Nel 2008 intorno all’Ilva è stato visto pascolare un gregge di pecore, Peacelink commissiona a proprie spese l’analisi di un pezzo di formaggio locale. I risultati rivelano che la diossina è entrata nella catena alimentare
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- Michele De Lucia, seguendo il processo di Taranto udienza per udienza, ci darà la possibilità di essere informati passo dopo passo su una delle vicende più gravi di sempre in tema di conflitto tra salute e lavoro.
- La nostra inchiesta racconterà tutte le storie che escono dal processo, documentandone le fasi salienti fino alla sentenza, per capire come sia potuto accadere che il territorio tarantino sia stato inquinato per così tanti anni senza che nessuno intervenisse.
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LaPresse 08-01-2011 Taranto,Italia Cronaca Operaio si suicida allo stabilimento Ilva di Taranto Nella foto: lo stabilimento
Nel maggio del 2019, Alessandro Marescotti, professore di italiano e storia e fondatore di Peacelink, depone a Taranto come testimone dell’accusa nell’aula bunker del processo Ambiente svenduto: «Prima dell’aprile 2005 non si sapeva che c’era una fonte di diossina. Non era stata mai menzionata dall’Ilva, non era mai stata menzionata da nessuno, eppure nel 2001 la Commissione europea aveva avvisato tutti gli Stati membri che gli impianti di sinterizzazione [impianti che riforniscono di agglomerato gli altiforni delle acciaierie, ndr] potevano essere la maggiore fonte di diossina. All’epoca molti non sapevano che a Taranto c’era il più grande impianto di sinterizzazione europeo, mentre l’Europa diceva che il pubblico non solo doveva essere informato, ma doveva comprendere l’informazione. Tutto ciò non è avvenuto».
Proprio nel 2005, da una tavola rotonda organizzata presso l’Università di Taranto dall’associazione TarantoViva, era emerso che, secondo i dati del Registro europeo delle emissioni inquinanti (Eper), l’acciaieria di Taranto immetteva nell’atmosfera l’8,8 per cento di tutta la diossina europea. Eppure in quel momento – quindici anni fa, non nell’Ottocento – non esisteva un sistema di monitoraggio dell’inquinamento da diossina.
Il principio del “conoscere per deliberare” era stato rovesciato: ignorare, per lasciare tutto com’è. Passeranno altri due anni di denunce pubbliche prima che all’Ilva venga montata una sonda in titanio per fare i prelievi.
La svolta
Nel 2008 la svolta. Dopo aver letto su Taranto Sera che intorno all’Ilva è stato visto pascolare un gregge di pecore, Peacelink commissiona a proprie spese l’analisi di un pezzo di formaggio locale.
I risultati ([1] e [2]) rivelano che la diossina è entrata nella catena alimentare: ce ne sono 4,28 picogrammi [un picogrammo equivale a un millesimo di un miliardesimo di grammo, ndr] per grammo di grasso, quando il limite di legge è di 3. Il dato delle diossine e dei policlorobifenili (Pcb) sommati è di 19,5 picogrammi a fronte di un limite di 6. Nei successivi controlli sulle carni, ricorda Marescotti nel corso della sua testimonianza, in certi casi il dato è arrivato fino a 180. Carmelo Ligorio, il pastore che gli aveva fornito il pezzo di pecorino, è morto di tumore a 57 anni.
Gli allevatori ascoltati nel corso del processo hanno confermato che fino al 2008 la Asl aveva effettuato controlli solo sulle malattie infettive tipicamente riscontrabili negli animali, come la brucellosi, ma non su diossina e pcb.
Gli abbattimenti degli animali seguiti alla scoperta della contaminazione hanno segnato un passaggio drammatico che spesso ha comportato, per la modestia dei ristori previsti (poco più di 60 euro netti a capo), la fine di attività familiari che andavano avanti da generazioni.
Tre domande
Che danni ha provocato l'inquinamento dell'Ilva? Al centro della battaglia processuale in corso ci sono due perizie - ordinate nel 2011 dalla gip Patrizia Todisco - che l’anno seguente hanno portato al sequestro dell’acciaieria e alla fine dell’era Riva.
Per interrogare in aula Francesco Forastiere, Annibale Biggeri e Maria Triassi, i tre esperti che hanno studiato il caso sotto il profilo epidemiologico, ci sono volute sette udienze tra esame e controesami: 38 ore, 700 pagine di verbali ([1], [2], [3], [4], [5], [6], [7].
