“E se fossero innocenti?” era il comitato per Mambro e Fioravanti a cui aderirono anche i giornalisti Rossanda, Curzi, Mughini e Minoli. Dopo le scuse di Cossiga all’Msi prese piede la “pista internazionale”
Tra depistaggi e inchieste durate decenni, i giudici di Bologna hanno consegnato una verità processuale: i neofascisti dei Nuclei armati rivoluzionari Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini sono stati gli esecutori della strage alla stazione di Bologna del 1980. A loro si è recentemente aggiunto un quinto attentatore, condannato in primo grado: Paolo Bellini.
Eppure, nonostante le sentenze, le voci che sostengono che la verità sia un’altra sono molte e trasversali. Non c’è solo il responsabile della comunicazione istituzionale della regione Lazio, ed ex militante di Terza posizione, Marcello De Angelis. Prima di lui e del risveglio della galassia di destra, dubbi sono stati sollevati anche dallo schieramento opposto.
I giornali di sinistra
Il giornale su cui il dibattito sulla sentenza è emerso in maniera più trasparente è stato il manifesto. Già alla fine degli anni Ottanta, nella redazione del quotidiano comunista una parte dei giornalisti di giudiziaria non condividevano la versione ufficiale emersa dal dibattimento di Bologna. Con loro, la fondatrice Rossana Rossanda e il giornalista politico Andrea Colombo, che su Mambro e Fioravanti ha scritto nel 2007 il libro Storia nera.
Entrambi aderirono nel 1994 al comitato “E se fossero innocenti?” tra i cui firmatari figurano anche l’ex direttore dell’Unità Sandro Curzi e quello di Lotta continua Giampiero Mughini e il giornalista Rai Giovanni Minoli. Insieme a loro, intellettuali e studiosi di sinistra come Liliana Cavani e Luigi Manconi.
A guidare il comitato era il presidente dell’Arci ed ex membro di Lotta continua, Mimmo Pinto, che spiegò di non avere certezze ma dubbi e di non volere «sentenze precostituite, che se la strage era di destra bisognava cercare qualche terrorista di destra da condannare».
Ad animare questi dubbi - anche se non in tutti i firmatari contestavano la matrice neofascista ma solo la colpevolezza dei condannati – c’era la “pista palestinese”, ovvero che dietro l’attentato ci fossero frizioni tra l’Italia e il mondo arabo dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina). Una pista, quella internazionale, che è stata indagata per oltre un decennio ma è stata contraddetta dalla desecretazione di alcuni documenti riservati, che hanno dimostrato che lo scontro si era ricomposto poco prima della strage.
Anche l’attuale direttore dell’Unità Piero Sansonetti si è espresso contro la solidità dell’impianto probatorio, scrivendo che «quella sentenza non si regge in piedi, non c’è alcuna prova tranne la dichiarazione di un presunto pentito». Prima di lui, anche Furio Colombo ha scritto di non credere che gli ex Nar siano stati gli esecutori, anche se «non ci sono dubbi sulla matrice fascista della strage di Bologna».
I radicali
Anche buona parte del mondo radicale ha sempre manifestato dubbi sulla sentenza. Lo fece Marco Pannella e dirigenti come Marco Taradash, che aderì al comitato “E se fossero innocenti?”, ma soprattutto la galassia che ruota intorno all’associazione Nessuno tocchi Caino, che si occupa di detenuti e di cui fanno parte anche Mambro e Fioravanti.
Il fondatore ed ex militante di Prima linea, Sergio D’Elia, ha sempre sostenuto l’innocenza degli ex Nar e da anni scrive che «non per un fondato giudizio ma per un diffuso pregiudizio, la strage doveva essere “fascista”». Dopo le polemiche di questi giorni, D’Elia ha detto che quanto sostenuto da de Angelis è «una verità che non può essere svelata perché chi osa farlo viene subito criminalizzato e bollato come depistatore».
Il presidente Dc
Ad alimentare i dubbi sulla ricostruzione processuale ha influito anche l’inaspettato l’intervento dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Il democristiano, che nel 1980 era presidente del Consiglio e due giorni dopo la strage la bollò come «fascista», nel 1991 disse in parlamento che «la targa alla stazione di Bologna che definisce fascista la strage del 1980 va tolta» e porse le sue scuse al Msi dicendo che «fui fuorviato, intossicato».
L’ex capo dello Stato, in alcune interviste dal 2005 in poi, sostenne l’esistenza del lodo Moro (un accordo tra servizi segreti italiani e terroristi palestinesi che prevedeva la possibilità di far transitare armi ed esplosivi sul suolo italiano) e di essere stato informato che la strage era stata causata dall’esplosione di alcune valige con cui i palestinesi stavano trasportando materiale esplosivo.
A destra
Il mondo della destra ha iniziato ad esporsi pubblicamente sulla strage di Bologna sulla scia delle clamorose parole di Cossiga. A contestare la matrice fascista della strage fu l’ex dirigente missino e poi parlamentare di An, Enzo Raisi, con il libro Bomba o non bomba.
Nel 2019 la pista palestinese e la richiesta di riaprire le indagini è stata ripresa anche dentro Fratelli d’Italia, con le iniziative dei deputati Federico Mollicone – che anche oggi è un esponente importante della struttura di Giorgia Meloni – e Paola Frassinetti. La figura che però più sta emergendo a sostegno di de Angelis è quella dell’ex missino e sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che – in rotta con FdI – anche così si sta guadagnando nuovo spazio politico a destra.
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