Il “modello Albania” si è già infranto contro il diritto europeo e governo Meloni è rimasto paralizzato dalla rabbia, dopo la decisione dei giudici del tribunale di Roma di negare la convalida dei primi 12 migranti trattenuti nel cpr in Albania. Ieri è stato il giorno della controffensiva: pubblicamente il governo ha lanciato un pesante attacco nei confronti dei giudici, nelle stanze di palazzo Chigi, invece, la giornata è trascorsa tra le carte per studiare una risposta sul piano giuridico. La posta in palio, infatti, è alta e l’imperativo fissato da Meloni è di rimediare a quello che rischia altrimenti di essere il de profundis dei centri per migranti costati già molte decine di milioni di euro alle casse dello Stato. Eppure, il rischio è che la proverbiale “pezza” sia peggiore del “buco” aperto con l’azzardo della creazione dei cpr in Albania.

Cosa succede ora

La contromossa immediata è stata quella di annunciare per domani la convocazione di un consiglio dei ministri in cui approvare in tutta fretta una norma che limiti la discrezionalità dei giudici: la strada appare quella di un decreto legge che individui i paesi cosiddetti sicuri, nel tentativo di aggirare la sentenza della Corte di giustizia Ue del 4 ottobre, che ha ristretto a una manciata di paesi quelli per i cui migranti si può predisporre il trattenimento in vista dell’espulsione.

Il ragionamento di fondo è quello di inserire in una norma primaria – quindi una legge – l’indicazione dei paesi sicuri, che invece oggi è prevista da una norma di tipo secondario, ovvero il decreto del ministro degli Esteri, di concerto con quelli di Interno e Giustizia, con cui finora è stato annualmente aggiornato l'elenco.

In realtà, questa strada rischia di non risolvere nulla: il giudice italiano, infatti, può disapplicare direttamente una legge nel caso in cui confligga con una decisione della Corte di giustizia Ue come quella del 4 ottobre. In altre parole, il provvedimento del tribunale di Roma di venerdì potrà ripetersi anche se la lista dei paesi sicuri sia contenuto in un decreto legge.

Secondo fonti di governo, comunque, il nuovo provvedimento dovrebbe avere come finalità quella di anticipare i prossimi regolamenti Ue sulle procedure di frontiera, che dovrebbero proprio riformulare la classificazione dei paesi ritenuti sicuri. Eppure, muoversi con anticipo su regole ancora non emanate espone al rischio di andare nella direzione sbagliata e dunque di prevedere norme che poi verranno comunque disapplicate. Al vaglio del Cdm, inoltre, potrebbero arrivare anche altre misure che velocizzino le procedure sulla richiesta di protezione internazionale, in particolare conferendo più poteri alle commissioni che esaminano le singole domande e rivedendo anche i meccanismi di ricorso.

La via giuridica, tuttavia, è stretta e rischia di produrre nuove frizioni oltre che ricorsi in Corte costituzionale. La linea del governo, però, è di breve termine e punta per ora principalmente a uscire dall’angolo, in attesa che la nuova consiliatura europea cominci e ci sia margine per rivedere le regole di diritto migratorio.

L’affondo

Intanto, i dodici migranti che erano stati portati nel cpr in Albania sono stati trasportati a Bari da una motovedetta della Guardia costiera. Dopo il pronunciamento di mancata convalida del trattenimento da parte della sezione immigrazione del tribunale di Roma, infatti, la vicenda giudiziaria non è chiusa. Il Viminale ha già annunciato ricorso e che arriverà «fino in Cassazione» pur di sostenere la correttezza dell’operato del governo contro i giudici.

Proprio le toghe, infatti, sono tornate a essere il bersaglio dell’offensiva di governo. Se la premier Meloni, ancora in missione in Medio Oriente, è rimasta in silenzio, a intervenire duramente è stato il resto dell’esecutivo, ma soprattutto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

Secondo il titolare di via Arenula, la reazione del governo è «non contro la magistratura, ma contro il merito della sentenza» del tribunale di Roma, che «non solo non condividiamo ma che riteniamo addirittura abnorme», e quindi «interverremo con provvedimenti legislativi» perché «non può essere la magistratura a definire uno Stato più o meno sicuro» e «queste decisioni rischiano di creare incidenti diplomatici».

L’intemerata del guardasigilli – durissima e inaspettata visto il ruolo che ricopre – ha subito provocato la sollevazione delle opposizioni: dal Pd passando per Avs fino al Movimento 5 stelle è arrivata addirittura una richiesta di dimissioni di Nordio: «Un ministro della Giustizia che sferra un attacco così pesante alla magistratura e alla sua indipendenza non può rimanere al suo posto» è la posizione dei dem.

Anche il vicepremier Matteo Salvini, già accalorato contro i giudici dopo l’udienza nel processo Open Arms a suo carico, è tornato a parlare di «attacco all'Italia e agli italiani sferrato da una parte di magistratura politicizzata».

Intanto, il diktat di governo appare quello di non arretrare di un centimetro: nessuno stop al trasferimento di migranti in Albania, sarebbe la linea di chi segue la pratica. Dunque, la sentenza di Roma non sembra bastare per interrompere almeno in via cautelativa l’utilizzo della struttura. «Lunedì prossimo presenteremo una denuncia formale alla Corte dei Conti indicando Giorgia Meloni come responsabile dello spreco di denaro pubblico legato allo scandalo del centro migranti in Albania», annuncia intanto il renziano Francesco Bonifazi.

Così l’ennesima sfida alla magistratura è stata lanciata, ma dietro si nasconde la vera paura dell’esecutivo. C’è infatti la consapevolezza che la strada del decreto legge è poco sicura e che, se le regole europee non cambieranno, nessun provvedimento del governo potrà davvero salvare dall’inutilità il cpr in Albania. Con il rischio che diventi un enorme sperpero di denaro pubblico e soprattutto il maggior fallimento fino a oggi di Meloni, anche agli occhi dei partner stranieri. Eppure, al governo ne sono convinti, le toghe «politicizzate» si sono mosse per tendere l’ennesimo agguato e Meloni sarebbe convintissima di voler portare fino in fondo lo scontro, per ristabilire quello che lei considera il primato della politica. Anche a costo di entrare in contrasto con il diritto dell’Unione europea e di scatenare in Italia un conflitto tra poteri.

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