«Chi entra in una casa disabitata prende senza togliere a nessuno», ha scritto Ilaria Salis su Instagram, per motivare la sua militanza nel «movimento di lotta per la casa». Questo movimento – prosegue la neoeletta al parlamento europeo per l’Alleanza verdi sinistra – «ha sempre agito con la forza della legittimità data dal semplice principio che tutte e tutti dobbiamo avere un tetto sulla testa».

È necessario verificare la fondatezza delle affermazioni di Salis, e quindi se il diritto del proprietario di un immobile di decidere quale uso o non uso farne possa essere compresso, come vorrebbe l’eurodeputata. La circostanza che si tratti di case di privati o di enti pubblici non fa differenza.

La proprietà privata

La Costituzione stabilisce che la proprietà privata è «riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale» (art. 42).

Negli ultimi anni, con il peggioramento della “questione abitativa”, la giurisprudenza ha coniato un nuovo diritto: quello di abitazione, cioè di «avere un tetto sulla testa», come dice Salis. Tale diritto, benché non sia in Costituzione, ha comunque assunto rilievo attraverso sentenze della Consulta. Quest’ultima ha affermato che «garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale quale quello all'abitazione» è un compito cui «lo Stato non può abdicare» (sentenza n. 217/1988) e lo ha «incluso nel catalogo dei diritti inviolabili» (ad esempio, sentenze n. 161/2013 e n. 61/2011), nonché «fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione» (tra le altre, sentenza n. 145/2023).

Tuttavia, quando il diritto di abitazione si scontra con quello di proprietà, come nel caso di occupazioni abusive di immobili, si crea un cortocircuito. Il Codice penale sanziona chi «invade arbitrariamente terreni o edifici altrui» (art. 633). Ma negli anni la giurisprudenza – rifacendosi alle citate sentenze della Consulta sul “diritto alla casa” e su una concezione solidaristica del diritto di proprietà (art. 2 Cost.) – ha reputato non sanzionabile l’occupazione se effettuata in “stato di bisogno”.

Tale stato esclude la punibilità solo se l’occupante voglia evitare il pericolo transitorio di un danno grave, pericolo che deve perdurare per il tutto il tempo dell’occupazione (tra le altre, Corte di Cassazione n. 46054/2021), e non invece risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa (Corte di Cassazione, sentenza n.10694/2019).

Nel febbraio scorso la Consulta ha affrontato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo che sanziona penalmente l’occupazione abusiva «nella parte in cui si applica anche all’invasione a scopo abitativo di edifici in stato di abbandono da più anni». Secondo il tribunale di Firenze, che ha sollevato la questione, sarebbe irragionevole incriminare «la condotta di chi – per soddisfare un bisogno fondamentale, oggetto di un diritto che lo Stato democratico dovrebbe garantire – occupi un immobile (…) lasciato dal proprietario da anni in stato di abbandono». La Corte ha respinto i rilievi di incostituzionalità.

Da un lato, è vero che l’invasione di edifici può essere “giustificata” dallo stato di necessità, ma solo a condizione che sia la mancanza di soluzioni alternative sia l’attualità del pericolo «perdurino per tutto il tempo in cui l’occupazione prosegue». Dall’altro lato, «il dovere del proprietario di partecipare alla soddisfazione di interessi generali e all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale» (funzione sociale della proprietà), «non significa affatto che la proprietà, anche se in stato di abbandono, debba soffrire menomazioni» per l’occupazione indiscriminata e definitiva da parte di terzi.

Salis e l’occupazione

Dunque, le occupazioni rivendicate da Ilaria Salis sarebbero legittime solo se ricorresse lo stato di necessità avente le caratteristiche indicate dai giudici, mentre nessun rilievo riveste il fatto che si tratti di case abbandonate.

Del resto, non sembra che le invasioni di immobili possano qualificarsi come atti di disobbedienza civile, considerato che le relative violazioni di legge non mirano solo a sensibilizzare il legislatore su un determinato diritto, ma si connotano soprattutto come abnorme compressione dei diritti (di proprietà) altrui.

Se il bisogno abitativo non trova soluzione nei servizi pubblici e sociali presenti sul territorio, cioè se lo stato non fornisce risposte all’esigenza di avere una casa attivando servizi per dare supporto alle fasce più deboli della popolazione, ciò non può “legittimare” – come afferma Salis – condotte che si configurano più come atti di giustizia privata che come forme di protesta.

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