- «Ampio»: il coinvolgimento delle camere in occasione degli impegni internazionali del premier sarà «ampio» e i Cinque stelle “linea Conte-Grillo” si attaccano al bisillabo per votare la risoluzione di maggioranza sulle comunicazioni del premier in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno. In realtà non possono dire no, pena spedire Mario Draghi al Quirinale a rimettere il mandato.
- Quando Draghi parla in aula l’accordo non c’è e il sottosegretario Vincenzo Amendola, ufficiale di collegamento con il premier, il ministro dei Rapporti con il parlamento, Federico D’Incà, e il presidente della Commissione politiche Ue, Dario Stefano, hanno gettato la spugna: si voterà solo l’approvazione generica del discorso.
- E invece un’ultima mediazione va in buca: vi prende parte il senatore del Pd Alessandro Alfieri e la capogruppo Simona Malpezzi. Spiegano ai grillini che sarebbe un regalo al loro «nemico» Luigi Di Maio confermare le sue accuse, e cioè che il M5s non è in linea con il governo sulla politica estera. Li convincono. Perché c’è un sottotesto a tutta la trattativa: le voci sull’imminente strappo di Di Maio.
«Ampio»: il coinvolgimento delle camere in occasione degli impegni internazionali del premier sarà «ampio» e i Cinque stelle “linea Conte-Grillo” si attaccano al bisillabo per votare la risoluzione di maggioranza sulle comunicazioni del premier in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno. In realtà non possono dire no, pena spedire Mario Draghi al Quirinale a rimettere il mandato.
Cosa che non vogliono affatto, anche se da giorni minacciano sfracelli se il governo non si impegna a non inviare più armi all’Ucraina. Ma a marzo anche il M5s ha votato il decreto 14, che autorizza l’invio di armi fino al 31 dicembre. E allora in aula la senatrice grillina Maria Castellone sventola l’aggettivo «ampio» come il vessillo di una vittoria. Ma ormai non ci crede più nessuno, neanche lei. Castellone si riferisce al passaggio del testo in cui all’ultimo viene aggiunto uno scarabocchio blu, (la parola «ampio», appunto), alla fine di una trattativa durata un pomeriggio, una notte e un mattino.
Il governo – dice il punto 4 – si impegna «a continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022, il necessario e ampio coinvolgimento delle Camere con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari». Il M5s ha provato a non far inserire il riferimento al decreto, ma palazzo Chigi è stato irremovibile: l’esecutivo non può essere «commissariato».
Strappi e alleanze
Quando Draghi parla in aula l’accordo non c’è e il sottosegretario Vincenzo Amendola, ufficiale di collegamento con il premier, il ministro dei Rapporti con il parlamento, Federico D’Incà, e il presidente della Commissione politiche Ue, Dario Stefano, hanno gettato la spugna: si voterà solo l’approvazione generica del discorso.
E invece un’ultima mediazione va in buca: vi prende parte il senatore del Pd Alessandro Alfieri e la capogruppo Simona Malpezzi. Spiegano ai grillini che sarebbe un regalo al loro «nemico» Luigi Di Maio confermare le sue accuse, e cioè che il M5s non è in linea con il governo sulla politica estera. Li convincono. Perché c’è un sottotesto a tutta la trattativa: le voci sull’imminente strappo di Di Maio. In 50 sarebbero pronti a seguirlo. Accusano Conte e i suoi di voler far saltare il governo. E i barricaderi contiani, persa la maggioranza relativa a favore della Lega saranno davvero tentati di strappare con Draghi e con l’alleanza giallorossa.
Anche palazzo Chigi ha contribuito alle tensioni. Draghi ha accolto gelido l’ultima insorgenza di Conte. Ha fatto rimandare al mittente una dopo l’altra tutte le varianti del testo inviate dai mediatori del Pd e di Leu. Nel pomeriggio il suo discorso al Senato è breve e essenziale.
Il premier riferisce di aver «constatato la determinazione degli ucraini a difendere il loro paese» durante la visita a Kiev in cui «il presidente Zelensky ci ha chiesto di continuare a sostenere l’Ucraina per raggiungere una pace che rispetti i loro diritti: solo una pace concordata e non subìta può essere davvero duratura». Draghi insiste sul tasto della pace: «I nostri canali di dialogo rimangono aperti, non smetteremo di sostenere la diplomazia e di cercare la pace». L’Italia «vuole l’Ucraina nella Ue, non tutti gli stato la vogliono».
Draghi taglia corto
Parla della crisi del grano, del rischio mortale per i paesi poveri, dei paesi che aspettano di entrane nell’Ue. Questioni cruciali. Ma Draghi sa che l’azionista principale della sua maggioranza è attento alle bandierine quindi taglia corto: «L’Italia continuerà a lavorare con l’Ue per sostenere l’Ucraina, ricercare la pace, superare questa crisi: questo è il mandato che il Governo ha ricevuto dal Parlamento, da voi».
Tradotto: all’inizio della guerra il mandato è stato dato e resta. Il dibattito si svolge sul filo del detto e non detto. Nella replica ringrazia il senato «per il sostegno», ma il linguaggio del corpo non esprime grande allegria. Alla fine gli arrivano 219 sì, si sfiora il minimo storico per questa camera. Ma il Pd minimizza: «Numeri fisiologici». Si replica stamattina a Montecitorio, ma la notte porterà notizie da Di Maio. La finta crisi per il governo è passata, ma la prossima curva è vicina.
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