I periti erano stati incaricati dalla gip di rispondere a tre domande: «Quali sono le patologie interessate dagli inquinanti, considerati singolarmente e nel loro complesso e nella loro interazione, presenti nell’ambiente a seguito delle emissioni degli impianti industriali in oggetto«; «quanti sono i decessi e i ricoveri per tali patologie per anno, per quanto riguarda il fenomeno acuto, attribuibili alle emissioni in oggetto»; infine, «qual è l’impatto in termini di decessi e di ricoveri ospedalieri per quanto riguarda le patologie croniche, che sono attribuibili alle emissioni in oggetto».
Polveri sottili come virus
Il presupposto, dunque, è che i tarantini sono esposti a un vasto campionario di particelle e polveri contenenti idrocarburi policiclici aromatici (IPA) come benzo(a)pirene, nonché rame, piombo, cadmio, zinco, anidride solforosa, monossido di carbonio, ossidi di azoto, composti organici volatili e diossine.
Questi inquinanti, ai quali si associano effetti di tipo cancerogeno (tumori del polmone, della laringe, della pleura, del sangue e della vescica, sarcomi dei tessuti molli e altri ancora) sono presenti in concentrazioni maggiori, variabili nel tempo e fortemente dipendenti dalla direzione del vento, nei rioni Tamburi, Borgo, Paolo VI e Statte, cioè in prossimità dell’impianto e nei territori limitrofi.
Per capire quanto facilmente possano penetrare nel corpo umano, va considerato che le polveri PM10 hanno una dimensione inferiore alla cellula umana; le polveri PM2,5 sono inferiori a un batterio; le polveri ultrafini, inferiori a 0,1 micron, sono pari a un virus o a una molecola. Respirare questa roba può determinare effetti sia acuti - quelli che si manifestano in risposta a variazioni giornaliere o addirittura orarie: infezioni respiratorie acute, asma, disturbi circolatori e ischemici, fino alla morte - che cronici, come bronchite, angina pectoris, ischemie transitorie, con esito di ictus o infarto.
Entrambi gli effetti, si legge nel documento, «possono comportare una diminuzione della speranza di vita e aumento della mortalità generale».
In risposta alla prima domanda, i periti concludono classificando gli esiti sanitari dell’esposizione in due grandi gruppi: quelli per i quali esiste “una forte e consolidata evidenza scientifica dei possibili danni” (mortalità per cause naturali; patologia cardiovascolare, infezioni respiratorie acute, broncopatia cronico-ostruttiva, asma bronchiale, cui possono essere particolarmente suscettibili bambini e adolescenti; tumori maligni, compresi quelli in età pediatrica), e quelli per cui vi è una «evidenza scientifica suggestiva, ma le prove non sono ancora conclusive», come malattie neurologiche, malattie renali e tumore maligno dello stomaco tra i lavoratori del siderurgico.
Stabilire il nesso causale tra esposizione e malattie, avvertono i periti, non è semplice in tutti i casi in cui entra in gioco la teoria della probabilità: molte patologie dipendono da tanti fattori diversi, non da uno solo, e allora la validità del nesso risiede nell’osservazione che la probabilità (cioè il rischio, secondo i casi assoluto, relativo o attribuibile) di ammalarsi e morire è maggiore tra gli esposti che tra i non esposti, e dipende direttamente dall’intensità dell’esposizione.
Più sei vicino, più rischi
Le altre due domande chiedono di quantificare l’impatto delle emissioni in termini di decessi e ricoveri. Della parte relativa agli effetti a breve termine si è occupato in particolare Biggeri, che ha condotto lo studio mettendo in relazione le frequenze giornaliere di decessi e ricoveri nell’arco di sette anni (2004-2010) e le medie giornaliere delle concentrazioni degli inquinanti fornite da Arpa, considerando valide le medie per cui fossero disponibili più del 75 per cento di dati orari validi.
La conclusione sugli effetti a breve termine delle polveri PM10 sulla città di Taranto nel suo complesso ha mostrato un’associazione con la mortalità per cause naturali coerente con quanto registrato in letteratura (+0,8 per cento per ogni incremento di dieci microgrammi per metro cubo di inquinante); la variazione percentuale dei ricoveri per malattie respiratorie è di 5,8. I dati peggiorano ancora se si restringe l’analisi ai quartieri Borgo e Tamburi: sempre con riferimento alle cause respiratorie, le variazioni percentuali salgono all’8,3 per la mortalità e al 9,3 per i ricoveri.
Nel periodo esaminato, i decessi e i ricoveri nel breve termine attribuibili alle emissioni derivanti dagli impianti industriali per quanto attiene ai livelli di PM10 superiori al limite Oms sulla qualità dell’aria di 20 μg/m3 [microgrammi per metro cubo, ndr] per i residenti a Borgo e Tamburi sono 91 decessi, 160 ricoveri per malattie cardiache, 219 ricoveri per malattie respiratorie.
