in certi luoghi al possesso del “green pass” da parte di chiunque: avventori o lavoratori. Questione di coerenza, normativa e non solo. Ma, forse, implementare la misura anche per i lavoratori in locali particolarmente frequentati nel periodo estivo avrebbe potuto creare criticità per gli esercenti. Così si è preferito spostare in avanti la soluzione del problema, che comunque resta ed è più accentuato proprio in questo periodo.
Trasporti
È stato sancito l’obbligo di “green pass” sui trasporti a lunga percorrenza, ma da settembre. Forse prevedere un’operatività immediata avrebbe potuto creare problemi a chi in agosto si sposta per le vacanze. Ma se la certificazione Covid serve a garantire la salubrità dell’ambiente in cui si viaggia, ci si chiede per quale motivo il governo non sia intervenuto con anticipo, assicurando maggiori garanzie nel periodo dell’anno in cui ci si muove con più frequenza, usando tali trasporti. Si rammenta che il “green pass” è stato previsto per la prima volta da un decreto dell’aprile scorso.
Il pass non sarà imposto sui mezzi di trasporto locale (treni, autobus, metropolitane ecc.), ove sono maggiori i rischi di affollamento: sarebbe stato impossibile garantirne il controllo. Il governo ha chiesto alle regioni un piano di potenziamento dei mezzi pubblici, dato che i limiti di capienza e la necessità di distanziamento li rendono insufficienti, nonostante i fondi stanziati per il loro rafforzamento (circa i quali, peraltro, servirebbero rendicontazioni trasparenti). La legge di conversione del decreto Sostegni bis, come già disposto dal governo precedente, ha affidato al Prefetto il compito di organizzare, mediante un apposito tavolo di lavoro, il coordinamento tra gli orari delle attività didattiche e quelli dei servizi di trasporto pubblico locale. È, inoltre, previsto l’obbligo del “mobility manager” nelle aziende di maggiori dimensioni, per pianificare gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti. Basterà questo per garantire trasporti pubblici locali in sicurezza?
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