- Da forza territoriale di imprenditori, artigiani, amministratori, cittadini delle province lombarde e venete alla egemonia del Capitano, il partito ha cambiato più volte pelle.
- Oggi il conflitto interno si muove per recuperare l’identità perduta. Il vice-premier è indebolito, ma controlla ancora il partito e ha la certezza di essere ancora il solo volto leghista a impatto mediatico.
- Questo articolo si trova sull’ultimo numero di POLITICA – il mensile a cura di Marco Damilano. Per leggerlo abbonati o compra una copia in edicola
In occasione del Natale del 2022, numerosi snodi stradali lombardi sono stati rivestiti dai grandi manifesti leghisti che, insieme agli auguri di buone feste, rimettevano in circolazione la vecchia icona della Lega lombarda, incastrata nel simbolo della Lega Salvini-Lombardia. Il tutto era accompagnato dalle parole d’ordine di un momento politico rimosso negli anni d’oro del salvinismo rampante: «Avanti Lombardia! Missione: autonomia».
Quando, nell’ottobre del 2017, i cittadini lombardi e veneti sono stati chiamati alle urne per votare i referendum consultivi sull’autonomia delle loro regioni, Matteo Salvini aveva sostanzialmente scelto di non partecipare alle campagne referendarie. Roberto Maroni e Luca Zaia avevano guidato un fronte nordista che, nella Lega post bossiana, stava vivendo giorni difficili a causa delle scelte strategiche del nuovo leader.
In Veneto si erano recati alle urne il 57,2 per cento degli elettori, mentre in Lombardia l’affluenza non aveva superato il 38,2 per cento degli aventi diritto: nel complesso, la partecipazione non è stata eccezionale per il Veneto ed è stata deludente per la Lombardia. L’evidente distacco mantenuto da Salvini era conseguenza del suo progetto di estensione a sud e di conquista del ruolo di primo attore di una destra in crisi, nella quale Forza Italia subiva la parabola discendente di Silvio Berlusconi.
Comunicazione online
In tal senso l’esplosione della comunicazione politica online negli anni in cui Salvini aveva conquistato la segreteria della Lega nord è stato uno dei fattori determinanti nell’orientarne le scelte. Fra il 2009 e il 2013, infatti, i politici italiani si sono riversati massicciamente nel web, aprendo pagine personali, blog, profili social: nel 2010, Facebook appariva la loro piattaforma di riferimento.
Salvini, che da sempre aveva mostrato una forte sensibilità per la comunicazione politica nel ruolo di giornalista della Padania e direttore di Radio Padania libera, aveva colto più di tutti le opportunità che il nuovo strumento gli forniva. Le strategie adottate con la collaborazione del filosofo dell’informatica Luca Morisi hanno portato la sua pagina Facebook dai 18.000 fan presenti all’alba della sua segreteria al milione registrato nel luglio del 2015 e, un anno più tardi, la stessa pagina era tra le 63 più seguite a livello mondiale.
Contemporaneamente, si diffondevano gli smartphone che sarebbero presto diventati surrogati di edicole personalizzate e snodi cruciali dell’ecosistema mediatico che si andava imponendo, sviluppando bolle di informazione costantemente aggiornata intorno ai loro possessori. L’asse Salvini-Morisi ha realizzato con questi ingredienti una formidabile macchina propagandistica che tuttavia, mentre forniva opportunità, ha favorito un cambiamento di prospettiva foriero di tensioni interne al partito.
La Lega nord, infatti, era una forza regionale emersa e consolidata grazie al lavoro territoriale, allo sviluppo di reti di relazioni tra imprenditori, artigiani, amministratori, cittadini delle province lombarde e venete in cui era riuscita a imporsi tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. I leghisti si erano candidati al ruolo di interpreti degli interessi economici e delle certezze ideologiche di larghi strati di popolazione concentrata in quelle regioni, mettendo in campo gli strumenti necessari per promuovere processi di identificazione.
La periferia settentrionale
Nei territori della periferia settentrionale dove la Lega nord ha mantenuto per diversi anni un’egemonia politico-culturale, eleggendo i propri amministratori e consegnando al partito maggioranze sempre consistenti, il valore di un buon politico si misurava a partire dall’appartenenza al territorio, dalla sua affinità con i costumi della “gente comune”, dalla sua conoscenza dei dialetti e delle parlate locali.
Tra il 2008 e il 2011 – prima che la crisi del “cerchio magico” aprisse la fase più drammatica nella storia del partito – la Lega nord ha conosciuto un’epoca di crescita alimentata dalle politiche securitarie e del “decoro”, con le quali si mirava a coinvolgere – sollevando ferventi polemiche a proposito dei limiti di opportunità e di legalità – il cittadino comune nella sorveglianza dei territori – si pensi alle “ronde padane” – si emanavano regolamenti volti alla tutela delle attività commerciali autoctone, si dichiarava di favorire l’apertura di ristoranti e somministratori di cibi regionali nei centri storici.
Negli stessi anni, le sagre estive del partito, sul modello delle Feste dell’Unità, si sono diffuse largamente in molte aree del settentrione, coinvolgendo anche militanti giovani, talvolta di origine meridionale o straniera. La forza del partito era però concentrata nel nord, dove le reti di militanti e amministratori venivano coltivate dai primi anni Novanta, in province come Verona, Vicenza, Bergamo, Sondrio.
Lì la Lega nord superava il 30 per cento dei consensi e, in molti comuni, andava oltre il 40 per cento, essendo diventata il partito di riferimento dei blocchi conservatori del luogo. A sud dell’Emilia-Romagna, invece, la Lega nord non disponeva di contatti e relazioni, rimaneva una forza residuale e, di conseguenza, diventava arduo superare il 10 per cento dei consensi su base nazionale.
