Landini e Bombardieri riducono a 4 ore l’astensione nei trasporti. Meloni si smarca dall’alleato: «Non voglio abolire un diritto»
«Sciopero confermato», dice un’enorme immagine proiettata alle spalle dei segretari di Cgil e Uil nella conferenza stampa del pomeriggio in cui respingono tutte le accuse (quelle di fare uno sciopero «illegittimo» o «politico», quelle stravaganti di volersi candidare alle europee, quelle di volersi fare «i week end lunghi») e annunciano che accettano il taglio delle ore di sciopero imposto dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini: da otto a quattro, «per senso di responsabilità». Devono accettare.
Ma lo «sciopero generale» contro la manovra è confermato: quello di domani delle regioni del centro e a livello nazionale del settore dei trasporti, del pubblico impiego e della conoscenza. E tutti i successivi: il 20 novembre sciopera la Sicilia, il 27 la Sardegna, venerdì 24 le regioni del nord, il primo dicembre quelle del sud. Anche se per il governo e per il Garante non è uno sciopero generale.
Tanto alla fine quello che sarà davvero lo decideranno i lavoratori e le lavoratrici: partecipando o no. E va detto che gli attacchi di Salvini hanno oggettivamente regalato ai sindacati un insperato e imponente lancio mediatico.
Il Salvini pro sciopero
Alla sede della Uil vengono proiettati video d’epoca, di quando il leghista annunciava tre giorni di sciopero generale nel 2015 per cancellare la legge Fornero, «fermiamo il paese, dateci una mano». E di quando Giorgia Meloni si scatena contro le banche. Era pochi anni fa, sembra passato un secolo.
Maurizio Landini spiega che lo sciopero è stato convocato «secondo le regole». Dopo lo stop del Garante, dunque finché le sanzioni erano un pericolo incombente solo contro le confederazioni organizzatrici, i sindacati erano pronti a «disobbedire».
Ora però la precettazione che Salvini ha firmato nottetempo per i lavoratori dei trasporti non lascia scelta: va accettata «per tutelare i lavoratori da sanzioni economiche ma anche da conseguenze penali». Quindi quel settore, come da ordinanza del ministro, sciopererà solo dalle 9 alle 13. Salvini commenta a razzo dai social: «Ha vinto il buon senso». Landini replica subito: «Il buon senso lo usa chi ce l’ha, chi non ce l’ha neanche lo capisce».
Per il leader Cgil resta un fatto: che l’atto della precettazione è «senza precedenti», «dal dopo Guerra non era mai accaduto», e «mette in discussione un diritto sancito dalla Costituzione». Tanto che i sindacati si riservano di valutare l’impugnazione dal giudice. Per il leader Uil Pierpaolo Bombardieri «perfino Renzi, durante gli scioperi contro il jobs act, fermò il suo ministro che minacciava la precettazione».
C’è anche un altro problema, ed è scritto nero su bianco sull’ordinanza di Salvini, quella che contiene le ragioni formali della precettazione: si parla protezione del «trend positivo del turismo» e di riverbero dello sciopero «sul traffico veicolare con ripercussioni sulla sicurezza stradale e sulle emissioni ambientali» (emissioni che per una volta preoccupano Salvini). Con queste motivazioni, avverte Bombardieri, «vogliamo capire se è concesso ai lavoratori del trasporti di fare sciopero».
Anche perché ora il Garante consiglia una messa a punto della legge sullo sciopero, la 146 del 90. E anche Salvini la minaccia la stretta: «Sto lavorando al diritto di sciopero».
Ma dalla mostra su Tolkien, alla Galleria nazionale di Arte moderna di Roma, la premier Giorgia Meloni lascia trasparire poco entusiasmo per la gazzarra scatenata dal suo vicepremier, che peraltro a occhio finirà per favorire la partecipazione alle mobilitazioni: «Non è intenzione del governo modificare la normativa sul diritto allo sciopero», risponde ai cronisti. Poi respinge la lettura “politica” della precettazione: «È stata una scelta condivisa sulla base di una indicazione che arrivava da un’Autorità indipendente».
La «logica» della Garante
In realtà di buon mattino, alla Camera, le opposizioni hanno messo in dubbio proprio l’indipendenza del Garante. E non per i curricola pendenti a destra dei suoi componenti, che del resto sono stati scelti dai presidenti delle Camere Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa. Ma per le spiegazioni che arrivano in commissione Lavoro, dove il presidente Walter Rizzetto (Fdi) ha convocato Paola Bellocchi, la presidente della Commissione Garanzia Sciopero, su richiesta delle opposizioni (e con la contrarietà della Lega, che Fdi ignora platealmente).
La professoressa spiega perché ha negato lo sciopero generale e lo ha “diminuito” a sciopero «intersettoriale», dunque dimezzandogli le ore proclamate: «Avevamo già segnalato informalmente che questa proclamazione era del tutto illegittima e non poteva rientrare nei presupposti di applicazione della delibera del 2003», quella che allarga le maglie delle astensioni, «la legge 146» cioè quella che le regola «infatti non menziona mai lo sciopero generale»; la «logica» applicata è stata «la questione della generalità».
Tradotto, la Garante ammette che la scelta di negare il crisma dello sciopero generale deriva dall’esenzione (nel giorno di domani) di molte categorie (che però scioperano in altre date). È stata dunque una scelta «interpretativa».
Le opposizioni, Pd M5s e Avs, la bersagliano di domande. E anche di ironie, come l’ex ministro Andrea Orlando (Pd): «Secondo questa interpretazione, quanti scioperi generali ci sono stati nella storia repubblicana? Perché a mia memoria non esiste uno sciopero generale che abbia coinvolto la generalità e l’interezza di tutti i settori, forse solo nel ‘48 in seguito all’attentato a Togliatti».
Comunque «la scelta rischia di creare un precedente gravissimo», concludono i dem Cecilia Guerra e Arturo Scotto (Pd). «Andremo avanti», assicura per tutto il giorno Landini, «Ad oggi c’è un motivo in più per scendere in campo: difendere per tutti il diritto sacrosanto ad esercitare il diritto allo sciopero». Venerdì mattina sarà a Roma, in piazza del Popolo, con Bombardieri. Lì si comincerà a pesare nei fatti se lo sciopero contro la manovra sarà davvero «generale».
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