La premier non ha voluto il leader della Lega al Viminale e ha deciso di occuparsi direttamente del dossier. Ma ora è costretta a pagare le conseguenze del fallimento di Lampedusa
Il 27 settembre del 2022, smaltiti i festeggiamenti e preso atto dei risultati, Matteo Salvini ha iniziato a desiderare fortemente una sola cosa: riprendersi il ministero dell’Interno. Non è mai una buona idea, per l’assassino, tornare sul luogo del delitto. Ma era al Viminale, da ministro del governo Conte I, che il leader della Lega aveva costruito (il 34,3 per cento delle europee 2019) e poi dissipato (l’estate del Papeete), il proprio successo.
Con il partito all’8 per cento e FdI al 25 l’idea più semplice per recuperare consensi era quella di ripetere lo schema. Ma Giorgia Meloni aveva un’idea ancora più semplice in testa: Salvini non sarebbe mai stato il ministro dell’Interno del suo governo. Anzitutto perché il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non lo avrebbe mai accettato. E poi perché un mossa del genere era il modo migliore per creare un problema, non certo una soluzione.
La mediazione, lunga e piuttosto travagliata, ha portato alla nomina di Matteo Piantedosi. Che di Salvini era stato capo di gabinetto proprio in quel “glorioso” periodo. C’era anche la sua mano nella campagna contro ong e migranti sfociata nei cosiddetti decreti Sicurezza. Un’assicurazione per Salvini che proprio da quella propaganda voleva ripartire.
Oggi che si torna a parlare di Lampedusa e di “invasione”, il leader della Lega sarà sicuramente felice che le cose non siano andate come lui sperava. Di certo lo è Piantedosi, che non desiderava certo occuparsi di barconi e barchini, e che al netto del suo ruolo istituzionale, è pur sempre il ministro competente in materia di immigrazione e asilo, in fondo non deve farlo veramente.
Per colpa di chi
Chi ha gestito in questi mesi il dossier, e che ha dettato la linea, è la premier Meloni affiancata dal suo sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Alfredo Mantovano. Sua l’idea del Piano Mattei, dell’accordo con la Tunisia siglato insieme a Ursula von der Leyen, della Conferenza di Roma. Per questo che la Lega non ha avuto alcun problema a denunciare il fallimento della «linea della diplomazia» invocando un ritorno al passato, a quando Salvini «era ministro dell’Interno». Poco importa che oggi il vicepremier abbia la responsabilità della Guardia costiera che ha comunque un ruolo nella gestione delle migrazioni, alla propaganda non servono i fatti, bastano gli slogan, le strette di mano e qualche photo opportunity. E in quelle scattate la faccia in primo piano è sempre quella di Meloni.
Così, in piena campagna elettorale per le europee, il leader della Lega sembra aver finalmente trovato un argomento che gli consenta di sostanziare quello che da mesi sta cercando di comunicare inaugurando cantieri in ogni parte d’Italia: io sono l’uomo del fare, che risolve i problemi delle persone. Ergo, se veramente volete cambiare l’Europa votate me, altro che Meloni.
Non è una buona notizia per palazzo Chigi che Salvini possa intestarsi questa battaglia. Non è una buona notizia per il governo che quasi sicuramente diventerà più instabile. Non è una buona notizia per l’Italia. Che di certo non ha bisogno di altra propaganda. Quella che ha e ha avuto ha già prodotto sufficienti danni.
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