Scontando una possibile maggior fragilità della popolazione dei due quartieri per effetto di condizioni socio-economiche e lavorative e il contributo di inquinanti da altre sorgenti estranee all’area industriale, i decessi attribuibili diventano circa 40 (1,2 per cento dei decessi totali, 9 decessi per centomila persone per anno), i ricoveri attribuibili per malattie cardiache 70 (16 ricoveri per centomila persone per anno) e i ricoveri attribuibili per malattie respiratorie 50 (11 ricoveri per centomila persone per anno).
Punti di forza e punti critici
Sono gli stessi periti a evidenziare, come si fa in questi casi, i punti di forza e i punti critici del loro studio. Tra i primi, sempre in relazione al breve termine, l’aver utilizzato un disegno e una strategia di analisi consolidata in letteratura: «Le stime di effetto per i quartieri di Borgo e Tamburi sono forti e coerenti con la letteratura. Fattori di distorsione e confondimento legato alla stagionalità sono stati controllati con metodi consolidati in letteratura».
Il punto critico è rappresentato invece dal fatto che «la popolazione oggetto di indagine è di piccole dimensioni e le stime hanno ampi intervalli di confidenza». Che vuol dire?
L'intervallo di confidenza indica quanto sono precisi i valori ottenuti attraverso lo studio di un campione. Un intervallo di confidenza del 95 per cento comprende un intervallo di valori che tiene conto della variabilità del campione, in modo tale che si può confidare - con un margine di certezza ragionevole - che quell'intervallo contenga il valore vero dell'intera popolazione che non hai avuto modo di esaminare, sempre che nello studio non siano presenti errori sistematici.
Durante il controesame del professor Biggeri, le difese sono andate all’attacco proprio su questo punto: siccome i periti hanno utilizzato un intervallo di confidenza dell’80 per cento, le stime di impatto ne risulterebbero distorte in senso sfavorevole agli imputati.
Effetti a lungo termine
Per quanto riguarda gli effetti a lungo termine, i periti hanno preso in considerazione i tredici anni dal 1998 al 2010, concludendo che «sono attribuibili alle emissioni industriali 386 decessi totali (30 per anno), ovvero l’1,4 per cento della mortalità totale, la gran parte per cause cardiache. Sono altresì attribuibili 237 casi di tumore maligno con diagnosi da ricovero ospedaliero (18 casi per anno), 247 eventi coronarici con ricorso al ricovero (19 per anno), 937 casi di ricovero ospedaliero per malattie respiratorie (74 per anno), in gran parte nella popolazione di età pediatrica, 638 casi totali, 49 per anno».
I dati sono ancora peggiori se si guarda ai lavoratori che hanno prestato servizio presso l’impianto siderurgico negli anni 70-90 con la qualifica di operaio, con un eccesso di mortalità per patologia tumorale dell’11 per cento (stomaco +107, pleura +71, prostata +50, vescica +69), malattie neurologiche +64 per cento, malattie cardiache +14 per cento.
Agli impiegati dell’Ilva non è andata meglio: gli eccessi per tumore della pleura registrati dallo studio arrivano al 135 per cento, quelli dell’encefalo al 111 per cento.
Il quadro di compromissione dello stato di salute degli operai della industria siderurgica è confermato dall’analisi dei ricoveri ospedalieri, con incrementi per cause tumorali, cardiovascolari e respiratorie.
Per la logica del profitto
«In conclusione», scrivono i tre periti, «l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte. I modelli di analisi messi a punto hanno consentito di stimare quantitativamente il carico annuale di decessi e di malattie che conseguono all’esposizione all’inquinamento».
Parole che nell’estate 2012 hanno portato la gip Todisco a scrivere nel decreto di sequestro preventivo che «chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza».
L’emergenza inquinamento a Taranto, tuttavia, non è finita con l’uscita di scena della gestione Riva. Già tra agosto 2013 e febbraio 2015 nel quartiere Tamburi erano stati registrati valori di diossina fino a quaranta volte oltre i limiti, e comunque diciotto volte superiori ai livelli registrati dall’Arpa tra il 2008 e il 2011, mentre è di pochi giorni fa l’ennesimo allarme lanciato da Peacelink: secondo i dati provenienti dalle centraline Arpa/Ispra, rispetto all’anno scorso si è riscontrato un aumento di benzene del 128 per cento, nonostante che la produzione dell’acciaieria sia nel frattempo ancora diminuita.
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