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I dem non voteranno l’emendamento Magi sulla surrogata solidale. Ma arrivano i primi dissensi
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In molti potrebbero dire sì all’odg di Luana Zanella (Avs) sul «divieto globale» dell’utero in affitto
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Il guaio è che nel Pd tutto è maledettamente complicato. Il voto sulla gpa, martedì in aula alla Camera, arriverà nello stesso giorno in cui in commissione Lavoro andrà in scena la benemerita resistenza delle minoranze contro la cancellazione della legge per il salario minimo.
«Al di là del voto sulla gravidanza per altri solidale, la questione è di metodo», spiega con insolita pacatezza la deputata Paola De Micheli (la signora è notoriamente fumantina). Lei e Marianna Madia hanno annunciato che martedì prossimo alla Camera disobbediranno alla linea del partito.
La quale linea è: no alla legge Varchi (FdI), ovvero la trasformazione della gpa da reato nazionale a reato universale, e non partecipazione al voto sull’emendamento a firma Riccardo Magi (+Europa) per la regolamentazione della gpa solidale. L’ex ministra delle Infrastrutture spiega che «io ho la mistica del partito, è la prima volta che voto in dissenso».
Ma stavolta andrà così perché «la nostra posizione qual è? Nel gruppo abbiamo deciso di fare una dichiarazione e dirci contrari anche alla gpa solidale: ma perché non votiamo no? Allora non era meglio lasciare libertà di voto, essendo un tema etico?».
Ma la libertà di voto avrebbe messo in chiaro, nero su bianco, il fatto che il gruppo, a maggioranza, la pensa diversamente dalla segretaria. Meglio non partecipare. Decisione presa in una riunione dei deputati, martedì mattina, alla vigilia del voto in aula, che poi è slittato a martedì prossimo.
E arrivata a sua volta dopo un confronto monstre via Zoom fra gruppi parlamentari e associazioni, la notte prima, alla fine del quale la conclusione della presidente dei deputati Chiara Braga è stata «astensione». Ma per molti era una forzatura: se si vota, e l’astensione è un voto, in molti voterebbero no. Per quei molti, l’emendamento Magi è l’introduzione di fatto della gpa, che in Italia è un reato. Tre quarti del gruppo dirigente Pd è contrario: tranne la segretaria, ma a livello personale.
Così il pragmatico presidente dei senatori Francesco Boccia l’ha avvertita che «i gruppi non reggono la linea». Tradotto: qualcuno avrebbe votato no, qualcun altro sì. Risultato: il Pd si sarebbe trovato con tre linee diverse in aula. Un po’ come è successo il mese scorso a Bruxelles sull’Asap, l’Act to Support Ammunition Production. Gran bazar Pd. Meglio uscire dall’aula.
«Ma il Pd può andare avanti così?», riattacca De Micheli, che mira dritto alla direzione politica di Schlein: «Da quattro mesi sapevamo che sarebbe arrivato il momento di affrontare il tema della gpa, avevamo il tempo di prepararci. Ma al di là di questo, ripeto, il tema è: come si decide sulle cose che ci dividono? Veltroni riuniva i caminetti, Renzi faceva di testa sua, Letta faceva trenta telefonate: poteva piacere o no, ma ogni segretario aveva il suo metodo.
Qual è quello di Schlein? E non parlo solo di questioni etiche: stiamo discutendo del reato d’abuso d’ufficio, molti sindaci la pensano diversamente dalla segreteria e dal gruppo in commissione, ma anche loro fanno parte del Pd. Come decideremo?». Fra i suoi colleghi c’è chi lamenta l’assenza di Schlein dalla Camera, e dunque «l’assenza di una direzione politica».
Alla riunione dei deputati si è segnalato il malumore di Graziano Delrio e quello di Lorenzo Guerini. «Se votassi, voterei contro», ha avvertito il presidente del Copasir. Poi si è sfogato con un collega di partito: «Il Pd aveva mantenuto una posizione chiara ed equilibrata in commissione, che rifletteva la discussione che c’era stata nei gruppi: no al reato universale, sì alla registrazione dei bambini, no all’emendamento Magi.
Inspiegabilmente la sera prima del voto (poi slittato, ndr) si è tentata una forzatura che faceva saltare il senso della nostra posizione. Forzatura che è stata contestata da molti, non solo dalla piccola componente cattolica». Una posizione simile a quella che viene attribuita a Paolo Ciani, deputato di Demos, vicino a Sant’Egidio: se c’è una linea di partito la seguirà, se no voterà no.
Tutto complicato
Il guaio è che nel Pd tutto è maledettamente complicato. Il voto sulla gpa, martedì in aula alla Camera, arriverà nello stesso giorno in cui in commissione Lavoro andrà in scena la benemerita resistenza delle minoranze contro la cancellazione della legge per il salario minimo. Un momento di gloria, per il Pd e per le altre forze d’opposizione (tranne Iv).
Se il presidente Walter Rizzetto farà forzature, il Pd, i Cinque stelle, i rossoverdi e gli azionisti potranno saltare sulle barricate contro «il gesto di protervia delle destre», inchiodandole alla loro indifferenza verso i lavoratori e alle loro contraddizioni: sia la Lega sia FdI, un tempo non lontano, erano favorevoli al minimo salariale orario
Ma il momento di gloria, ossia di compattezza, in commissione rischia di essere oscurato da un tana libera tutti sulla surrogata in aula. E se il Pd riuscirà a tenere la posizione del non voto sull’emendamento Magi, i contrari alla gpa potrebbero dare un segnale votando l’ordine del giorno della rossoverde Luana Zanella che invita il governo «a intraprendere ogni iniziativa utile a livello internazionale affinché l’Assemblea generale delle Nazioni unite possa adottare una risoluzione contenente il divieto globale nei riguardi della surrogazione di maternità, sul modello di quella adottata il 20 dicembre 2022 per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili».
Il testo riprende a sua volta un appello di ultras no gpa, firmato da alcuni autorevoli esponenti del Pd come Pierluigi Castagnetti e Goffredo Bettini. Ed è il contrario di quello che pensa la segretaria. Che potrebbe trovarsi, in sostanza, a essere messa in minoranza dal gruppo della Camera.
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