Gli sviluppi della comunicazione politica online hanno consentito a Salvini di rovesciare le logiche territoriali della mobilitazione leghista poiché il messaggio web, a differenza dei volantinaggi e delle installazioni di gazebo, poteva raggiungere tutte le province d’Italia. Inoltre, il neosegretario possedeva caratteristiche di personalità molto diverse da quelle che avevano costituito la forza, ma anche il limite, della precedente generazione leghista: era figlio della grande metropoli lombarda, era stato studente di liceo classico, era cresciuto politicamente tra i banchi del comune di Milano e disponeva di caratteri compatibili con la costruzione di una star della politica nazionale.
La nuova retorica
Sfruttando le sue peculiarità e le nuove tecnologie, Salvini ha aperto una fase nuova, finalizzata alla conquista dell’egemonia nel paese. La strada da percorrere portava alla riarticolazione del nucleo ideologico profondo del partito, a vocazione conservatrice e idealmente difensiva delle proprie comunità immaginate di riferimento (dalle province, alle regioni, alle macroregioni, alla Padania), in nuovi discorsi spendibili sul piano nazionale. Occorreva liquidare forme e strumenti tradizionali della militanza nordista, disancorando il partito dai suoi territori d’origine.
La Lega nord è diventata la Lega, il verde padano è sfumato nel blu, l’istanza “prima il nord!” è stata sostituita dal grido “prima gli italiani!”. La nuova retorica salviniana interpretava i vissuti di vessazione di tutti i cittadini che si sentissero ai margini, raggirati da centri di potere estranei. Bruxelles è diventata la Roma dei tempi di Bossi così come, minacciati da orde di invasori, i rifugiati hanno sostituito i meridionali, antagonisti per eccellenza negli anni Novanta.
La militanza nordista è stata liquidata e sostituita dalla quotidiana militanza online del “Capitano”. Le elezioni del 2018, da una pragmatica prospettiva di potere, hanno dato ragione al segretario: la Lega ha superato il 17 per cento su base nazionale, il risultato più alto di sempre, consentendo al partito di formare, con il Movimento 5 stelle, il governo Conte I. Salvini è diventato ministro dell’Interno e ha dominato l’ecosistema mediatico nel suo insieme, raggiungendo livelli di consenso impensabili pochi anni prima.
Alle europee del 2019, la Lega ha superato il 34 per cento e Salvini, in preda all’Hybris, ha avviato la sua perdente marcia verso la presidenza del Consiglio, innescando la crisi del Conte I dalla quale è uscito sconfitto e ridimensionato. Fino a quel momento, la storica componente nordista del partito aveva metabolizzato la svolta nazionale per pragmatismo: attitudine che del resto rappresenta la categoria fondamentale per intendere l’approccio alla militanza leghista, da sempre abituata, in funzione dell’allargamento del consenso, a stravolgimenti e variazioni sostanziali della propria politica (dal federalismo, alla secessione e ritorno).
La pandemia
I fatti dell’agosto del 2019, però, hanno evidenziato i limiti del segretario leghista e aperto alla possibilità di critiche. La situazione è peggiorata nella primavera del 2020, quando la pandemia ha colpito le regioni di insediamento storico leghista. Alcuni comuni – a partire da Alzano Lombardo, epicentro della pandemia lombarda – erano amministrati da sindaci della Lega che hanno dovuto districarsi tra le pressioni del blocco imprenditoriale contrario alle chiusure, l’esigenza di tutelare la salute pubblica in territori dove la pandemia picchiava troppo duramente per essere interpretata con categorie negazioniste, le ambiguità di Salvini che, al contrario, apriva alle sensibilità di negazionisti e no mask.
L’eccezionalità della fase attraversata tra il 2020 e il 2022 ha congelato le tensioni interne al partito che, inevitabilmente, sono riemerse con la sconfitta elettorale del settembre 2022. Rispetto alle europee di tre anni prima, la Lega ha perso 25 punti su base nazionale. Al centro e al sud, il partito è sceso a percentuali prossime al 5 per cento, ma pure in molte province del nord dove il Movimento sociale italiano e i suoi eredi non avevano mai trovato spazi, Fratelli d’Italia ha doppiato la Lega, certificando che il blocco conservatore locale ha trovato in Giorgia Meloni un nuovo riferimento: certo, inferiore è stata invece la capacità di penetrazione della presidente di Fratelli d’Italia nell’elettorato storico militante leghista, per il quale Meloni rappresentava una sorta di nemesi, essendo percepita come donna romana espressione delle forze conservatrici meridionali.
Inevitabilmente, le tensioni interne al partito accumulate a partire dall’agosto del 2019, sono esplose attorno alla questione territoriale: una parte dei militanti storici, infatti, s’è mossa nel tentativo di recuperare l’identità nordista perduta, aggregandosi attorno al Comitato nord voluto dal redivivo Umberto Bossi che tuttavia, per ragioni d’età e salute, non può costituire una minaccia per Salvini. Nel frattempo, si è scelto come ministro per gli Affari regionali e le autonomie il potente Roberto Calderoli, parlamentare leghista dai primi anni Novanta, bergamasco stimatissimo e intoccabile per tutte le componenti, garante storico della tenuta della Lega nel corso di tutte le sue svolte. Salvini è indebolito, ma ha strumenti statutari per controllare il partito e la certezza di essere ancora il solo volto leghista a forte impatto mediatico. La Lega, quindi, prende tempo e ricerca nuovi equilibri interni, in attesa degli sviluppi della politica nazionale.
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