- Giulio Tremonti ha rilanciato una sua vecchia idea: il rafforzamento del 5 per mille dell’Irpef con la trasformazione in un 10 per mille per sostenere le attività del terzo settore.
- Non è sufficiente riformare il meccanismo per aumentare la dotazione. Per raggiungere questo obiettivo lo stato deve ampliare il plafond economico a disposizione dell’istituto, attualmente pari a 525 milioni di euro.
- Gli addetti del settore chiedono un potenziamento degli investimenti pubblici e soprattutto una campagna di sensibilizzazione. Il 60 per cento dei contribuenti ignora la casella per destinare il 5 per mille.
Una nuova-vecchia proposta che non fa i conti con la realtà. L’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha rilanciato una sua idea, già illustrata più volte negli anni scorsi: il rafforzamento del 5 per mille dell’Irpef, riservato agli enti del terzo settore, che portano avanti progetti nei vari ambiti di appartenenza, dal volontariato alla ricerca. «Una cosa che farei subito è raddoppiare il 5 per mille. Subito, come aiuto alle persone. Che diventi 10 per mille, una cosa che si può fare subito», ha detto Tremonti, ospite in tv, rilanciando un suo antico pallino per rafforzare le politiche sociali. Un progetto presentato come se per l’attuazione bastasse un cambio di denominazione o un ampliamento della quota dell’Irpef per determinare la crescita del plafond a disposizione.
I vincoli economici
L’equazione di Tremonti manca di realismo, almeno per come è stata illustrata. Non è, infatti, sufficiente cambiare i connotati dell’istituto del 5 per mille per aumentare la dotazione. Per conseguire questo obiettivo occorre stanziare maggiori fondi: semplicemente non è un’operazione a costo zero.
A oggi è previsto un tetto massimo di 525 milioni di euro da ripartire in base alle scelte dei contribuenti. Una quota che non è valicabile, altrimenti i soldi restano nelle casse dello stato. Si tratta, in sintesi, di un capitolo di spesa che attinge dal bilancio pubblico e, in caso di esaurimento della dotazione, non sono previste deroghe.
Del resto non è niente di nuovo, bensì quanto accaduto in vari anni, anche di recente. Nel 2018 c’è stato un taglio di risorse di 13 milioni di euro, a causa dello sforamento della soglia, facendo peggio rispetto ai nove milioni di euro superati nell’anno precedente. Per questo motivo il terzo settore ha chiesto con costanza l’innalzamento del tetto, ricevendo una parziale risposta: dai 500 milioni di euro, previsti nel 2019, c’è stato un incremento graduale fino agli attuali 525 milioni.
Con questo intervento, nel 2022 (relativo alle dichiarazioni dei redditi del 2021) non è stato superato il limite: sono stati 507 milioni di euro i fondi dispensati agli oltre 72mila enti ammessi, come riferisce l’Agenzia delle entrate.
5 per mille fantasma
Ma non si tratta di una buona notizia. Significa, infatti, che è lievemente calato il numero di contribuenti che hanno deciso di destinare il 5 per mille. Peraltro il trend è consolidato: in media, salvo qualche oscillazione, solo il 40 per cento (circa 16 milioni su poco più di 40 milioni) di chi presenta la dichiarazione decide di indicare un codice fiscale, dei relativi enti, nell’apposito spazio del 5 per mille.
Dunque, più della metà ignora questa opportunità. Ed è un pezzo importante del problema: milioni di italiani non sono a conoscenza della possibilità di elargire una donazione, attraverso la dichiarazione dei redditi, a qualsiasi realtà, dalle ong come Emergency o Save the Children, all’associazione di quartiere o alla pro loco cittadina.
Il paradosso
Eppure, per paradosso, la disattenzione dei contribuenti non arreca un danno ai potenziali beneficiari delle risorse. Secondo una stima della community Italia no profit, se tutti provvedessero a riservare la quota del 5 per mille in fase di dichiarazione, si raggiungerebbero almeno 930 milioni di euro. Allo stato attuale, perciò, sarebbero tagliati più di 400 milioni di euro, eccedenti il già citato tetto. Entrando nel dettaglio della distribuzione nelle principali voci, emerge che nel 2021 il volontariato ha ricevuto la parte principale con oltre 331 milioni. La ricerca sanitaria, invece, è destinataria di più di 76 milioni di euro, davanti alla ricerca scientifica, a cui spettano 66,2 milioni di euro.
E tutte queste annotazioni portano al punto di partenza, la proposta di Tremonti. Al netto del giudizio di valore sull’idea, c’è un elemento fondamentale: l’affermazione che si può fare «subito» un cambiamento radicale rientra nelle solite campagne elettorali. A meno che non si provveda a un apposito potenziamento economico della voce.
Più informazione
Peraltro, le stesse associazioni del terzo settore sono caute nei confronti di potenziali rivoluzioni. «Crediamo che per modificare seriamente l’istituto sia necessaria molta oculatezza», dice Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum terzo settore. A oggi, aggiunge, «un problema importante che riscontriamo è la scarsa informazione dei cittadini su cosa sia, come funzioni e a cosa serva il 5 per mille».
E non solo: le organizzazioni fanno talvolta i conti con lentezze burocratiche e norme penalizzanti. Tanto che per velocizzare l’erogazione dei contributi, un dpcm predisposto nel luglio del 2020 ha escluso le dichiarazioni integrative dal riparto delle risorse destinate alle organizzazioni no profit ammesse a ricevere il contributo. Un danno.
E così, al posto di passare al presunto 10 per mille, si può semplicemente rivedere l’attuale meccanismo per farlo funzionare a pieno regime. Per dirla con le parole di Pallucchi: «Non basta ricorrere alla generosità dei cittadini, è necessario trovare risorse nel bilancio dello stato».
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